Donald Trump alla ricerca di una strategia nel Vicino Oriente

Il governo Usa, le questioni sul tavolo, le differenze con il passato

di Alain Gresh, direttore della rivista on-line OrientXXI.info

(traduzione di Valeria Nicoletti)

“Make America Great Again!”. Questo slogan, utilizzato durante l’intera campagna presidenziale di Donald Trump, non rivela granché sulle linee generali che la nuova amministrazione statunitense metterà in campo in materia di politica estera.

Una delle prime decisioni prese dal neopresidente è stata quella di aumentare in maniera sostanziale il budget destinato alla Difesa, ma non ha aggiunto precisazioni sull’utilizzo di queste risorse supplementari: “Un budget per la ricerca di strategie”, ha spiegato vagamente un commentatore politico del New York Times.

Ci vorrà ancora qualche mese, l’installazione completa della squadra di governo e le prime decisioni concrete per sapere quali obiettivi si darà la Casa Bianca nella regione del Vicino Oriente e come si muoverà tra i tanti imperativi contraddittori. Solo allora si potrà misurare l’influenza della stretta cerchia riunita intorno al consigliere Stephen K. Bannon.

Quest’ultimo ha infatti dimostrato d’avere una visione apocalittica del mondo, del suo divenire e, in particolare, dell’Islam. “Ci troviamo al principio di un conflitto brutale e sanguinario, che sradicherà letteralmente tutto quello che abbiamo ereditato negli ultimi 2000 o 2500 anni”, ha dichiarato nel 2015.

Ufficiale di marina, ha diretto Breitbart News, un sito di estrema destra, complottista e portavoce del movimento alt-right. Come Trump, Bannon è dell’idea che il mondo stia affrontando, con l’islamismo, un nemico pericoloso come lo sono stati il fascismo o il comunismo.

E se le dimissioni dal ruolo di Consigliere per la sicurezza nazionale da parte del generale Michael Flynt hanno in apparenza attenuato una certa visione guerrafondaia e islamofoba, il suo successore, un altro generale, Herbert R. McMaster, dichiarava nel 2016 come, a suo avviso, il mondo fosse instabile al pari della vigilia della prima guerra mondiale – ma, a differenza di Flynt, McMaster pensa che tale minaccia globale includa anche la Russia.

Il primo segno di ostilità verso l’Islam è stata la decisione del governo, rimessa in discussione dalla giustizia, di rifiutare l’ingresso negli Stati Uniti alle persone provenienti da sette paesi musulmani.

Nel Vicino Oriente, è stata sin da subito chiara la volontà del presidente di accordare la priorità alla “guerra contro il terrorismo”, abbandonando ogni azione di promozione degli ideali democratici, ogni velleità di “cambiamento di regime”. Trump ha di recente elogiato “i regimi forti”, in particolare quello del presidente egiziano Abdel Fattah Sissi e ha annunciato la ripresa di manovre militari comuni che erano state sospese all’indomani del colpo di stato di Sissi il 3 luglio 2013.

Ma chi è il bersaglio di questa “guerra contro il terrorismo”, al di là dell’organizzazione dello Stato Islamico (IS) e Al-Qaeda? L’Islam politico, come potrebbero lasciarlo credere certe affermazioni riguardo ai Fratelli musulmani, definiti parte dell’organizzazione terrorista? L’insieme dei musulmani, come suggeriscono alcune dichiarazioni di Trump in persona?

In realtà, questa “guerra contro il terrorismo” si combatterà prima di tutto in Siria e in Iraq. L’amministrazione americana s’è data come obiettivo quello di estirpare l’organizzazione dello Stato Islamico e Al-Qaeda, ma come riuscirci senza inviare sul campo centinaia di migliaia di truppe armate? E con chi allearsi? Con la Turchia? Con i Curdi che la combattono? Con il regime siriano?

E, soprattutto, resta la questione del ruolo dell’Iran in questa battaglia. Certamente, la promessa di Trump di liquidare l’accordo sul nucleare iraniano sembra già dimenticata, ma la denuncia di Teheran resta ancora virulenta a Washington. Mike Pompeo, il nuovo direttore della CIA, ha dichiarato che l’Iran “è il principale stato a sostegno del terrorismo”, mentre John Kelly, segretario della sicurezza interna, ha denunciato l’implicazione di Teheran in… America latina.

Quanto al segretario alla difesa James Mattis, ha spiegato che se l’Iran non è stato mai vittima di un attentato dello Stato Islamico, “non è un caso”, lasciando intendere una collaborazione tra i due. Ma gli Stati Uniti sono in grado di correre il rischio di uno scontro con Teheran, le cui milizie combattono lo Stato Islamico a Mossul e in Siria?

Un altro test per l’amministrazione americana è il conflitto israelo-palestinese. Benjamin Netanyahu non ha nascosto la sua soddisfazione dopo la vittoria di Trump e il primo incontro dei due a Washington è stato a dir poco cordiale. Tuttavia, nonostante le reazioni suscitate, la dichiarazione di Trump secondo cui “una soluzione a due Stati non è la sola possibile nel conflitto israelo-palestinese” non segna di certo una svolta nella politica americana.

Washington continuerà a sostenere un “processo di pace” moribondo (continuando a fare riferimento alla soluzione a due Stati), perché non ha altre alternative: riconoscere il proprio fallimento significherebbe avere un piano B che Washington, almeno per ora, sembra incapace di formulare.

Il trasferimento dell’ambasciata americana a Gerusalemme promesso da Trump non è più all’ordine del giorno e si rischia di assistere a una continuità della politica americana segnata da un sostegno strategico a Israele, sostegno che non è stato revocato nemmeno sotto Obama, malgrado le pessime relazioni tra l’ex presidente americano e Netanyahu: ricordiamoci che lo scorso settembre, è stato Obama a stanziare un aiuto militare a Israele pari a 38 miliardi di dollari, la somma più importante mai accordata a Tel-Aviv.

Stretta tra la sua ideologia di estrema destra, la fobia dell’Islam e la complessa realtà del Vicino Oriente, l’amministrazione Trump sarà obbligata a compiere delle scelte molto rapidamente. Allora potremo saperne di più sulla sua strategia per i prossimi quattro anni.

Note
I Citato da Max Fisher, Trump’s military ambition: raw power as a Means and an End, 4 marzo 2017.

II Dal video Qui est Stephen Bannon, l’homme de l’ombre de Donald Trump?, Le Monde, 4 febbraio 2017.

III Scott Shane, Matthew Rosenberg, Eric Lipton, Trump Pushes Dark View of Islam to Center of U.S. Policy Making, New York Times, 1° febbraio 2017.

IV http://www.counterpunch.org/2017/02/24/mcmaster-takes-charge-trump-relinquishes-control-of-foreign-policy/