Le contraddizioni di un Paese che sogna di diventare Dubai
Fotografie e testo di Matteo de Mayda
In Angola a colpire sono soprattutto le contraddizioni, come quella tra la “Marginal” di Luanda, il lungomare simbolo di una capitale che sogna di diventare la nuova Dubai e i “musseques”, i quartieri della miseria che vengono abbattuti per far posto ai nuovi grattacieli, per ora nudi come scheletri.
Una terra ricca di risorse minerarie dove gli investitori cinesi costruiscono intere città pronte ad ospitare migliaia di loro concittadini asiatici, mentre quello che un tempo era l’albergo più bello della capitale viene oggi abitato da una comunità di ragazzini senzatetto.
Seguendo le tracce dello scrittore polacco Kapuściński, che ha raccontato la conquista dell’indipendenza angolana nel libro “Ancora un giorno”, si arriva nella regione del Cunene, dove si incontrano le piogge torrenziali che stanno ripristinando la flora della regione, dopo più di un anno di siccità.
E proprio tra i baobab della savana nel sud dell’Angola ci si può imbattere in un cimitero di carri armati, lì ad arrugginire dal 1975, quando tentarono di raggiungere la capitale per la proclamazione d’indipendenza dal Portogallo. E il reportage continua fino alla “Casa de espera” a Chiulo, un luogo in cui le donne in procinto di partorire trovano accoglienza, percorrendo decine di chilometri anche a piedi, gestito dalla ONG italiana Medici con l’Africa CUAMM.
Uno sguardo sull’ex colonia portoghese in vista delle elezioni di agosto, quando José Eduardo dos Santos si dimetterà da presidente dopo 37 anni di potere.