Gaza al buio

La pressione sulla popolazione civile, da parte di tutti gli attori, ha oltrepassato la soglia del disumano

di Christian Elia

“Ma come fate a respirare, con questo caldo, senza elettricità?”, chiede Muhammad Shehada, blogger palestinese originario di Gaza, che scrive per Ha’aretz dalla Svezia, a sua sorella. “Non respiriamo”, è la laconica risposta, pubblicata in un bell’articolo che partendo dalla situazione attuale nella Striscia di Gaza ragiona sulla claustrofobia come condizione di vita.

Qual è la situazione attuale? Drammatica. Dopo che ad aprile l’Autorità Nazionale Palestinese (Anp), che è nelle mani del partito Fatah del presidente Abbas, ha sospeso i pagamenti della corrente elettrica a Israele, le forniture elettriche sono precipitate. E dopo gli ulteriori tagli, a Gaza, non c’è elettricità per più di due, tre ore al giorno.

Ecco che un cittadino di Gaza vive giorni tutti uguali. Giorni dove non c’è lavoro, visto che con l’embargo che compie dieci anni tutta l’economia della Striscia è collassata e il 60 percento della popolazione attiva non lavora. Giorni dove c’è da sfruttare quelle tre ore per un po’ d’acqua potabile, visto che il 99 percento dell’acqua di Gaza è contaminata.

Come scrive Shehada, il meglio che ti possa capitare è di passare qualche ora nel Capital Mall, l’unico centro commerciale di Gaza, dove c’è – grazie a generatori privati – aria condizionata e internet.

Il motivo di questa, nuova, feroce punizione collettiva? Il fatto che a detta dell’Anp, Hamas – che controlla de facto la Striscia – non riferisca al governo centrale le tasse che raccoglie a Gaza. A fronte di questo, ha dato notizia a Israele che non verranno più pagate le bollette. E Israele ha tagliato. Non dimenticando mai, che questa situazione esiste perché lo stesso Israele ha raso al suolo l’unica centrale elettrica della Striscia di Gaza.

Una grammatica dell’assurdo, per la quale la potenza occupante della Cisgiordania, che assedia Gaza dal 2005, con nidi di mitragliatrice attivate a distanza ogni chilometro e mezzo, con l’inibizione dello spazio marino per i pescatori di Gaza, che ritiene merci da bloccare pure il cemento e i giocattoli, se ne lava le mani e si comporta come un normale fornitore con un cliente.

Non è solo assurdo, è criminale.

Questo, però, non giustifica il comportamento dell’Anp. Che, come dice la narrazione politica pubblica dei capoccia corrotti di Ramallah, viene costretta a prendere decisioni gravi per tenere vivo il ‘progetto di unità nazionale’.

Come però ha correttamente detto Haidar Eid, in un editoriale su Electronic Intifada, “cosa c’entra il progetto nazionale con il taglio dei salari dei docenti universitari?”.

Perché oltre all’elettricità, l’Anp vuole il prepensionamento di oltre 6mila dipendenti pubblici, in un mondo che vive all’80 percento di aiuti internazionali o salari pubblici. E i salari che paga, sono decurtati anche del 90 percento da mesi. Questo vuol dire affamare un popolo intero.

La lotta di potere tra le due fazioni palestinesi – sulla pelle della popolazione civile – con il criminale coinvolgimento di Israele, sta portando all’esplosione umanitaria una situazione ormai insostenibile.

Ricordatelo al prossimo razzo, perché è troppo comodo non vedere la rabbia di queste due generazioni, figlie di palestinesi che ancora fino agli anni Ottanta potevano ricevere nel loro ristorante una famiglia israeliana che andava a mangiare gli ottimi frutti di mare di Gaza, o il contrario.

Questa prigione a cielo aperto, dove oltre il 70 percento dei due milioni di residenti in un lembo di terra che non supera mai gli undici chilometri di larghezza, dove non c’è lavoro, acqua, istruzione e cure mediche, sono un monumento alla violenza.

Una violenza che esploderà, nella prossima guerra, nel prossimo attacco. Cieca, senza futuro, senza un progetto politico. E stiamo aspettando che accada, senza muovere un dito.