La lezione del primo ottobre

Centinaia di feriti, cariche della polizia, guerra mediatica e fra polizie e forze di sicurezza, in una data fatta precipitare in due settimane dall’ordine dei contenuti a quello dell’ordine pubblico.

di Angelo Miotto

 

C’è una lezione di grande civiltà e tutta politica nel Primo Ottobre catalano e non riguarda i temi dell’indipendenza, ma quello dei diritti civili.

La lezione ce l’hanno data giovani e anziani, genitori e ristoratori, pompieri e addirittura alcuni dei Mossos in divisa; in questi giorni sono riusciti a dimostrare l’immenso potere dei corpi contro paura, minaccia e intervento repressivo.

L’impotenza politica del Partido popular, non che i socialisti siano andati meglio in passato, i poteri forti della Spagna profonda, quelli che continuano a reggere le leve del potere, si sono trovati a gestire una strategia non solo sbagliata, ma controproducente. Quella della ‘proporcionalidad’, azione reazione, aspettando le mosse dell’esecutivo catalano e proponendo sempre una reazione, fino al teorema militare, dove considerato il referendum eversivo si è creata l’occasione per andare con i bastoni e gli scudi a dire chi detiene l’ordine dell’unità del Paese.

Ecco chi comanda, in una raffigurazione bellica del ruolo delo Stato, sfidato dal referendum illegale.

Anche i vertici del Govern catalano hanno giocato su una spinta pericolosa in questa sicurezza di confronto frontale che ha gettato i cittadini, gli elettori, in pasto a un destino impossibile da difendere. Ora sarà difficile prevedere quali saranno le conseguenze non solo a livello politico, anche perché è già partita la caccia alle streghe della magistratura spagnola- legata a doppio filo alla politica- ma soprattutto a livello sociale, laddove si è ingenerata una aspettativa altissima e dove i cittadini hanno saputo rispondere come gruppi auto-organizzati di fronte a una repressione dura, talvolta durissima.

Ma restiamo sulla lezione, che ci parla del potere della visione rispetto alla forza della società. Un obiettivo politico, votare, si è sostituito di fatto alla scelta di un sì o di un no. Votare, essere messi nelle condizioni di votare, riconquistare quelle condizioni dopo la criminalizzazione e il divieto non del referendum, ma della libertà di esprimersi, è stato uno degli atti più coraggiosi e significativi che si ricordino in questa Europa addormentata, in balia di gruppi editoriali schiavi di una normalizzazione delle cause che generano conflitto e di partiti che non hanno più nessuna visione del mondo, ma che reagiscono a colpi di campagne elettorali e leggi e leggine che seguono i sondaggi.

Del referendum, alla fine, si è riusciti a parlar poco negli ultimi venti giorni, con gli arresti decisi da Madrid il 20 settembre era infatti iniziata la strategia che ben conosciamo: se vuoi uccidere il contenuto di un evento, buttala in repressione e vedrai che funzionerà. L’attenzione si sposta su botte e feriti, su azione e reazione e la cronaca giudiziaria e delle questure e degli ospedali prenderà il posto delle occasioni di scambio e confronto dei contenuti.

Dal 2 di ottobre si disegneranno i nuovi scenari, ma un tratto indelebile è stato tirato: uno stato che manda la polizia a picchiare i propri cittadini inermi e pacifici mentre chiedono di poter esercitare un diritto è uno stato che ha perso, fallito, chiuso. E che va scritto in minuscolo.

In questo il Primo ottobre rischia di diventare, aspettiamo a dirlo, un mito fondativo. E forse anche un esempio non solo per chi rivendica una cultura, una identità, ma anche per chi rivendicherà speriamo presto una condizione e la richiesta di nuove visioni del mondo da contrapporre all’apatia indotta che attraversa il Vecchio continente, fatta eccezione per i brividi xenofobi che la scuotono.

 

Per questo grazie ai cittadini catalani.