Migration Movements Around the Mediterranean /3

Il terzo giorno della conferenza Migration Movements Around the Mediterranean, organizzata da Watch the Med-Alarmphone e da il Rosa Luxemburg Stiftung North Africa, è dedicato a una reciproca conoscenza tra le persone e le organizzazioni partecipanti. Emergono i desideri e i bisogni dei protagonisti di una mobilitazione nordafricana che, nella migrazione, vede una possibilità di rompere il torpore e la complicità politica alle politiche di repressione.

Di Lorenzo Scalzi, inviato a Tunisi da Codici

Badis mi racconta di Zuwara come di un luogo speciale. È orgoglioso del Festival della Diversità Culturale, organizzato ogni due anni per valorizzare le diverse provenienze degli abitanti della città. È orgoglioso della rivitalizzazione del cinema, trasformato in un teatro autogestito dagli stessi abitanti, dove gli spettacoli per bambini si accompagnano alle proiezioni di film e interventi di approfondimento culturale. È orgoglioso del motivo per cui è nato il suo movimento, At-Wellol, che riunisce 50 giovani volontari accomunati dall’idea della cultura al servizio del lavoro sociale e del cambiamento politico.

Zuwara è una città della Libia e Badis è uno dei pochissimi libici presenti alla conferenza. La mia eccitazione del poter condividere questa storia di mobilitazione culturale e sociale si lega alla straordinaria esperienza di questa città rispetto all’attuale situazione in Libia. Pericolo, complessità, mancanza di informazioni dalle altre regioni, conflitti tra le diverse milizie. La Libia è buco nero, ma il movimento At-Welloh ha permesso al piccolo mondo dei partecipanti all’evento di Tunisi di conoscere i desideri di una società che non riesce ad esprimersi, dentro e fuori il suo paese.

La città si trova sul mare, vicino al confine con la Tunisia. È abitata da una maggioranza amazigh, popolazioni berbere nordafricane. Ha sofferto la repressione di Gheddafi e il suo disegno di imporre alle minoranze “non arabe” una sola visione del mondo. Ha sofferto la guerra civile. Ha sofferto la presenza di bande di trafficanti e la morte per annegamento di circa 200 persone, molte delle quali trovate sulle spiagge nell’agosto del 2015. In quell’anno la popolazione insorse contro la morte. Un messaggio di solidarietà a queste donne e uomini, migranti verso l’Europa e lungo tutto il Nord Africa, che permette ai giovani di parlare di diritti, di proporre strumenti culturali e di affrontare i problemi della città, della Libia, del mondo che passa attraverso la Libia. Da due anni, Zuwara non è più la capitale delle partenze e dei traffici dei migranti in Libia. Così Marta Bellingreri, scrittrice, giornalista e attivista italiana in Medio Oriente, inizia il suo reportage sulla recente esperienza di mobilitazione.

Manifestazione a Zuwara il 4 settembre 2015 contro le morti in mare e i trafficanti di uomini

Inserita nel contesto della conferenza, la storia di questi ragazzi porta sul tavolo il tema del desiderio come leva di cambiamento. La scelta di investire sulla cultura, sul dialogo interculturale, sulla partecipazione civica, su un’organizzazione di mutua difesa e solidarietà tra i cittadini di Zuwara è un esempio straordinario per tutti. Eppure, è proprio un desiderio, simile e complesso allo stesso tempo, a indurre alcuni degli amici e dei compagni di Badis a partire per l’Europa e a lasciare quel laboratorio sociale di futuro. Come facciamo a realizzare i nostri progetti senza di loro? Si cheide Badis. E se partissero tutti? Quale consiglio posso dare? Il viaggio è pericoloso, l’Europa non è il paradiso che tutti cercano. Può far male. Cosa suggerire, cosa fare: partire o restare? Quale risposta?

Sono le domande che si pongono anche alcuni studenti universitari tunisini, attivisti mobilitati dalla rete Alarm-Phone. In Tunisia, chi emigra in modo irregolare si chiama harraga, che significa “colui che brucia”. Bruciare le frontiere, bruciare le leggi. Bruciare è un concetto che deriva dalla pratica di molti che giunti in Europa hanno bruciato i propri documenti di identità per evitare di essere rimpatriati. L’emigrazione degli harraga è complessa, ma oggi è il desiderio di una nuova vita, di cambiamento, di una seconda chance ad essere un elemento molto più rappresentativo del fenomeno rispetto alla necessità di trovare lavoro e di mantenere le proprie famiglie. Ed è sempre il desiderio a muovere le coscienze di chi emigra da più lontano, dalla Costa d’Avorio, dal Senegal, dal Mali, dal Cameroun. Desideri variopinti, forse diversi, a volte poco comprensibili e comparabili. Ma accomunati dalla una condizione di mobilità di cui si ha bisogno, come Badis che considera quest’esperienza a Tunisi come una nuova apertura verso il mondo.

Manifestazione a Tunisi il 23 settembre 2017 per il diritto alla mobilità]

Cosa consigliare, dunque? Partire o restare? La domanda permea tutta la giornata di ieri. E la risposta che insieme abbozziamo non è meno complessa.

Non bloccare i desideri, ma mostrare le contraddizioni e informare sugli ostacoli e sulle possibilità di disillusioni. Questo significa portare in Libia, in Tunisia, in altri stati africani la conoscenza delle politiche europee, degli accordi bilaterali con gli stati africani sull’esternalizzazione dei confini. Significa approfondire lettera per lettera cosa prevedono i diversi disegni di migration compact, accordi disegnati per ridurre i flussi migratori. Significa sensibilizzare rispetto alle condizioni di vita di molti studenti e lavoratori sub-sahariani da decenni migranti nei paesi del Nord Africa. Significa condividere le idee con le università, gli studenti, i giovani, le associazioni. Significa diffondere il numero d’emergenza di Alarm-Phone +334 86 51 71 61, che offre alle persone in difficoltà in mare una seconda opportunità di far sentire il loro SOS, e divulgare le informazioni sulle rotte, sui pericoli, su chi, quando e dove, può dare un aiuto.

 

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