I tormenti del governo May

Il voto parlamentare non assicura al primo ministro numeri rassicuranti

di Angelo Boccato, da Londra

I primi exit polls circolati dopo le 22 e la chiusura dei seggi elettorali nel Regno Unito lasciavano già intendere lo scenario imprevisto del cosidetto hung Parliament, il Parlamento appeso, quella situazione che si verifica quando nessun partito riesce a conquistare la maggioranza dei 326 seggi necessaria per governare.

Il premier Theresa May, convocando le elezioni ad Aprile, era partita con un margine di 20 punti percentuali di vantaggio sul Labour Party di Jeremy Corbyn, plausibilmente con la certezza di incrementare ulteriormente la sua maggioranza a scapito del principale partito d’opposizione e potenzialmente di diminuire l’influenza dei colleghi di partito europeisti.

Una maggioranza stabile era necessaria a May non solo per presentarsi alle negoziazioni sulla Brexit con i partner europei il 19 Giugno, ma anche per portare avanti la sua piattaforma di Hard Brexit nel corso delle suddette e non di meno per trovare una legittimazione personale di fronte all’elettorato.

La campagna elettorale tuttavia ha finito per evidenziare e rendere manifeste le sue debolezze, tra cambiamenti di visione sulla dementia tax parte del Manifesto elettorale Conservatore, una generale incapacità nel promuovere una visione non nebulosa sulle prospettive della Brexit e tre sanguinosi attentati terroristici che hanno indebolito la sua forte retorica sulla sicurezza, in considerazione anche del suo ruolo di Ministro degli Interni nel governo precedente.

La campagna elettorale dei Conservatori, a quel punto, ha cominciato a focalizzarsi maggiormente sui temi della Brexit e in maniera minore su quelli della sicurezza.

May quindi oltre a non essere riuscita ad aumentare la propria maggioranza, ha finito per perdere quella ottenuta da Cameron nel 2015 di diciassette seggi; questo scenario ha posto le basi per una coalizione con l’unico partner possibile sullo scacchiere (i Lib-Dems che hanno ottenuto dodici seggi in questa tornata elettorale hanno chiarito fin dalla notte di Giovedì 8 la loro indisponibilità a un governo di coalizione con qualsiasi partito) ovvero il partito unionista nordirlandese Democratic Unionist Party (DUP).

Questa forza politica, guidata da Arlene Foster ha infatti ottenuto dieci seggi a Westminster si colloca alla estrema destra dello spazio politico come anti-abortista, anti matrimony gay, creazionista e con legami oscuri con i gruppi terroristici unionisti, oltre che per la sua radicale linea anti-Cattolica.

I numeri ottenuti dal DUP consentono a May di ottenere la maggioranza necessaria alla formazione di un governo di minoranza, necessario anche per cominciare nella giornata di ieri le trattative tra Regno Unito e partners europei per il divorzio sancito dall’esito referendario.

Tuttavia, in considerazione della situazione attuale risulta complicato capire se la debolezza del nuovo governo May darà effettivamente slancio a una cosidetta soft Brexit (un approccio meno duro rispetto a quello annunciato in precedenza e più vicino a una cosiddetta soluzione alla ‘norvegese’) scenario effettivamente plausibile o se invece la fragilità attuale originerà uno scenario senza accordi o con un disastroso accordo.

I membri dei Conservatori maggiormente europeisti potrebbero potenzialmente e nella situazione attuale formare un fronte con altre forze politiche solo su questo fronte.

Ruth Davidson, leader dei Conservatori Scozzesi è al momento una delle poche figure politiche del partito di governo a poter vantare un grande successo, di fronte al fatto che i Tories sono emersi come secondo partito oltre il Vallo di Adriano, dopo una storia che non li ha mai visti raccogliere grandi consensi in precedenza.

Per quanto riguarda il Labour, mentre la riconquista scozzese non abbia avuto luogo e nonostante non si possa parlare di una vittoria, il risultato ottenuto da Corbyn è stato straordinario, con un aumento di trenta seggi a Westminster che ha totalmente ribaltato le aspettative, impedendo a May di ottenere la maggioranza schiacciante che si aspettava.

Mentre nel Partito Conservatore i malumori si agitano con forza e la leadership di May sembra sempre più destinata ad essere di breve durata, Corbyn si posiziona sempre più come leader credibile nella opinione pubblica e in linea con il successo ottenuto dal voto dei giovani interverrà questa settimana dal palco del festival musicale di Glastonbury.

Nelle prossime ore, David Davis, Ministro per la Brexit incontrerà Michel Barnier, capo negoziatore della UE con posizioni apparentemente volte a garantire i diritti dei cittadini UE, mentre May incontrerà a Downing Street il nuovo Primo Ministro irlandese, Leo Varadkar, per parlare plausibilmente non solo dei diritti degli irlandesi nel Regno Unito ma anche delle preoccupazioni che l’accordo tra Tories e DUP solleva.

Sempre su questo fronte, negli scorsi giorni Gerry Adams e una delegazione del Sìnn Fein ha incontrato il Primo Ministro britannico per sottolineare il rischio che questo accordo governativo costituisce per gli accordi di pace del Venerdì Santo e la stabilità in Irlanda del Nord.

La situazione sembra indirizzare i futuri passi verso la soft Brexit e il 2017 ad essere un anno molto diverso rispetto al 2016, di un segno politico diverso; tuttavia siamo solo all’ inizio e gli scenari restano inediti ed inaspettati, di fronte alla influenza che il DUP potrebbe avere su tali negoziazioni.