Macron, astensione, sinistra

Le elezioni legislative in Francia, la “rivoluzione cartesiana di Macron”, la sconfitta di una sinistra che si deve urgentemente ripensare e riorganizzare

di Bruno Giorgini

La rivoluzione di Macron. Dal punto di vista della presa del potere con le recenti elezioni politiche si è compiuta. Dopo il potere presidenziale, Macron ha ottenuto anche il potere legislativo assicurandosi una ampia maggioranza assoluta all’Assemblea Nazionale, il parlamento. Le forze che potevano prefigurare una opposizione significativa giacciono sbaragliate ai lati della strada che segna il percorso trionfale del neo Presidente della Republique.

Il FN s’arrovella con un pugno di deputati possibili; i Repubblicani, che si volevano gli eredi di De Gaulle, sono ridotti ben sotto il centinaio e paiono in piena depressione politico psicologica coi loro leader screditati che palesemente non contano nulla; i socialisti ripongono le gloriose bandiere negli armadi, apprestandosi a licenziare i loro funzionari e a cambiare sede, insomma smobilitano con qualche decina di deputati se va bene. Infine la sinistra sinistra di Mélenchon, la France Insoumise, dal 19% delle presidenziali è tornata all’ 11% , il numero di consensi che l’estrema sinistra raccoglie ormai da un paio di decenni, punto più punto meno. Mentre il Parlamento viene invaso da oltre quattrocento giovani leoni e leonesse dei REM, la Republique En Marche, il nuovo partito che fino a un anno fa non esisteva.

A spiegazione di un tale fulmineo successo, leggo e sento paragoni impropri con Renzi o Grillo, che non c’entrano nulla.

Se Grillo è figlio della commedia dell’arte, mentre Renzi incarna alla perfezione il ganzismo toscano, Macron viene dritto dritto dall’illuminismo in versione cartesiana, e da intense frequentazioni filosofiche con Paul Ricoeur per un verso e di tecniche finanziarie con la Banca Rothschild per l’altro. Due maestri non di poco conto. Come spiega Toni Negri in “Descartes Politico”, Cartesio fu il precursore dell’ideologia borghese rivoluzionaria, la “ragionevole ideologia”, mentre la commedia dell’arte rivoluzioni non ne ha mai prodotte nonostante la carica di rivolta e critica del potere che per esempio Dario Fo le attribuisce.

Così Grillo sta rancoroso in panchina mentre i suoi si vestono da ragionieri col ditino alzato – Di Maio ne è il noioso prototipo, seppure Di Battista e Fico per dire un po’ si differenzino ma senza potere scantonare troppo se no il capo li sgrida – e Macron vola all’Eliseo scaravoltando l’intero sistema dei partiti. Non le istituzioni però, che almeno nelle forme la V Repubblica ancora vige sovrana. Per ora perchè il Presidente pare abbia l’intenzione di trasformare lo stato d’eccezione col suo corredo di superpoteri ai corpi di polizia e ai servizi di sicurezza, a detrimento dei diritti di libertà dei cittadini, da misura eccezionale appunto a permanente assetto costituzionale. Il che introduce il problema di che rivoluzione si tratti.

Qualcuno riconoscendo la dinamica rivoluzionaria dell’ascesa macronista, ritiene però che, sull’onda della rivoluzione, avanzi al galoppo una ipotesi di restaurazione quasi totalitaria del potere e del comando capitalista dentro le aziende sul lavoro – in linguaggio marxista: il comando del lavoro morto sul lavoro vivo – e nella società affermando il dominio del capitale senza più alcuna autonomia politica economica civile dei cittadini, trasformati in pure appendici degli algoritmi che decidono e regolano i flussi finanziari.

Gramsci docet: non sempre le rivoluzioni sono progressive.

Al momento siamo agli inizi, anche se le cose procederanno svelte, ma la direzione ancora non è così netta e predeterminata. Personalmente mi fido dei vecchi amici, per esempio Dany il rosso, Daniel Cohn – Bendit che viene dritto dritto dal maggio francese, il quale dimostra stima e amicizia per Macron.

Il mare degli astenuti. Sono oltre il 51%, il che, fatti due conti, significa che Macron ottiene una larga maggioranza assoluta di deputati, avendo REM ottenuto poco più del 15% dei voti tra gli aventi diritto. Ma non c’è da gridare allo scandalo. Sempre le rivoluzioni vengono fatte da minoranze, mentre in genere il grosso del popolo se non ostile, sta a guardare. Però un mare di astenuti può incresparsi, ingrossarsi, diventare tempesta. La rivoluzione di Macron è forse più fragile di quel che appare.

Si ergono qua e là scogli che possono rendere accidentata la rotta e/o far deragliare il treno blindato.

Situazioni sociali insostenibili, dissensi filosofico culturali radicali, fasi di lotta di classe acuta, movimenti di rivolta dei giovani studenti e non, tutte cose già in campo, quando ancora non si vede come Macron intenda mettere mano a questo coacervo di nodi e grumi sociali. Così come il tentativo di rendere lo stato d’eccezione permanente non deve stupire.

Il rivoluzionario Macron, forse senza saperlo ma chissà, ripete più o meno i passi di illustri predecessori. Lenin per difendere la neonata Repubblica dei Soviet decretò la nascita dei campi di concentramento dove rinchiudere senza processo tutti i sospetti veri o presunti nemici del popolo, nonchè la nascita di una speciale polizia, prima la ghepeu GPU, o Ceka che dir si voglia, poi l’NKVD, quindi il KGB: non ricordo bene in quale ordine, ma fatto sta che l’apparato repressivo fu enormemente potenziato nei poteri e nei mezzi, e tale nella Russia di Putin rimane. Macron non eccederà, però ecco lo vorrei un po’ meno leninista e un po’ più democratico liberale. Inoltre consapevole, spero e credo, che una tale massa di astenuti rappresenta una ferita nel corpo democratico cui bisogna ovviare perchè non diventi purulento vettore di pericolose infezioni.

Il disastro della sinistra. Nasce da Hollande e dall’immane delusione che il suo governo ha generato nel suo stesso corpo elettorale. I socialisti poco più di cinque anni fa governavano quasi tutte le regioni, tutte le più grandi città, la stragrande maggioranza dei comuni e delle province, erano maggioritari al senato e all’Assemblea Nazionale, avevano la Presidenza della Repubblica.

Poi giù a precipizio, stupidaggini l’una dopo l’altra, errori marchiani, arroganza a go go, più sbagliavano più erano arroganti, i ministri, i dirigenti, i quadri più noti, mai che ascoltassero una critica e via peggiorando. Ma se è facile sparare sulla croce rossa, il vero problema è come mai una tale voragine di imbecillità abbia potuto aprirsi, quindi allargarsi, e infine a spalancarsi ingoiando e annichilendo l’intero partito, senza che nessuno si opponesse decisamente a questa deriva catastrofica.

Un partito rifondato da Mitterand dopo la dissoluzione della SFIO (Sezione Francese dell’Internazionale Operaia – così si chiamava allora), crollata sotto i colpi e le contraddizioni generate dalla guerra di Algeria. Un Partito Socialista che partendo dal 2%, sì avete letto bene il due per cento, aveva aperto una strada riformista ampia e nuova crescendo fino a conquistare la Presidenza nell’81 con il programma comune tra PS e PCF, e in Europa Occidentale per la prima volta ministri comunisti parteciparono al governo di un grande paese. Ma piangere sul latte versato serve a niente. Perchè le storie di sconfitte si ripetono e moltiplicano.

C’è un decisivo punto di debolezza della sinistra oggi che va oltre gli errori anche macroscopici dei singoli, persone, gruppi, partiti.

La questione è che, con la fine del comunismo incarnato nei paesi cosidetti socialisti, a cominciare dall’URSS, il modo di produzione capitalista, fondato sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, è rimasto padrone del campo. Padrone non solo sul piano pratico nella società globale, ma pure sul piano teorico e del pensiero. Per dirla in altri termini l’unico logos oggi presente che permea l’immaginario sociale tanto quanto le menti dei singoli, è quello capitalistico, per di più nella forma finanziaria.

Ma se al capitalismo non c’è alternativa, allora è ben difficile costruire movimenti anticapitalistici seriamente in grado di guadagnare consenso e forza. Senza alternativa si starà sempre lì a opporsi alle misure più inique, e sono tante, sperando di attenuare il danno e limitare lo sfruttamento con le conseguenti diseguaglianze, ma senza avere un progetto politico sociale che vada verso l’abolizione dello sfruttamento. Non si tratta neppure della antica biforcazione tra riforme e rivoluzione. Perchè l’assenza d’alternativa infierisce tanto sull’ ipotesi riformista che su quella rivoluzionaria. Così oggi noi anticapitalisti siamo appiedati. Mentre la borghesia viaggia alla velocità della luce, e non è una metafora, ma la realtà dei segnali che trasmettono enormi trasferimenti di capitale da un capo all’altro del globo.

Adesso è il momento di ricominciare quindi da capo, per una storia del tutto nuova sperando che ci siano spazio e tempo sufficienti prima che il pianeta vada a scatafascio, e con lui il genere umano, o una sua gran parte. Con la guerra, o con un cambiamento climatico selvaggio e fuori controllo, per dire soltanto due dei grandi rischi cui l’umanità deve far fronte.