Verso Santiago

Perché si diventa pellegrini ancor prima di avere la risposta tra le mani


di Jessica Cimino

-“Il Cammino di Santiago? E da quando sei diventata credente?”.
-“Ma non sarà pericoloso aggirarti per chilometri nei boschi, e per di più da sola?”
-“Ma perché lo fai?”.

Di tutte le domande a cui un pellegrino si trova a dover rispondere, quella che vorrebbe comprendere il motivo dietro alla scelta di affrontare il cammino, è di certo la più destabilizzante: perché si diventa pellegrini ancor prima di avere la risposta tra le mani. L’idea del cammino è qualcosa che si fa strada in punta di piedi, insinuandosi nei pensieri sotto forma di un’intuizione che, solo se colta, metterà in moto il desiderio di partire.

Si comincia provando un vago senso di curiosità; dalla mente rispuntano fuori ricordi di un tale che aveva raccontato a qualcuno che conosci di aver vissuto quest’esperienza; di articoli letti chissà dove, che inserivano il cammino di Santiago tra le dieci, trenta o cento cose da fare almeno una volta nella vita. Senza nemmeno rendertene conto, sei davanti allo schermo di un computer a digitare le tre parole magiche.

Da qui, ti si apre un mondo. Scopri innanzitutto che la strada per Santiago non è una sola, ma si può scegliere tra almeno sei percorsi diversi: quello francese, il più battuto, che supera i Pirenei per poi procedere attraverso le regioni spagnole della Navarra, Rioja, Castiglia, il Léon fin dentro al ventre della Galizia, che dà asilo alla destinazione finale, Santiago de Compostela.

Si può partire da Lisbona, coprendo da nord a sud l’intero Portogallo fino alla regione galiziana. Attraversare i Paesi Baschi, la Cantabria e le Asturie seguendo la rotta del cammino del Nord. O la via della Plata, che dal clima più caldo dell’Andalusia risale verso le più temperate Castiglia e Galizia.

E poi c’è Il cammino Inglese e quello Primitivo: il primo era la via seguita dagli scandinavi e dagli inglesi, che nel Medioevo intraprendevano il cammino sbarcando nei porti galiziani di Ferrol e A Coruňa. Il secondo invece, deve il suo nome per essere stato l’itinerario seguito da Alfonso II il Casto, re delle Asturie nonché primo pellegrino della storia.

Informato circa il rinvenimento nel suo regno delle spoglie dell’apostolo Giacomo, decide di attraversare le remote zone racchiuse tra Asturia e Galizia per rendergli omaggio e per dichiararne l’autenticità. Era l’anno 829. Allora, la fede era in grado di muovere folle intere, che si riversarono nella regione asturiana per percorrere lo stesso cammino compiuto dal suo sovrano. Ed è da qui che tutto ebbe inizio: da un’intuizione. Di un re che in fondo voleva solo accrescere il prestigio del suo regno, grazie al ritrovamento delle spoglie apostoliche, e rendere le Asturie un punto di riferimento per le vicine comunità cristiane.

Hai raccolto queste prime informazioni, e senti che in qualche modo su di te hanno già lasciato un segno. Più volte, nel corso della giornata, non puoi fare a meno di immaginarti immerso in vari scenari. A volte nel caldo soffocante delle mesetas della Navarra; altre volte ancora, affacciato sulla costa portoghese o intento a superare i Pirenei passando per Roncisvalle.

Non sai esattamente perché vuoi partire, ma quell’idea diventa come un tarlo: è un’avventura che prende forma, un invito a uscire dalla propria comfort zone per testare un limite, dato dalla sicurezza quotidiana nel sapere sempre dove si è diretti, con chi e a che scopo.

Il punto relativo allo scopo è ancora confuso, ma ormai è troppo tardi. Prima ancora che il pensiero diventi consapevolezza, sei diventato un pellegrino. In cuor tuo hai già scelto di partire per un cammino nato dalla fede verso un dio di cui magari non sei affatto certo. Di attraversare paesaggi immersi in un ambiente della cui avversità, in alcuni tratti, sei più o meno certo. Di voler affrontare tutto questo e di volerlo fare in solitaria, sei invece assolutamente certo, a dispetto delle espressioni costernate di molte delle tue conoscenze.

Affascinato dal primato storico, decidi che sarà il cammino Primitivo il percorso prescelto. Sono 334 i chilometri che separano la cittadina di Oviedo -prima tappa del Primitivo- da Santiago de Compostela. Nulla parrebbe cambiato dai tempi del vecchio re asturiano. O quasi: i piccoli centri toccati dalle tappe successive (Grado, Cornellana, Salas, Fonsagrada, Lugo) sono gli stessi percorsi nei secoli addietro. Quello che cambia, oggi, è l’equipaggiamento del pellegrino.

È qui che scopri un secondo mondo, quello del backpacking, fatto di lunghe concertazioni sullo zaino giusto, il suo peso, la regola secondo cui non dovrebbe superare il dieci per cento del proprio peso corporeo, sull’abbigliamento giusto, ma soprattutto sulla scarpa giusta, quella che dovrebbe aiutarti a scongiurare dolori a schiena, gambe e piedi.

Ti sembra che tutte queste discussioni facciano sconfinare quello che dovrebbe essere un percorso spirituale in una gara agonistica; ma col tempo, comprendi ad esempio che le scarpe sono il principale sostegno al tuo unico mezzo di locomozione, le gambe, e come tali, sono indispensabili per portarti dritto alla meta e non ostacolarla.

Realizzi che lo zaino, o la mochila, come inizierai a chiamarla una volta giunto in Spagna, è molto più di un semplice bagaglio. É la tua casa, il guscio che diventa un tutt’uno con la tua schiena.

È un involucro che si fa sentire sulle spalle anchilosate, ma è anche un peso che ti sei scelto con cura. E nel farlo, per la prima volta hai compreso la differenza tra ciò che può essere solo utile, necessario o realmente indispensabile. Quello che rientra in quest’ultima categoria, è tutto ciò che ti occorre, e tanto basta per affrontare il cammino.

Sei pronto, hai acquistato i biglietti aerei, lo zaino è riempito, le scarpe scelte. Non puoi programmare nient’altro: gli albergues dove alloggerai non accettano prenotazioni, dovrai cercare un posto letto libero nel momento stesso in cui arriverai alla tappa giornaliera. Ma è una precarietà che non ti dispiace.

Quanto alla preparazione fisica, speri che le tue solite sessioni di corsa siano sufficienti per farti superare i continui saliscendi che mettono a dura prova il pellegrino lungo il percorso del Primitivo. Mancano pochi giorni alla partenza, e alcuni dubbi cominciano ad assalirti: ce la farò? Correrò il rischio di perdermi, senza poter chiedere aiuto a nessuno? Potrò fidarmi delle persone che incontrerò in viaggio?

Ed è a quel punto, e solo a quel punto, che comprendi il perché del tuo cammino. La paura è la risposta alla domanda: non vuoi che ti paralizzi.

Stai andando ad affrontare il cammino perché troppo spesso rinunci a qualcosa in partenza, e se per molti la fede è credere che qualcosa esista al di sopra delle loro teste, tutto quello in cui vorresti credere tu invece è che qualcosa possa accadere molto più in basso, proprio davanti al tuo naso.

È vedere i tuoi piedi fare un passo dietro l’altro, la resilienza fisica che risveglia quella mentale, intorpidita dalla resa. Non importa dove arriverai, perché in fondo sai che è questa la tua Santiago, la meta finale: imparare a restare fedele a un’idea, a un progetto, nel punto più ripido della salita, lontano dal senso di colpa per aver mollato, libero dall’amarezza di aver fallito.

Oviedo ti accoglierà tra i suoi stretti vicoli ricchi di poesia decadente offrendoti un ultimo scorcio sulle scene di vita quotidiana: una coppia vestita di rosso a spasso col proprio cane; un signore dall’aria distinta che osserva il mondo da una panchina; un artista intento a lavorare a uno schizzo della cattedrale di El Salvador, così imponente ma al contempo perfettamente inserita nell’intimità della piazza. La stessa che stai contemplando tu.

È da qui che con lo zaino in spalla inizierai il cammino, gli occhi che d’istinto cercheranno una via guardando verso l’alto, il corpo che prende confidenza con il peso, la fatica. A condurti fino a Santiago però saranno due simboli e non un cartello stradale: una freccia e una conchiglia.

Le troverai ovunque, disegnate su strade, pali, incastonate nei muri delle case, rappresentate su dei bassi pilastri in cemento. Le conchiglie saranno appese persino sugli zaini dei pellegrini, come simbolo di riconoscimento.

Nei primi chilometri continuerai a dubitare della loro affidabilità: possibile che sia così semplice? Eppure eccole lì nel loro giallo acceso, che metro dopo metro ti allontanano dalla città portandoti sempre più in alto, nelle prime strade di campagna, il terreno che da asfalto diventa sterrato, che diventa fango o si asciuga lasciando spazio a una distesa irregolare di sassi.

Sei partito con la voglia di viaggiare in compagnia di te stesso ma ora che sei in cammino, il silenzio che ti avvolge fa correre lungo la tua schiena un brivido irrefrenabile di inquietudine. Siamo così abituati a vedere interrotti i nostri momenti di solitudine, e così poco ad averne a disposizione, che quando questo accade quel silenzio immobile fa paura e l’istinto ci porta a guardarci le spalle, in cerca di un pericolo che non sopraggiunge mai.

Lo scorrere dei giorni, l’udito che pian piano familiarizza con la musica incontaminata dei boschi, finiranno per spazzare via ogni tua diffidenza: smetterai di sentirti disorientato da quella pace silenziosa e incomincerai invece ad adattarti ai continui mutamenti del paesaggio, e sarai conquistato dalla loro bellezza aspra.

Lo sforzo fisico, la pioggia che diventa caldo afoso, i momenti di sconforto per una strada che sembra non finire mai, sono tutti ostacoli che si frapporranno tra te e la natura; ma è in questo rapporto simbiotico che imparerai a conoscere te stesso. O a riconoscerti.

Magari quella volta in cui volterai di nuovo le spalle, e stavolta non per paura, ma per guardare la catena montuosa che hai appena superato. Ti ricorderà di cosa sei capace e da quel momento vedrai nella natura una compagna avvincente, non una presenza ostile.

Sentirai che ogni ramo, radura o sentiero ti appartengono, perché con il passo cadenzato di un pellegrino e non di una macchina in corsa, stai dando al tempo la possibilità di sedimentarsi e diventare memoria, con una lentezza che mai avevi sperimentato prima d’ora.

I ricordi che restano non sono un fotogramma in sequenza, ma assumono più le sembianze di un sogno, di cui non riuscirai a ricordare i particolari. Tranne alcuni: sono quegli attimi d’impatto, le svolte inaspettate che hanno cambiato il senso stesso del tuo pellegrinare, quelli condivisi con le persone incontrate lungo il cammino. Alcuni sono durati ore, giorni, altri anche solo una manciata di secondi: un sorriso complice al termine di una tappa; un tratto di strada percorso raccontando la propria storia e ascoltando quella degli altri.

Molte di queste resteranno impresse nella tua mente: i fratelli dal Belgio che da un anno girano l’Europa a piedi in compagnia del loro cane, Harrì. La coppia americana del Michigan, che per la prima volta ha lasciato il continente e i loro otto figli per perdersi tra le fatiche del Primitivo.

Javier, quasi morto di una morte bianca, vivo per miracolo dopo essere precipitato da un’impalcatura di quattordici metri. Anche lui è diretto a Santiago, ma ogni giorno compie gli stessi passi con una gamba artificiale: il cammino per lui è un omaggio alla vita, il suo modo di esprimere gratitudine per essere ancora parte di questo mondo.

Ed è da questa porta aperta sulle vite degli altri che vorrai affacciarti più e più volte: per assorbirne la forza, metabolizzare il dolore o ritrovarti nelle somiglianze che si celano dietro ad ogni storia. Perché hai scoperto che, come te, anche i suoi protagonisti stanno affrontando il cammino per un motivo, che non è spuntare la voce di una lista. Come il filo di un pendolo, c’è qualcosa o qualcuno che vi muove, facendovi oscillare tra la nostalgia di casa e il bisogno di fuggire da essa.

Le svolte inaspettate saranno quelle persone che irromperanno in due momenti opposti- il peggiore e il migliore- del tuo rapporto con la solitudine.

Ti offriranno conforto e sostegno quella sera in cui non ti sei mai sentito così lontano da casa; ti si affiancheranno in una mattina di pioggia battente quando, al contrario, stai danzando al ritmo di quella melodia solitaria, e sentendo di non poter desiderare nulla di più. Ma in quell’attimo, ti sorprenderai a sperare che il cammino vi tenga vicini, ancora per un po’.

Sono queste le persone con cui vivrai quei momenti d’impatto, i più emozionanti del viaggio. Confiderai loro le tue paure, senza mai sentirti giudicato. Parlerete ininterrottamente della vita, dei vostri sogni, di fede o di morte, oppure continuerete a camminare senza dire una parola, e in quel silenzio vi sentirete uniti.

Ci saranno giorni in cui sorriderete di fronte all’ennesimo dislivello da superare, altri in cui manderete tutto al diavolo, e lo farete in coro. Insieme troverete la felicità nei momenti più impensabili: rannicchiati sotto un albero a mangiare fichi fino a scoppiare; chini su un cespuglio a riempirvi le mani di spine, solo per una manciata di more; in una corsa folle prima di buttarvi nell’acqua gelida dell’Atlantico. E in ciascuno di quegli attimi vedrai la perfezione.

È con loro che arriverai a Santiago pervaso da un senso di trepidazione crescente, i passi che rallentano o accelerano incerti come la tua mente, che non saprà se fermare il tempo o correre veloce verso l’ultimo e più forte degli impatti. E prima che tu possa decidere quale di questi istinti assecondare, ti ritroverai al centro di Praza do Obradoiro, sopraffatto da un’emozione senza nome.

Tutto quello che riuscirai a fare è sdraiarti ai piedi della cattedrale, stretto nell’abbraccio di chi ha camminato con te fino alla fine. E mentre fisserai le cuspidi della cattedrale stagliate contro il cielo terso, capirai che non c’è mai stato un confine tra il passo solitario e quello condiviso: per tutto il tuo tempo da pellegrino, il cammino ha lasciato che scoprissi la capacità di ascoltare la tua voce, senza mai smettere di tenere il cuore aperto verso quella degli altri. Ed è in questa sintesi tra te e il prossimo, che ti rende libero e non ti annienta, che troverai il senso ultimo del tuo viaggio.

Martedì ventisei luglio. Sono passati due giorni dal tuo arrivo a Santiago e come molti altri prima di te hai deciso di spingerti oltre, a Finisterre, verso quella che un tempo si credeva fosse la fine del mondo. Accanto a te l’ultimo mojòn segna il chilometro zero: l’inizio nell’arrivo.

Sfiori il suo fondo in ceramica blu, le dita che seguono le propaggini della conchiglia, quella bussola infallibile che ti ha portato fin qui. Sei esattamente a metà tra la sua linea e quella dell’orizzonte, che si perde a vista d’occhio tra le increspature vellutate del manto oceanico.

E ora che hai dismesso i panni del viandante, oggi che sai che il mondo è più grande e più vasto di quest’ultima striscia di terra, ti ritrovi a desiderare che un altro segno, un’altra freccia, un’altra conchiglia, ti indichino la direzione da prendere, adesso che di questa semplicità non puoi più fare a meno.

Vorresti poterla fiutare, ancora una volta, nell’aria pervasa dal profumo degli alberi di eucalipto, tra le sue foglie che come un tappeto si stendono ai tuoi piedi. Sentire un’emozione al massimo della sua intensità, anche quando le barriere date dal caos, la confusione, i rumori del superficiale, rischiano di renderti cieco.

Augurare e sentirti augurare “buen camino”, perché in quel rito fugace c’è tutta la speranza affinché i tuoi passi e quelli di coloro che incontri, trovino sempre la strada verso ciò che stanno cercando. Porti tutto questo con te. Mentre il sole cade su Finisterre.