MY GENERATION

La Londra degli anni Sessanta, un movimento culturale e di costume

di Irene Merli

MY GENERATION, di David Batty, con Michael Caine. Nelle sale dal 22 al 29 gennaio come evento speciale, presentato da I Wonder.

Un tuffo nella Londra degli anni Sessanta, tra minigonne, vestiti coloratissimi, un’enorme quantità di giovani ribelli lì, a breve distanza da Buckingham Palace, e la musica, la musica dei Sixities che ha letteralmente invaso il mondo.

A partire dal primo inno generazionale, l’urlo degli Who che dà il nome a questo bellissimo, particolare, documentario. Così particolare che la guida a quegli anni di incredibile esplosione creativa é nientemeno che sir Michael Caine, due Oscar alle spalle e 84 anni ben portati.

Fin dall’inizio, noi vediamo la Swinging London con i suoi occhi e attraverso le sue interviste ai personaggi chiave, tutti suoi amici da allora: Marianne Faithfull, Twiggy, Mary Quant, David Hockney, Paul Mc Cartney, Roger Daltrey, Lulu, Keith Richards, David Bailey.

Lui era Alfie, a quei tempi, ed è struggente la sequenza in cui guida oggi in Piccadilly Circus e senza soluzione di continuità lo si vede guidare attraverso la stessa piazza nel film che lo rese famoso nel 1965, in bianco e nero, per creare nello spettatore un effetto di viaggio a ritroso nel tempo.

In effetti Il regista e i produttori hanno lavorato per cinque anni cercando materiali d’epoca d’archivio inediti: filmati, interviste, shooting di fotografi (Bailey che immortala Jean Shrimpton, mica bruscolini), immagini di negozi di strumenti musicali a Charing Cross Road, del mitico negozio di Biba a Carnaby Street, dei tagli folli e geometrici di Vidal Sassoon, di memorabili concerti come quello degli Stones subito dopo la morte di Brian Jones, della leggendaria discoteca Ad Lib e del Club The Cavern dove suonavano i Beatles, che poi il tenace team ha montato intrecciandoli con scene in cui sir Caine visita oggi i quartieri delle sua infanzia, il West End, King’s Road, Leicester Square…

Ma lungi dall’essere uno dei tanti, eleganti documentari che giocano sull’effetto nostalgia, My Generation ha un preciso taglio assai politico, che poi è esattamente il punto di vista del grande attore al comando della plancia.

Vedendolo si capisce in modo inequivocabile che quella straordinaria rivoluzione che cambiò per sempre l’Inghilterra nacque dal rifiuto dei giovani della working class di fare quello che la società rigidamente classista chiedeva loro: stare allo stesso posto dei loro genitori, svolgere un medesimo tipo di lavori, rispettare i superiori.

Forse i britannici sono più informati al riguardo, ma non so quanti altri si siano mai fermati a pensare che i Beatles, i Rolling Stones, gli Who, Mary Quant, Twiggy, David Bailey, Richard Burton, Albert Finney, Harold Pinter, i Giovani Arrabbiati e anche Michael Caine erano tutti di estrazione popolare.

Ma quella nuova generazione, la prima che aveva goduto del welfare e di una buona istruzione pubblica grazie alle riforme dei governi laburisti, rifiutò le regole del gioco e decise invece di fare quello che voleva in ogni campo, di vestirsi, pettinarsi e vivere come voleva,di fare e sentire la musica che voleva.

“Quando sono tornato dalla Marina, a 21 anni, l’unica radio era la Bbc, che trasmetteva solo musica classica e anche il tipo che leggeva il notiziario era in giacca e cravatta”, racconta il grande attore, figlio di una donna delle pulizie e di uno scaricatore di pesce, che riuscì a lanciarsi nella carriera cinematografica in Zulu, dove recitava la parte di un ufficiale solo perché il regista era americano e non aveva fatto caso al suo accento cockney.

“Persino per i caporali i registi inglesi prendevano attori australiani”. E via così, di discriminazione in discriminazione.

La grande rivoluzione sociale, culturale e sessuale di quella irripetibile decade, che non lasciò nulla come prima, fu quindi opera di working class heroes, per dirla con John Lennon, che in questo film si sente parlare più volte da giovane, con prevedibile, irrefrenabile emozione.

E da lui e Paul Mc Cartney si apprende anche che la prima canzone degli Stones fu scritta dai Beatles… Ma vi lasciamo il piacere di scoprire questa chicca come molte altre, raccontate da Mr.Caine e dai suoi intervistati.

“Siamo qui, questa è anche la nostra società e non vogliamo andarcene”, dice Michael Caine sempre nel film, ricordando la forte propositività e la fiducia nel futuro dei tempi della sua giovinezza.

Non si trattava solo delle canzoni, del cinema, della fotografia, della moda, ma anche di mettere in discussione l’ipocrisia delle elités, di difendere la volontà di crearsi un proprio codice morale e di essere chiunque si volesse, a prescindere dalla propria provenienza sociale.

Di spezzare le catene delle origini operaie una volta per tutte e offrire un futuro migliore anche alle generazioni future.

Quanto alla musica, ogni canzone di My generation è un raffinato, ben assestato colpo al cuore.

E altro non ci si poteva aspettare da un produttore come Simon Fuller, che viene dalla discografia e così ha selezionato per noi le hit del decennio. Da Strawsberry Fields dei Beatles a Satisfaction degli Stones, da Something in The Air dei Thunderclap Newman a I feel Free dei Cream, dalla seduttiva Sunshine Superman di Donovan all’impetuoso invito alla fuga di We gotta get out of this place degli Animals.

Insomma, gli 85 minuti di questo splendido documentario passeranno in un attimo, vi divertiranno e vi commuoveranno. Non perdetelo!