NOI CI SIAMO! OCCUPARE PER ESISTERE IN VIA PADOVA

Abitare spazi, condividerli, per un nuovo senso di vicinato partecipato

di Ilaria Brusadelli e Marco Besana

È in corso una lezione di italiano: i partecipanti, in cerchio, scoprono le parole composte con porta. “Sì, io ci sono stato a Porta Venezia” “questo è un portachiavi”.

Siamo in via Esterle al civico 15, negli ex bagni pubblici di Milano abbandonati dal 1999 e ora occupati dai ragazzi della Rete Solidale Noi Ci Siamo! Con Abd El Salam*.

Siamo andati a trovarli, come si fa con dei nuovi vicini di casa. Per la prima volta da quando siamo arrivati in questa via, il palazzo sotto il quale parcheggiamo era aperto e con le luci accese.

Siamo entrati, ed è così che abbiamo conosciuto D. e M. e la storia di chi occupa da ormai cinque mesi lo stabile.

La ventina di migranti portano avanti un progetto che racconta un modo diverso di intendere la loro permanenza in Italia: da persone in attesa dello status di rifugiato o di essere rimpatriati perché non riconosciuti rifugiati a persone attive, in cerca di una propria autonomia e un ruolo nella realtà in cui vivono.

L’occupazione in Via Esterle

“Siamo arrivati dopo lo sgombero del 2 febbraio in via Fortezza*”, (*zona Villa San Giovanni) – ci spiegano D. e M. – “Dove una ventina di migranti per lo più dall’Africa aveva occupato una ex azienda. Un luogo abbandonato, quasi volutamente lasciato nell’ombra: è stata una zona di spaccio, di delinquenza. La rete NOI CI SIAMO voleva proporre di far diventare l’edificio un luogo della comunità: ci è sembrato che si preferisse lasciare un problema irrisolto ma invisibile piuttosto di trovare una soluzione insieme”.

Il 26 febbraio 2017 è iniziata l’occupazione in via Esterle, in uno stabile che, come riporta Corriere.it, fu costruito nel 1928 dal regime fascista con docce e lavatoi pubblici. Dopo la guerra, la struttura era stata trasformata in una fabbrica di bottoni per diventare poi, negli anni Settanta, una scuola professionale pubblica per carrozzieri che è rimasta attiva fino a circa 15 anni fa.

Lo stabile è stato a lungo sulle pagine dei giornali milanesi perché identificato come il luogo per la costruzione di una Moschea, progetto in stallo da un anno.

Una struttura pubblica, ad oggi abbandonata che, in attesa di trovare nuovo senso, è occupata da chi non vuole restare a sua volta passivamente in attesa.

Noi ci siamo – una dichiarazione di esistenza

Già dal nome, “Noi ci siamo”, il progetto punta a portare luce sul tema dell’accoglienza e del rapporto con i migranti, argomenti spesso vittime di luoghi comuni e strumentalizzazioni.

“Con l’occupazione in via Esterle il progetto si è ampliato e il nostro obiettivo”, spiega D., “è proprio quello di aprirci, dichiarare la nostra presenza al quartiere, creare una rete. ‘Noi ci siamo’ è un nome che richiama una precisa scelta sociale: queste persone esistono e vogliono costruire il loro futuro al di là di ogni classificazione politica. I cosiddetti ‘migranti economici’ non possono ottenere lo status di rifugiato. Si crea così una discriminazione tra chi scappa da una guerra e chi, magari, non scappa dalle bombe, ma da una dittatura, dalla mancanza di diritti umani e di prospettive future. Si ha l’impressione che spesso i clandestini siano necessari a mantenere sacche di caporalato, e che non si abbia la vera e ferma intenzione di occuparsi dei migranti economici. Il nostro obiettivo è invece quello di affermare diritti e dignità di tutti i migranti; sono proprio loro ad aver dato vita al progetto e a chiedere al quartiere di venire a conoscerli, venire a vedere cosa sono in grado di fare in uno spazio vuoto e lasciato all’abbandono da anni”.

Tra i molti problemi legati alla convivenza, c’è infatti anche il rischio di trasformare le struttura di accoglienza in semplici “dormitori” che, oltre a prestarsi a facili strumentalizzazioni da parte di chi addita i migranti come “nullafacenti”, impediscono ai migranti stessi di realizzarsi come persone, di rendersi utili alla comunità in cui vivono e nella quale vogliono costruire qualcosa.

“Noi ci siamo!” vede invece i migranti pienamente attivi, responsabili di progetti e della gestione della struttura che occupano.

“Purtroppo la maggior parte delle realtà di accoglienza non sono altro che dormitori. Le persone vengono trasformate in numeri, non hanno alcuna possibilità di crescere e di costruirsi un futuro. Sono loro stessi ad opporsi a questo: con uno spazio gestito in prima persona da loro, si creano relazioni umane, si crea parità. E forse è proprio questo che fa paura”.

Le attività di Noi ci siamo!

Sono proprio i migranti, 21 in totale e provenienti per la maggior parte dall’Africa, a occuparsi della gestione della struttura, dai turni di pulizia a attività per gli occupanti e per il quartiere grazie anche all’aiuto di una rete di volontari.

Ad oggi è stato avviato un corso di arabo, tenuto da studenti universitari con genitori di doppia nazionalità, e un corso di italiano per stranieri.

“Le nostre attività” spiega M. “sono gratuite e aperte a chiunque.Vorremmo organizzare un incontro di informatica e alcune serate di approfondimento politico. La nostra idea è quella di coinvolgere il quartiere; vogliamo essere utili, non solo rimanere fermi ad aspettare. Questa è la nostra risposta alle istituzioni che ci hanno abbandonato, che non riescono a rispondere alle esigenze di rifugiati, lavoratori in disoccupazione, clandestini, ragazzi che cercano di costruirsi un futuro. Il nostro obiettivo è creare una rete al di fuori del sistema; una rete che valorizzi le nostre risorse e che porti valore anche agli altri”.

Oltre alle attività la rete ha organizzato eventi con e per via Padova: spettacoli teatrali, cene ma anche la parata del primo maggio e un’assemblea di quartiere.

Il rapporto con via Padova

Video di uno dei momenti dell’evento organizzato da Noi ci siamo “Due giorni in quartiere – via Padova, costruiamo insieme la solidarietà“

Per quanto molte persone del quartiere guardino ancora con sospetto la casa occupata di via Esterle, per il momento la risposta è buona. La strada, prima poco frequentata durante la sera, appare più viva, la gente si avvicina ed è sempre più incuriosita. I ragazzi di “Noi ci siamo!” contribuiscono a dare vitalità alla zona, con le loro partite di calcio improvvisate in strada o quando si accalcano alla ricerca del segnale wi-fi sotto le serrande dei pochi negozi chiusi.

“Da quando siamo arrivati abbiamo incontrato alcune delle realtà e delle associazioni del quartiere e siamo stati accolti abbastanza bene” spiega M., “Siamo aperti e non chiudiamo le porte a nessuno. Quello che chiediamo è soltanto uguaglianza e vogliamo che la nostra esperienza possa aiutare chi è nella stessa situazione, chi è stato sfrattato, ma anche dare un valore aggiunto a questo quartiere”.

“Io stesso” aggiunge D., “ho cominciato a frequentare questa realtà quasi per caso. Mi sono avvicinato per semplice curiosità e, una volta che ho conosciuto le persone che fanno parte del progetto, ho deciso di collaborare. Siamo un qualcosa di sperimentale: la nostra esperienza abbraccia diverse etnie, è molto ampia, e vogliamo scardinare l’idea diffusa che si ha dell’accoglienza, dove noi italiani aiutiamo i migranti. Noi partiamo dal concetto di parità, di scambio, anche cercando di eliminare le divisioni all’interno dei migranti stessi. Qui ragazzi tunisini e del Bangladesh lavorano insieme per un progetto comune”.

Usciamo con un invito da parte dei ragazzi di “NOI CI SIAMO!”, quello di ritornare a trovarli e di dar loro una mano nel fare in modo che sempre più persone si avvicinino alla loro realtà.

Conoscere significa anche mettere in discussione i propri pregiudizi, e quello che l’occupazione in via Esterle chiede, in fondo, è proprio questo: ascoltare, prima ancora che aiutare. Riflettere e scoprire che, forse, è molto più pericolosa una via deserta di una in cui, dallo scorso febbraio, si ritrovano decine di persone a qualsiasi ora del giorno, sia pure provenienti da Paesi diversi dal nostro.

*Abd El Salam Ahmed El Danf era un operaio egiziano di 53 anni, padre di cinque figli, e sindacalista dell’Unione Sindacale di Base, nel settembre 2016 è stato travolto e ucciso da un camion durante il picchetto notturno all’esterno dell’azienda logistica Seam di Piacenza, sciopero indetto per il mancato rispetto degli accordi sottoscritti sulle assunzioni dei precari a tempo determinato.