Come fiume alla tua sponda

Il libro di Isidora Tesic

Pubblichiamo un estratto del libro Come fiume della tua sponda, ZephyroEdizioni, di Isidora Tesic. Isidora è parte della famiglia di Q Code Mag, che ha abitato con i suoi racconti.

estratto da Innumerevoli altri
di Isidora Tesic

L’invisibilità è una malattia tipica del sangue deluso, Hervé lo sa per esperienza. E se lui non è ancora completamente invisibile, è perché non è ancora completamente deluso.

Anche se, questa sua delusione, tardiva a sopraggiungere, non gli è scomoda. Naturale processo di invecchiamento. Ad alcuni si logorano i muscoli sgonfi, a qualcuno l’anima caparbia.

A Hervé, l’ha sempre saputo, si logora la fede. Lo ammette, la colpa è sua. L’ha sempre messa alla prova.

La fede in Dio, l’ha persa per lavoro. Dove si è mai visto un astronomo che crede in Dio. Non sarebbe coerente.
La fede nel futuro, quella, non è sicuro d’averla mai avuta. Troppo generalizzata. E Hervé odia le generalizzazioni.
Gli rimane, ancora, una fede incerta negli uomini.

Questo perché sembra sia incurabile. Non che non abbia cercato rimedi. Ma, inevitabilmente, gli fulge lo sguardo ad osservare chi gli passa accanto.

La volta, del suo petto scarnito, accoglie i gesti e dolori d’ognuno. Come una costellazione infinita, che lui solo riesce a vedere.

Se dovesse essere sincero, direbbe che li osserva per l’avido timore di essere dimenticato. Ma Hervé non ha con chi essere sincero. Quindi non deve spiegazioni, per l’inespugnabile suo silenzio.

Hervé rialza lo sguardo, per ricominciare a contare. Non ama distrarsi.

Il mondo sfugge troppo velocemente. Così velocemente, che il suo cuore ha una vertigine e la sanguinosa paura di trovarsi solo, lasciato indietro.

Non ha pietà il tempo degli uomini. Non somiglia a quello freddo, espanso, delle stelle. Dilatato fino a quando vita e morte non diventano uguali.

Ad un tratto, vede la bambina avvicinarsi cauta ad una donna, giovane certamente. Alta, sottile. È di spalle, Hervé non le vede il viso. Somiglia stranamente a quel quadro di Magritte.

Hervé si guarda attorno. Nessuno dei contati la osserva. Ciascuno con il proprio dolore, trapiantato in qualche angolo
di pelle, per essere esposto. Hervé se ne stupisce.

La donna è sicuramente bella, ha capelli di tristi rami di salice. E una schiena stretta, da abbracciare con cautela.

Le mani, posate su una custodia nera, ricordano fiori di biancospino. Il biancospino protegge il cuore. Del cuore di chi hanno cura, quelle mani? Hervé si ricompone. Non è da lui, osservare senza contare.

La guarda, ancora. Ma oltre all’aura di vento e la culla dei fianchi, nulla riesce a vedere.

La donna non dà adito a conti. Ogni gesto sembra esserle irripetibile. Hervé si sconvolge. Il ronzio del sangue gli scioglie le ossa.

Non può più permettersi arroganze da bilanciere: non si misura, non si conta la vita degli altri.

Anni di vita, sessantadue. Amori, due, forse tre. Dell’ultimo vissuto, Hervé ricorda un fiato fioco e un’anima
veloce. Anni felici, dieci complessivamente. La quiete non è una forma alta di felicità, tutti lo sanno. E se non lo sanno, lo imparano.

Sconfitte, innumerevoli. La questione sta nel riconoscerle. Dolori, molti. Ragionevolmente alternati, acuti e cronici. Abbastanza spietati da avergli dilatato l’anima.

Vittorie, una in fondo. Contro l’interminabile strazio di non essere abbastanza. Per la prima volta, dopo anni, Hervé chiude e ripone il suo taccuino.

La bambina si allontana e la donna rimane sola. Si gira verso di lui, il suo volto è siderale. E gli occhi li ha
arsi da ruggine antica. Lo guarda, per un lungo momento, poi gli sorride.
Hervé ricambia.

La donna si allontana con la sua custodia. Impresso nel cielo, rimane il suo peso.

Non sa chi l’aspetterà alla banchina, Hervé vorrebbe vederlo.

Ma se dovesse fare una stima, lo immagina con mani attente e larghe, quanto la sua schiena.
E un cuore che profuma di biancospino.