20 luglio. Mondo ideale, reale, possibile

Oggi è il 20 luglio. Il giorno in cui uccisero Carlo Giuliani e il giorno prima delle botte alla Diaz e Bolzaneto e dove cercarono di uccidere un movimento.

di Angelo Miotto

 

In un mondo ideale. Quante frasi, troppe, hanno inizio con queste quattro parole che segnano un periodo ipotetico che spesso diviene dell’irrealtà. Ma è solo una questione di scelte.

Il 20 luglio è un buon giorno per parlarne, perché allora si gridava e discuteva nelle piazze di un mondo altro e possibile. E siamo poi rimasti ostaggio di un mondo reale, di una realtà che non si è trasformata nell’ideale, con qualche importante eccezione di possibilità, laddove il fatto che ci sia uno spiraglio è reso fecondo da ogni buona pratica che non vive di una sola vita, ma contagia.

Il mondo ideale è il migliore dei mondi, o ci si avvicina parecchio.  Un altro mondo possibile è la speranza che cerca di farsi strada nella realtà. Eppure; cosa ostacola la trasformazione del reale nell’ideale? C’è il senso dell’ineluttabile, c’è lo scetticismo di chi impara che sono più le sconfitte o i compromessi delle vittorie. C’è la pigrizia e c’è il mugugno. E poi ci sono le condizioni date, il contesto che spesso schiaccia e succhia ogni nostra energia.

Alla fine la sottile linea di demarcazione è tutta dentro la nostra testa, perché quando si decide che una cosa è possibile, quando si pensa di una situazione che debba cambiare, attuiamo un comportamento conseguente.

Agire diventa necessario ed è logico aspettarsi delle reazioni, quindi dei movimenti contro le nostre stesse aspirazioni. Non si esce da questa situazione se non si assume il concetto di conflittualità, che non a caso è uno dei sostantivi più osteggiati negli ultimi decenni di cultura borghese. Lo scontro è male, manifestare è male, spesso cosa da estremisti, anche gli estremi sono male. Ma in base a cosa?

Una terzietà, un essere medi, temperati, dove la moderazione diventa parola preziosa e una virtù, dimenticandosi che tutte le conquiste sociali, tutte, non sono avvenute grazie alla moderazione di chi le richiedeva. L’unica tepidità che va, invece, cancellata è quella che riguarda la risposta dello stato, la repressione, di cui non portano i segni quanti non si spingono nelle zone di pericolo, cioè quelle in cui si rivendica qualche cosa di diverso.

Il 20 luglio, sedici anni dopo è rivoluzionario dire: aprite gli occhi, agite, accettate il conflitto.

Perché la tentazione del bozzolo è forte, mentre poco si tramanda a generazioni che sono geneticamente modificate da una velocità e utilizzo del digitale, nemico della profondità quando appaga i sensi in superficie.

La ribellione è parola nobile, perché ha sempre spostato percezioni, usi e quindi poi adeguamenti legislativi un gradino sopra lo status quo ante. Ci insegnano ad averne paura, nel nome di una normalizzazione legata alle dottrine iperliberiste, le stesse che la Cassandra di Genova nel 2001 aveva descritto con tanta precisione.

Ribellarsi è giusto, non è solo uno slogan del Novecento, così come vorranno far credere. Riprendere quell’ottimismo che accorcia le distanze fra l’ideale e il reale è il grande legato di quel grande esperimento sociale e di repressione che fu il G8 genovese.