Oriented

Un documentario racconta la vita di tre omosessuali arabi, tra libertà e identità

di Christian Elia

L’identità, per sua natura, è sfuggente. A coloro che tentano di farne una bandiera, a coloro che proprio perché incerti ne tentano una santificazione, a quelli che vorrebbero usarla come una clava.

E’ liquida, sfugge agli steccati rigidi, alle mistificazioni. Più provi a manipolarla, più ti lascia a bocca aperta di fronte al prossimo bivio.

La storia di Khader, Fadi e Naim, i protagonisti dell’ottimo documentario Oriented, di Jake Witzenfeld, potrebbe essere semplificata così: tre giovani omosessuali arabi che vivono in Israele.

Ecco, fermandovi qui, vi perdereste tutto il resto. Che parla di libertà e identità, di confini labili e domande, di società e diritti.
La prima lettura, quella sulla quale anche il lavoro di Witzenfeld pare orientarsi, è la più banale: la società palestinese è molto meno libertaria di quella israeliana e tre omosessuali – per essere sereni – devono vivere a Tel Aviv.

Ma non è così. Perché nella loro storia, c’è la storia di tante persone. Perché i genitori dell’uno non sono uguali a quelli dell’altro, passando dai frikkettoni palestinesi anni Settanta alla famiglia tradizionale che saprà porsi di fronte all’outing del figlio con amore, mentre un padre deciderà di non parlare mai più al figlio.

Non ci sono certezze, e allora si può amare un ebreo ed essere felice, si può amare la propria terra, ma sognare la fuga all’estero, lontani dall’odio.

E si può essere più felici e liberi in un paese arabo, come Amman, dove non resterai “comunque un arabo” come accade anche all’interno della comunità LGBT israeliana e nella società.

I tre ragazzi e i loro amici, con dei video d’impatto, tentano di smuovere le coscienze della società, ma non in quel modo che tutti si aspetterebbero, un modo classico di conflitto e confronto. Sono belli, giovani, alla moda, ma sono legati al trauma vissuto dalla generazione dei genitori e dei nonni.

Solo in un modo differente da quello che ci aspetteremmo o che tutti raccontano.

Fadi si innamora di un ragazzo ebreo, con cui è felice, ma del quale subisce il passato da militare dell’esercito di occupazione, che però il suo amore chiama in modo differente.

Ed ecco che anche una coppia ‘mista’ ha la sua crisi, ma di stimoli e sogni, non per le appartenenze, tra restare e andare via.
Un documentario che riflette sull’universalità del tema dell’identità, che nel conflitto diventa ancora più profonda, ma non per questo scontata. Come può apparire la fuga da una realtà claustrofobica, per la guerra però, non per le convenzioni sociali.

Sullo sfondo del documentario, realizzato nel 2014, l’ultima guerra a Gaza. Ed ecco che le distanze, le durezze, il senso di esclusione emerge con forza. Ed è la guerra a dividere, non l’identità, che è granitica solo nella testa di chi vuole usarla.