Perù: esclusione sociale e bimbi indigeni

Discriminare significa negare o limitare diritti e opportunità a un determinato gruppo sociale rispetto ad altri. Purtroppo in Perù, come in molti altri paesi dell’America latina, si tratta di una pratica diffusa e a farne le spese sono soprattutto i bambini indigeni

di Mauro Morbello

Il Perù è un paese multietnico: il 47% della popolazione è meticcia: il 32% amerinda, 18% bianca, 2% africana e 1% asiatica. Sin dall’arrivo dei primi colonizzatori le relazioni tra il ceto dominante di origine europea e le popolazioni indigene sono state basate su principi di discriminazione che, con limitate eccezioni e nonostante dichiarazioni di principio che le negano, proseguono sino ad oggi

La dimensione dell’esclusione sociale che esiste nei confronti delle popolazioni amerinde del Perù è stata rilevata in maniera chiara dall’Istituto Nazionale di Statistica (INEI) che, nel 2016, ha pubblicato uno studio dal titolo Perù: condizioni di vita secondo l’origine etnica”.

Nella freddezza dei dati presentati nel documento emerge una radiografia antropologica di un paese caratterizzato da molte iniquità e contraddizioni sociali, che colpiscono in maniera marcata in particolare le popolazioni indigene che vivono nelle zone rurali delle Ande e della regione amazzonica.

Molti elementi confermano la situazione di discriminazione esistente nel paese. Ad esempio l’incidenza della povertà che, a fronte di un tasso del 20,7% a livello nazionale é appena del 18,8% tra la popolazione che parla spagnolo, mentre arriva al 33,4% tra la popolazione indigena (rurale e urbana) e addirittura al 43,9% prendendo in considerazione solo la popolazione indigena che vive nelle zone rurali.

Oppure il livello di analfabetismo rilevato tra gli abitanti con più di 15 anni di età: il 6% a livello nazionale, 16,8% tra gli indigeni rurali e addirittura 33,6% tra le donne amerinde dell’area andina  e amazzonica.

O ancora il tasso di informalità dell’impiego, cioè la condizione di coloro che lavorano senza un contratto che permetta di accedere all’assistenza sanitaria, alla pensione e agli altri diritti fondamentali del lavoratore: già di per se altissimo a livello nazionale (73,2%) arriva addirittura all’88,1% tra i gruppi etnici amerindi. La situazione si conferma anche rispetto alle condizioni abitative: la popolazione indigena rurale vive nel 72% dei casi in dimore costruite con mattoni di fango e pavimento in terra battuta rispetto alla media nazionale del 29,4%.

Appena un quarto circa delle famiglie indigene delle zone rurali hanno accesso alla luce elettrica, solo il 35% all’acqua potabile e un misero 56% alle fognature.

Si tratta di una dimensione di esclusione sociale davvero estrema, che dovrebbe offendere le coscienze anche perché, più degli adulti, le vittime principali di questa situazione sono i bambini.

E’ così, ad esempio, che a fronte di un livello di denutrizione infantile nazionale nel 2016 del 13,1% – di per se già molto alto – tale incidenza nelle zone rurali andine e nella regione amazzonica del Perù raddoppia, arrivando al 26,5%. Simile è il caso dell’anemia: con un’incidenza del 43,6% nazionale, raggiunge il 53,4% tra i bambini delle zone rurali, arrivando al 70% e oltre in molte comunità indigene delle zone alto andine.

E’ però soprattutto nel settore educativo dove si evidenzia in maniera chiara una situazione di oggettiva iniquità ed esclusione sociale, in realtà di vera discriminazione, nei confronti dei bambini indigeni che vivono nelle zone rurali del Perù.

Secondo dati OCSE 2015, tra 64 paesi analizzati il Perù risulta essere uno dei tre dove la situazione socio economica degli studenti evidenzia il maggiore impatto negativo sui rispettivi risultati scolastici. L’OCSE indica che in Perù uno studente di 15 anni proveniente da una situazione di povertà, ha sette volte più probabilità di manifestare un basso rendimento scolastico rispetto ai compagni provenienti da una estrazione sociale superiore. L’istruzione offerta dalla Stato dovrebbe essere il principale strumento per interrompere questo nefasto circuito ma così, a parte rare eccezioni, non avviene.

A causa dello scarso interesse dei differenti governi che si sono succeduti negli ultimi 40 anni, l’istruzione pubblica peruviana è stata abbandonata a se stessa. Ancora oggi, nel 2017, il paese investe  appena il 3,8 % del PIL in istruzione, rispetto a 8,2% della Bolivia; 6,6% dell’Argentina, 5,7% del Venezuela, 5,6% del Brasile, 4,7% del Cile, 4,6% della Colombia, 4,5% dell´Ecuador, 4,4% del Uruguay (CEPAL 2016). Secondo calcoli OCSE negli ultimi 10 anni il Perù ha investito in istruzione il 35% meno rispetto alla media del resto dei paesi dell’America latina.

Un investimento ridotto ha avuto ed ha un effetto negativo diretto sulle condizioni e la qualità dell’insegnamento che viene impartito. Non stupisce quindi, purtroppo, che ormai da decenni l’istruzione pubblica peruviana risulti essere letteralmente una delle peggiori del mondo. Addirittura la peggiore secondo quanto hanno evidenziato le prove internazionali OCSE PISA degli ultimi anni.

Una delle principali ingiustizie derivanti da tale situazione è quella di perpetrare all’infinito il c.d. circolo vizioso della povertà che trasmette, generazione dopo generazione, tale condizione di padre in figlio. Negando qualsiasi opportunità di riscatto sociale alla grandissima maggioranza dei bambini che provengono da famiglie in condizione di povertà.

A soffrire le maggiori conseguenze di questa situazione sono il 72% dei bambini peruviani in età scolastica, 6 milioni di studenti che frequentano le scuole pubbliche. Sono bambini obbligati a frequentarle – quasi sempre loro malgrado – perché le famiglie non si possono permettere di iscriverli in centri educativi privati.

Chi paga il prezzo in assoluto più salato sono però soprattutto i bambini indigeni che vivono nelle zone rurali.

I dati delle prove ufficiali realizzate dal Ministero dell’Educazione peruviano (MINEDU) nel 2015 ai bambini che frequentavano la 2da elementare sono emblematici in tal senso: a fronte dello – già di per se scarso e preoccupante – 55,1% dei bambini che raggiungeva gli obiettivi di lettura nelle aree urbane, vi riusciva solo il 18,5% nelle scuole rurali frequentate da bambini Quechua, Aymara o delle altre etnie amazzoniche. In matematica la situazione era ancora più critica: raggiungeva gli obiettivi il 29,1% dei bambini nelle aree urbane, contro appena il 12,3% nelle zone rurali.

Secondo dati ufficiali del Ministero dell’Educazione del Perù 2015, a causa delle difficoltà di apprendimento i bambini delle zone rurali presentano un ritardo nell’avanzamento scolastico di almeno un anno che è oltre il triplo (18,9%) rispetto  a quello registrato nelle aree urbane del paese (5,4%).

L’accumulo progressivo del ritardo scolastico aumenta enormemente le probabilità di una diserzione definitiva. In questo senso non sorprende quindi che solo il 45% dei ragazzi residenti nelle aree rurali del Perù concludano opportunamente il ciclo secondario secondo l’età programmata, contro il 74% che riesce a farlo nelle zone urbane.

Le conseguenze del basso investimento in istruzione pubblica hanno molti effetti che spiegano la criticità della situazione: ad esempio il basso livello di formazione degli insegnanti, mal retribuiti e generalmente demotivati; oppure le strutture precarie, lo scarso equipaggiamento delle scuole e la mancanza fisiologica di materiale didattico. Nelle zone rurali frequentate da bambini indigeni a questi problemi se ne aggiungono però altri, molto gravi, che aumentano notevolmente la condizione di discriminazione esistente.

In primo luogo il funzionamento limitato di scuole bilingue, nelle quali dovrebbero insegnare maestri che, oltre allo spagnolo, parlino anche la lingua materna dei bambini indigeni. Nonostante sia un principio sancito dalla costituzione, tale diritto è frequentemente trasgredito.  Di fatto in oltre il 25% delle classi con bambini indigeni il maestro non parla la loro lingua.

Soprattutto durante i primi anni di scuola questa situazione genera evidenti effetti negativi sugli alunni, che presentano difficoltà persino per capire quello che sta dicendo loro il maestro. Le conseguenze sono purtroppo confermate da dati ufficiali che indicano come riescano a concludere opportunamente il ciclo di scuola primaria in maniera conforme all´età (12-13 anni) l’84% dei bambini con lingua materna spagnolo, mentre lo fanno solo il 65% di quelli di lingua indigena.

 

Un ulteriore elemento di criticità che lede il diritto all’istruzione di qualità dei bambini indigeni consiste nel sistema di insegnamento applicato nelle zone rurali del Perù. La dispersione e le piccole dimensioni dei centri scolastici rurali provocano come conseguenza che il 90% delle scuole elementari nelle zone andine e della regione amazzonica, frequentate dagli alunni indigeni, funzionino con il sistema c.d. “multigrado”, dove un solo maestro nella stessa aula segue studenti di differenti livelli scolastici (ad. es. 1ma, 2da, 3a elementare).

Si tratta di bambini che hanno differenti età, diverse caratteristiche socio familiari, differenziati gradi di conoscenza della lingua spagnola, avendo la maggioranza degli alunni delle zone rurali una lingua materna diversa appunto dallo spagnolo. E’ facile immaginare quanto sia complesso assicurare un insegnamento pertinente in tali condizioni.

Ma non è finita qui. Molte delle scuole multigrado delle zone rurali (37%) sono anche “unidocente”. Qui un maestro non solo insegna a bambini di differenti livelli ed età, ma deve occuparsi – da solo – anche di tutte le responsabilità derivanti dalla gestione scolastica (amministrative, istituzionali, ecc.). Ovviamente questa situazione incrementa ulteriormente le già enormi difficoltà pedagogiche dell´insegnamento multigrado. In queste condizioni non sorprende quindi che le bocciature registrate nelle classi multigrado siano del 50% superiori rispetto a quelle mono grado: 12% in media rispetto a 8%.

A incrementare la difficile situazione sofferta dai bambini indigeni del Perù che vivono nelle zone rurali andine e amazzoniche si sommano altri due principali elementi: la distanza dei centri scolastici dalle zone di residenza delle famiglie e l’alta incidenza del lavoro infantile.

La distanza della scuola da casa, in aree caratterizzate dalla quasi totale assenza di mezzi di trasporto, significa per i bambini dover fare un lungo cammino a piedi, spesso in condizioni difficili durante il periodo delle piogge nella regione amazzonica o dell´inclemente inverno andino.

Riducendo ulteriormente in questo modo il tempo utile per lo studio e aggiungendo fatica alle già precarie condizioni scolastiche esistenti.

Il tasso di incidenza del lavoro infantile in Perù a livello nazionale (26%) è già di per se molto alto: circa il doppio della media esistente tra i paesi latino americani. Il problema si incrementa ulteriormente nelle zone rurali dove secondo dati ufficiali arriva al 52,3%, ed esplode in tutta la sua drammaticità soprattutto nella fascia d´età tra i 6-13 anni, quando l´incidenza del lavoro minorile, legato soprattutto alla realizzazione di attività agricole, raggiunge addirittura il 67,5%.

Oltre a ridurre il tempo dedicato allo studio o alla sana ricreazione e al gioco – che è un diritto fondamentale per i bambini – il lavoro infantile incide sulla loro condizione fisica e, soprattutto durante la stagione dei raccolti, provoca forti percentuali di assenza contribuendo a favorire la diserzione scolastica. Aggiungendo così un ultimo triste tassello alla lista delle difficoltà che i bambini delle zone rurali del Perù devono affrontare per tentare di esercitare quello che formalmente dovrebbe essere il diritto all´istruzione.

Un diritto  che a tutti gli effetti pare a loro in realtà negato, perpetrando in questo modo una inaccettabile condizione di esclusione sociale, rispetto alla quale un impegno serio per porvi termine nel più breve tempo possibile dovrebbe essere un imperativo imposto alle nostre coscienze.