I profughi in Croazia, tra violenze e violazioni dei diritti

Numerose denunce gettano luce sulle procedure violente della polizia croata verso i profughi e sulla violazione del diritto di asilo internazionale

di Francesca Rolandi, da Zagabria

Sono passati i tempi in cui, all’apertura della rotta balcanica, i poliziotti croati si facevano fotografare mentre familiarizzavano con i profughi in cammino. Ora, in Croazia come negli altri paesi della regione, i profughi rimasti bloccati sulla rotta balcanica sono stati dimenticati, ignorati nel discorso pubblico, spesso privati dei diritti essenziali, considerati come l’impersonificazione di un’esperienza, quella dell’apertura della rotta balcanica, che non si deve ripetere.

Come ha di recente ripetuto la presidente Grabar Kitarović, la “rotta balcanica deve rimanere permanentemente chiusa”. Di frequente le autorità croate sottolineano che il paese deve giocare con impegno quel ruolo che l’Unione Europea gli ha attribuito, il presidio delle frontiere esterne.

Frutto di queste operazioni di presidio sono sempre più numerose denunce di maltrattamenti sui profughi ad opera della polizia di frontiera croata. Le prime segnalazioni su violenze alle frontiere sono state raccolte da Moving Europe, un network di organizzazioni non governative tra fine 2015 e inizio 2016, e sono state inoltre confermate da successive indagini di Human rights watch.

Da diversi mesi le due principali organizzazioni che in Croazia si occupano della condizione dei profughi, Inicijativa Dobrodošli e Are you syrious? raccolgono testimonianze allarmanti riguardanti maltrattamenti da parte della polizia croata ai danni dei profughi alla frontiera con la Serbia, respingimenti illegali e la privazione del diritto a sottoporre richiesta di asilo, che combaciano con le testimonianze raccolte in Serbia dall’UNHCR e da Medici senza frontiere, che ha inoltre documentato i riscontri medici di tali violenze.

Il quadro che ne esce è sconcertante e disegna una vera e propria strategia di dissuasione, che però non riesce a dissuadere chi non ha alternative.

I profughi intercettati alla frontiera sarebbero sistematicamente sottoposti a violenze, comprovate da ferite compatibili con pestaggi con bastoni, pugni e calci, verrebbero distrutti loro i telefoni cellulari, sequestrato il denaro.

Secondo le diverse testimonianze, alcuni profughi avrebbero tentano di attraversare la frontiera anche trenta volte di fila, per essere inevitabilmente respinti in Serbia. E tra le vittime di maltrattamenti non ci sarebbero solo i fermati nel momento dell’entrata in Croazia, ma anche i fermati alla frontiera in uscita dalla Croazia, qualora senza documenti, come sarebbe avvenuto con un gruppo di minorenni al valico di Rupa.

Il 29 maggio il Ministero degli interni croato ha emesso un comunicato nel quale si sottolineava che la Croazia adempie al suo compito di controllare le frontiere nel rispetto dei diritti umani e si menzionava l’apertura di indagini a seguito delle denunce presentate dalle organizzazioni umanitarie. A distanza di diverse settimane, tuttavia, non si è arrivati a nessun risultato e l’attenzione per la condizione dei profughi pare essere del tutto scemata.

Le violenze, infatti, non sono l’unico problema.  Ad essere faticosamente messo in discussione è stato l’intero impianto giuridico relativo al diritto di asilo, faticosamente messo in piedi dai primi anni 2000.

Sempre più di frequente si verifica il caso che persone che riescono a entrare nel paese e manifestano la volontà di chiedere asilo, vengano respinte in Serbia, peraltro un paese non considerato sicura per i profughi dall’UNHCR.

“La cosa più triste di tutte è che lo stesso diritto di asilo venga messo in discussione” sottolinea Tea Vidović del Center for Peace Studies (CPS), un’organizzazione che si occupa delle questioni relative al diritto di asilo fin da ben prima dell’apertura della rotta balcanica.

Messo di fronte all’emergenza, il CPS ha organizzato turni di volontari che hanno accompagnato presso le autorità croate i profughi nel momento della manifestazione della volontà di richiedere l’asilo nel paese.

Comprensibilmente tutti i casi in cui le richieste di asilo si sono svolte in presenza di volontari si sono risolti senza complicazioni, ma le disponibilità dei volontari sono limitate e in genere localizzate a Zagabria, dove i profughi che richiedono l’asilo sono una piccola percentuale.

Esistono ancora delle resistenze molto forti all’idea che la Croazia possa rappresentare qualcosa di più di un paese di transito, anche se i dati sembrano sostenere il contrario. Tra i circa 300 benificiari di protezione internazionale, solo una settantina ha lasciato il paese.

“Sono le politiche messe in atto a fare della Croazia un paese di transito” commenta ancora Vidović, facendo riferimento alla mancanza di qualsiasi progetto relativo all’integrazione. Sempre più di frequente, inoltre, accade che il permesso di soggiorno a stranieri venga revocato per questioni di sicurezza, ma che il motivo della risoluzione non venga reso noto né agli interessati né ai loro avvocati.

Mentre alcuni paesi del gruppo di Visegrad hanno deciso di contrapporsi all’Unione europea attivamente facendo leva sulla questione dei profughi, come Ungheria, Polonia e Repubblica Ceca, incappando in procedure di infrazione, la Croazia dimostra come sia possibile limitare la propria politica migratoria al presidio delle frontiere, ignorare l’integrazione, ricollocare un numero risibile di profughi da Italia e Grecia e ricevere il plauso, come alleato affidabile, dell’Unione europea.