Siria, la rivoluzione rimossa

Dalla rivolta del 2011 alla guerra, il libro di Lorenzo Declich

di Christian Elia

La guerra in Siria non è un conflitto dimenticato. Di fronte ad alcune cose che sono state scritte e dette, a volte, viene da rimpiangere l’oblio. Poi, per fortuna, son state scritte anche cose necessarie.

Tra queste, il libro di Lorenzo Declich, Siria, la rivoluzione rimossa, Alegre edizioni.

In nessun modo, oggi o domani, quale che sarà la situazione sul campo, la logica del vincitore, la cecità dei campioni del complottismo internazionale, i rottami del fascismo e i campioni del laicismo, si potranno mutare alcuni punti fermi.

La Siria, prima del 2011, non era un paese libero. Molti, che la Siria non l’hanno mai vista, lo sostengono ex-post per quieto vivere, riottosi al prezzo della battaglia per la libertà. Altri, che la Siria la conoscevano, lo sostengono per infamia ideologica. Della quale risponderanno alle loro coscienze.

Secondo punto: la rivolta del 2011, non esplode in modo inatteso, ma è il culmine, che si intreccia e si nutre di una dinamica internazionale, di un processo politico che è in corso nel Paese almeno dal 2000. Le lotte precedenti, soffocate nel sangue dal dittatore padre, avevano subito una cesura con il processo iniziato dopo il cambio al vertice con l’ascesa del dittatore figlio. Ma la Siria è stata, per decenni, uno stato di polizia e di dissidenti massacrati.

Il nucleo di attivisti, attorno al quale si coagula l’insurrezione del 2011, è stato non violento fino alla brutale repressione del regime. Anche quando in forma di autodifesa i ribelli hanno iniziato a militarizzarsi (con armi rubate al regime o portate loro dai disertori), molti di loro hanno provato a difendere il livello non violento della rivolta.

Il regime ha colpito con furia cieca proprio loro. Liberando prima con un’amnistia molti dei tagliagole che si sono posti al comando dei gruppi peggiori, evitando lo scontro diretto con questi per molto tempo. Privilegiando le torture e sparizioni degli intellettuali e dei non-violenti, preferendo assediare per fame e bombardare civili.

Il libro di Declich è un libro innamorato, lucido, ricco di fonti. Per anni una rivoluzione seguita da lontano, mentre veniva derubata dei suoi principi (cittadinanza, dignità, libertà), è stata raccontata solo con una grammatica di violenza.

Chi, come Declich, ha provato a raccontare tutto il resto, si è scontrato contro un muro di malafede e disinformazione, essendo la prima un problema, la seconda una colpa.

Ecco che la società multietnica degli Asad si svela per quel divide et impera delle comunità, che al momento di dover salvare il regime è diventato una vera e propria strategia della tensione interconfessionale. Ecco che il paese ‘tranquillo’, racconta di generazioni intere di torturati e terrorizzati, di clan economico-politico-militari che tengono il paese per la gola.

Poco e male è stata supportata la parte migliore di questa rivoluzione, tanto e per agende altre è stata foraggiata l’ala militare. Il meglio, l’anima di questa rivolta, è stata lasciata da sola contro il terrore.

E’ tutto fallito? No, molte cose sono successe e i semi che si son diffusi non seccheranno. Molto sangue ancora sarà versato, in un paese dove un clan ha venduto la sua sovranità a Russia e Iran, dove l’elemento curdo rappresenta una variabile e dove milioni di persone hanno perso tutto.

Hanno fatto un deserto, la chiameranno pace, ne daranno la colpa a quelli che chiedevano la libertà. Un libro come quello di Declich serve a mettere in ordine, ma anche a non dimenticare, perché quei semi sono vivi, tra le macerie. E non possiamo permetterci di fallire anche la prossima volta.