La loro Barcellona

Viaggiare: il concetto di viaggio gemma dal viatico, cioè da ciò che occorre per il viaggio stesso. L’idea del viaggiare è quindi in origine misurata da ciò che portiamo con noi per il viaggio. In questo tempo estivo la redazione di Q Code Mag proverà a raccontarvi i suoi viaggi, non per forza spostamenti, non solo metafore, in una narrazione collettiva che ci accompagni sotto sole e temporali, fra i palazzi cittadini e gli ombrelloni marini. Buona lettura.

Qui il turismo mordi e fuggi è incoraggiato: vieni, fermati, spendi, ma dopo cinque giorni cinque ti conviene andare

di Leonardo Brogioni

A me ‘sta cosa del catalano non piace, intendiamoci l’idioma è piacevole e quasi più comprensibile dello spagnolo – pare un dialetto del Nord Italia con inflessioni gramelot – ma trovo davvero anacronistico che una metropoli internazionale come Barcellona usi il dialetto per comunicazioni ufficiali.

È un atteggiamento esclusivo, vuole escludere chi non lo conosce, e chi conosce lo spagnolo in particolare. Per fortuna tentativi simili (leghisti) in Italia non sono andati a buon fine e i cartelli con i nomi dei paesi in lombardo fanno ridere.

Ma qui a Barcellona invece ‘sto catalano non solo è tollerato, ma pare venga addirittura incoraggiato, insegnato a scuola, sostenuto, anche dall’estero, anche dall’Italia. Perché? Che senso ha? Lo ripeto: per me è comodo, mi sono ritrovato ad ascoltare, a leggere, a capire e a preferire spiegazioni in catalano, mettendo in disparte perfino l’inglese.

Però lo spagnolo è la seconda lingua più parlata al mondo dopo il cinese, 400 milioni di persone la usano come lingua madre. E qui, nella metropoli più internazionale e più visitata della Spagna, cercano di allontanarsene e di prenderne le distanze. E più lo fanno e più vengono invasi. Frotte di stranieri vengono ad abitarci. Frotte di turisti riempiono la città seguendo itinerari affollati e globalizzati (devo ancora capire perché pare obbligatorio percorrere le Ramblas e perché nessuno ha il coraggio di dire che Gaudì è un pacco). I prezzi per entrare nei luoghi più noti sono esorbitanti, più alti che in qualsiasi altro Paese europeo (23 euro per entrare a Casa Battlò, 20 euro prezzo medio di ogni “attrazione”).

Sarà questo? Questo afflusso incessante è vissuto più come invasione che come portatore di benessere? In tutti i luoghi turistici e turisticizzati gli indigeni tendono ad odiare gli avventori molto più che ad apprezzarne i benefici economici.

A Barcelona forse usano il linguaggio per tutelarsi, riconoscersi, evitare l’estinzione, distinguersi dalla massa.
Qui il turismo mordi e fuggi è incoraggiato: vieni, fermati, spendi, ma dopo cinque giorni cinque ti conviene andare, ché la storia dell’ospite paragonato al pesce la conoscono bene. Esiste infatti la Barcelona Card, una carta servizi che permette l’accesso scontato a più di 80 “attrazioni”, fra musei, monumenti e spettacoli. Un affare per chi le vuole vedere, ma è disponibile nelle versioni da tre, quattro e cinque giorni. Devi organizzarti un tour de force mattino, pomeriggio, sera, ma tutto in cinque giorni al massimo, ovvero: se vuoi risparmiare puoi stare cinque giorni, non di più si us plau.

Vuoi abitare qui? Nella metropoli internazionale, fremente e culturalmente vivace, propositiva, economica, dove non ci sono spese di riscaldamento perché d’inverno non fa freddo, dove puoi viaggiare in costume da bagno in metropolitana per andare sulla spiaggia, dove hai un’ora libera e la usi per fare il bagno nel Mar Mediterraneo? Bene, vieni, lavora, paga le tasse, c’è posto … ma non sarai mai uno dei loro, perché non parli il Catalano, e anche se ci provi ti sgamano, non riuscirai mai a pronunciare bene “Amatller Origen” …che vuol dire? Boh, è il nome del mio supermercato preferito, ma non ho capito né cosa significa né come pronunciarlo. Adéu.