Nuova Weltanschauung e cecità delle leadership

La mancanza di una visione del mondo, coerente, trascina le campagne elettorali delle democrazie rappresentative mondiali in un continuo gioco all’inseguimento della pancia dell’elettore. Che, di fronte ai trasformismi, spesso sceglie il peggio, ma autentico.

di Angelo Miotto
@angelomiotto

Il voto tedesco e il successo del partito xenofobo e razzista Afd, ora, fanno gridare all’armi si iscrivono in una lunga serie temporale di scivolamenti consistenti verso una radicalità sociale di rifiuto, soprattutto sul tema dell’immigrazione e della rivendicazione dell’identità nazionale. La paura della destra estrema porta a sdoganare con sollievi di Pirro la vittoria di formazioni patinate, come in Francia, che applicano teoremi socio-economici di destra, senza mezzi termini.

Le grandi coalizioni saranno anche utili per la governabilità sul breve periodo, ma inevitabilmente finiscono per danneggiare il DNA dei valori e quindi delle azioni politiche che si stemperano nel difficile gioco degli equilibri politici, di cui sempre meno importa a un pubblico che viene nutrito di politica spettacolo, ritenuto sostanzialmente un generatore di consenso al momento del voto, per poi tornare a una separazione netta fra universi, ormai paralleli, del Palazzo e della strada.

Lì pescano, da sempre, le logiche che in Italia furono battezzate anti-casta, o i movimenti che rispondono in maniera diretta e con una retorica spiccia, al luogo comune di società che spesso annegano in un analfabetismo di ritorno molto forte.

Le parole diventano primitive, quando non sono legate insieme da un sogno, da un progetto, tale per cui ha senso praticare rinuncia o aprire un confine.

Il tema della migrazione, che si va a scontrare con la ‘retorica del disumano’ (come la chiama Marco Revelli), in cui i poveri vogliono scacciare i più poveri, preoccupati dalla mancanza di spazi ed economie quotidiane vitali, non ha visto nessun grande progetto politico capace di scrivere un disegno utile, efficiente, capace di generare una spinta anche ideale, o di creare una tolleranza nel nome della solidarietà.
Anche perché la solidarietà vien meglio a pancia piena, non è un mistero.

Le teorie economiche imposte proprio dalla Germania che oggi si sfascia la testa contro un muro caduto, con l’estrema destra in parlamento, hanno condannato i governi europei alle aritmetiche fredde dei rapporti bilancio/Pil, con il pareggio inserito nelle Costituzioni, con la maledizione dell’austerità trasposta a valore universale di progresso e benessere.

Il risultato dell’ultima crisi e di queste politiche sta in una forbice mai così divaricata fra ricchi e poveri, nell’aumento delle povertà e sacche di disoccupazione in diversi paesi e nella guerra per le risorse scarse, che sul tema migrazioni si nutre del megafono dei partiti che fanno incetta di consensi stimolando la paura, spingendo la rabbia, dissotterrando antiche litanie sull’identità e sui confini che danno sicurezza, che rendono la terra meno mobile per chi, nemmeno culturalmente, ha i mezzi per interpretare il presente.

Non c’è nell’All’armi! che è risuonato anche ieri da trarre che una lezione: c’è bisogno di una visione del mondo e di una leadership capace di disegnare e far volare quel progetto.

L’Europa degli stati nazionali è ripiegata su se stessa, incapace di essere davvero Europa, reagendo a parole, ma nei fatti frantumata dai singoli interessi, dalle lobby potenti sul piano finanziario. E così le piccole formazioni, che ora sono cresciute e si avviano nelle stanze delle istituzioni, sono quelle che hanno fatto un lavoro di oscurantismo, travestito da trasparente difesa di chi non si sente rappresentato dalle grandi tradizioni partitiche. L’immigrato diventa soggetto delle ‘invasioni’ come titolò questa estate il Corsera, in un momento di cecità sull’uso delle parole.

Destra e sinistra non esistono più, dicono i profeti del nulla, per avere campo libero e raggruppare il bacino elettorale in base al vento che tira, chi fu grande partito non è capace di affrontare con coerenza dura, ma necessaria, e scivola sul discorso degli altri, con i distinguo, con gli ammiccamenti. Dove però, alla copia, si preferisce sempre l’autentico.

In questo gioco al massacro, in questa assenza di lungimiranza, c’è solo da ritrovare la spinta per ricostruire le basi di un percorso, che passa da una società meno ignorante, da una politica più coerente, da nuovi ideali da associare ad antichi valori. Gridare ai barbari per il gusto di vaticinare l’orrore è uno sport che piace a molti, ma che non serve a nulla.

C’è bisogno di una nuova costruzione, di recuperare le parole e l’ascolto, c’è bisogno di una nuova classe dirigente, e di nuove teorie economiche e sociali che sappiano reagire al sistema di sbarre che si è chiuso, un cancello dopo l’altro, sulla possibilità di creare un nuovo orizzonte.