Portogallo, la riflessione dopo la tragedia

Al centro delle polemiche dopo il rogo che è costato la vita a 64 persone c’è l’eucalipto

di Marcello Sacco, da Lisbona

foto di copertina di Nuno Andre Ferreira

Camminare per i boschi, in Portogallo, ma anche guidare, sulle strade provinciali o perfino in autostrada, è particolarmente gradevole. Soprattutto nella fascia centrosettentrionale è come fare un lungo aerosol o ingoiare caramelle per il mal di gola. L’odore costante, basta abbassare un po’ il finestrino, è quello dell’eucalipto.

Dopo lo spaventoso incendio dello scorso fine settimana a Pedrógão Grande, provincia di Leiria – che al momento mostra un tragico bilancio provvisorio di 64 vittime e il doppio dei feriti – dopo lo stupore iniziale, poi il cordoglio e il lutto nazionale, con le fiamme ancora non del tutto domate e il rischio che altre macchie di fuoco, allargandosi, possano raggiungere quella di Pedrógão (che è stato il più grave, ma non l’unico incendio di questo rovente weekend), divampano ora le polemiche.

E al centro delle polemiche, fra gli altri, c’è lui, l’eucalipto. È una coltura introdotta in Portogallo da oltre un secolo, ma fino a qualche anno fa preoccupava solo i militanti ecologisti più informati.

Più di recente si è diffusa a macchia d’olio, raggiungendo quasi 900mila ettari e trasformandosi in una sorta di arrogante monocoltura.

Business proficuo, a quanto pare, perché è un albero che cresce in fretta e viene usato per produrre pasta di cellulosa, utile all’industria della carta, che i tablet e la crisi dell’editoria non hanno ancora reso del tutto obsoleta.

Però, la prossima volta che vi imbattete in un libro mediocre o in un giornalaccio, sapete quali altre colpe accollargli. Perché l’eucalipto brucia anche in fretta, contribuendo alla propagazione rapida delle fiamme. E inoltre beve molta acqua, lasciando il terreno particolarmente arido.

Il fulmine che sabato scorso avrebbe carbonizzato un albero durante un temporale a secco, cioè senza precipitazioni, quando i termometri superavano i 40º in quasi tutto il Paese, ha trovato terreno fertile e non c’è voluto molto a estendere la portata micidiale di quelle lingue di fuoco.

Tuttavia l’eucalipto non è l’unico colpevole di un’incuria che viene da lontano. L’altra faccia della monocoltura è l’abbandono della campagna portoghese, la desertificazione demografica dell’entroterra, intere aree tenute in vita dalle seconde case e dalla buona volontà di residenti saltuari, zappettatori della domenica ora zelanti, ora inevitabilmente distratti.

Ma soprattutto, nascosto nella boscaglia, si vede il vero volto di una nazione che non sa trovare i mezzi per organizzare il proprio territorio e prevenire questi disastri ormai di routine.

I pompieri – i soliti eroi dell’ora del dolore, che anche stavolta hanno pagato il loro tributo di sangue – sono più che altro volontari e solo una minima parte di essi è composta da professionisti.

Il corpo forestale dello Stato da anni non esiste più, sciolto e accorpato in altri corpi militari (occhio: l’Italia ne segue l’esempio dal 1º gennaio di quest’anno). Lisbona è l’unica delle capitali del Sud Europa che incredibilmente non riesce ad acquistare aerei antincendio e, all’occorrenza, deve noleggiarli o aspettare i soccorsi internazionali.

L’anno scorso ha rifiutato un finanziamento comunitario che avrebbe permesso di acquistarne due a prezzi stracciati, stanziando solo il 15% del costo totale. Ai basiti funzionari UE il Ministero degli Interni ha fatto sapere che gli aerei non basta comprarli, bisogna anche mantenerli, e sia la manutenzione che la formazione e gli stipendi ai piloti specializzati costano.

Non si tratta di rispolverare la vecchia massima “piove, governo ladro”, aggiornandola all’era del global warming, quando il problema sono proprio la mancanza di pioggia e le alte temperature fuori stagione. Non si tratta insomma di additare i governi come causa diretta di questa o quella fatalità, anche perché di governi da condannare ce ne sarebbero diversi e, si sa, finiremmo per scegliere a seconda delle simpatie di ciascuno.

Eppure è difficile, ogni volta che un villaggio va in fumo senza che si trovi un idrante nelle vicinanze (le cronache di questi giorni parlano di sopravvissuti in ammollo negli abbeveratoi delle mucche in attesa dei soccorsi per ore) non pensare alle spese militari folli di quando la Marina portoghese acquistava sottomarini ai tedeschi; e poi ai tagli alla spesa, tutti sbagliati, negli anni della recessione e dell’austerità.

Si tratta di capire che in Portogallo, nel 2015, è andata in fiamme un’area superiore a quella colpita l’estate precedente, mentre nel 2016 l’area bruciata era pari a quella andata in fumo negli ultimi dieci anni e in questi pochi giorni è scomparsa un’area pari a quella scomparsa l’anno scorso.

È un bollettino di guerra e viene da un fronte interno dove un nemico ignoto, c’è da temere, il 17 giugno scorso ha solo aperto il fuoco