Parigi, la filosofia del bistrot

Il bistrot parigino è un nodo della rete delle relazioni sociali urbane, una sorta di cellula elementare vitale per la civiltà urbana, la democrazia della polis, un nodo che gli attacchi terroristici non sono riusciti a spezzare.

di Bruno Giorgini

Non del voto francese voglio scrivere bensì piuttosto dell’ atmosfera che si respira a Parigi, dove recentemente sono stato, abitando in Rue des Rosiers, ovvero nel cuore del Marais quartiere di froci comunisti ebrei, ovvero il bersaglio ideale per i jihadisti di ogni specie, in primis i militanti di Daesh. Fu qui attorno che nel novembre 2015 un commando terrorista nel nome dell’Islam fece strage con 130 (centotrenta) morti e oltre 350 (trecentocinquanta) feriti. Tra l’altro già nel 1982 a Rue des Rosiers alcuni terroristi attaccarono il ristorante Goldenberg provocando 6 (sei) morti e 22 (ventidue) feriti. Non distante da qui stava la sede di Charlie Hebdo, dove otto (8) redattori del giornale furono fucilati per mano di due uomini della jihad che uccisero anche altre 4 (quattro) persone a vario titolo, tra cui due agenti di polizia. Eppure tracce significative di paura non ne vedo, e nemmeno un dispiegamento di polizia e soldati che dia la sensazione di uno stato d’assedio seppure in Francia viga lo stato d’emergenza da oltre un anno. Il che non significa assenza. Quando in un ristorante si accende per motivi futili un alterco che potrebbe degenerare in rissa, con molta discrezione alcuni uomini in borghese comparsi dal nulla si avvicinano, isolano e separano i contendenti, sciolgono la tensione usando le parola per poi scomparire rapidi e silenziosi come erano venuti. Comunque i bistrot sono pieni, seppure dice chi mi accompagna: un poco meno del solito, però io che mancavo da un pezzo non me ne accorgo.

Le persone hanno un’aria distesa chiaccherando del più e del meno, come sempre accade al Caffè, le coppie giovani si baciano e/o corteggiano, gli amici si stringono la mano come usa in Francia quando si incontrano, le ragazze si fan belle, i solitari leggono il giornale o scrivono sui loro taccuini.

Camminiamo parecchio tra Republique, Bastille, l’Hotel de Ville, i lungo Senna fino al Pont Neuf e ritorno, in piena libertà e gioia per la splendida città che si offre sotto il sole. Andando a zonzo lentamente, sul modo dei flaneur di Baudelaire, la civitas, la cittadinanza, non appare ferita e tu straniero non ti senti oggetto di una curiosità o attenzione particolari. Sei cittadino tra altri cittadini, la città cosmopolita e aperta per eccellenza tale rimane almeno a un primo colpo d’occhio e in quest’area.

Tornando alle elezioni, questa percezione è confermata dai risultati delle presidenziali perchè a Parigi il Front National (FN) ha preso solo il 5%, segno che la sua ideologia xenofoba fino al razzismo e securitaria fino all’autoritarismo non fa presa. Intanto mentre scrivo seguo sulla tv la vicenda dell’attentatore che ha preso a martellate un poliziotto davanti Notre Dame, che mi pare l’azione terroristica più maldestra e insieme disperata mai comparsa sotto il sole – in questo caso la pioggia – e comunque l’eventuale soldato della jihad è stato immediatamente ferito a colpi di pistola, adesso trovandosi in ospedale. Intanto dentro la chiesa alcune centinaia di persone se ne stanno a mani alzate e/o con le mani dietro la nuca nel mentre la polizia verifica che non ci sia “infiltrato” tra i turisti un complice del martellatore, e fuori c’è una cintura di sicurezza che manda il traffico in tilt. Colpisce di fronte alla pochezza dell’attacco una sorta di retorica del terrore praticata dai commentatori italiani, che contrasta in modo evidente con i fatti. E con le stesse immagini degli agenti di polizia che appaiono abbastanza calmi e rilassati.

Per chi ha visto l’azione a Charlie Hebdo, la differenza è stellare. Ma torniamo a passeggio in Parigi qualche giorno fa. La mattina dopo l’attentato di Manchester le strade e i bistrot mi sembrano più vuoti. La mia guida, parigina d’adozione, dice che mancano i turisti ma gli abitanti stanno più o meno tutti lì. Comunque verso le 11 arrivano di nuovo anche i turisti e il quartiere torna affollato. Se dopo ci spostiamo nella banlieue, la proche banlieue fin dove arriva il metrò, per esempio Montreuil, a Nord, o Montrouge a Sud, ritroviamo i bistrot pieni con un pubblico diverso, diciamo più proletario, ma nello stesso agio e tranquillità. Perchè a Parigi e dintorni il bistrot è una filosofia di vita, luogo di dialogo, comunicazione, scambio di informazioni e opinioni, drague cioè conoscenza e corteggiamento, meditazione e scrittura – leggendari Sartre dell’Essere e il Nulla e il Castoro dei Mandarini a St. Germain – bevendo un bicchiere di vino, sorseggiando un caffè, abbuffandosi con una fetta di torta, gustando un croissant. Insomma il bistrot parigino è un nodo della rete delle relazioni sociali urbane, una sorta di cellula elementare vitale per la civiltà urbana, la democrazia della polis, un nodo che gli attacchi terroristici non sono riusciti a spezzare, tantomeno annichilire. A colpo d’occhio nemmeno a intimidire.

Per ora quindi si può parlare di fallimento del progetto jihadista, nonostante i livelli di violenza omicida veramente alti nonchè odiosi esercitati.

Così torno da Parigi abbastanza contento e anche in un certo senso “purificato” dalla paranoia sempre incombente nel nostro paese dove i media, direi praticamente tutti, si esercitano quotidianamente a urlare “al lupo al lupo”, che il lupo c’è ma anche la resistenza civile nella difesa di un insieme di valori, idee, modi di vita e dialogo di cui il bistrot parigino è uno degli emblemi impedendo il dilagare della paura. Insomma non siamo in guerra, difendiamo la pace, siamo contro il terrorismo jihadista in piena coscienza e decisione. Insieme cittadini liberi e eguali, mentre beviamo un bicchiere, ascoltiamo musica, andiamo a passeggio, e se del caso ci difendiamo.