Effetto serra effetto guerra

Clima, conflitti, migrazioni: l’Italia in prima linea

di Christian Elia

“Per questo un climatologo e un diplomatico – così lontani, così vicini – hanno preso la penna. Noi due, ciascuno nel proprio ambito, giungiamo alle stesse conclusioni: se abbandoniamo i più poveri de soli alle prese con il cambiamento climatico, non solo facciamo finta di non capire ciò che ci insegna la scienza moderna del clima e dell’analisi geopolitica – cioè che siamo tutti sulla stessa barca e che i problemi sono interconnessi e hanno una dinamica globale – ma lasciamo anche crescere un bubbone di conflittualità che prima o poi raggiungerà pure noi; i primi migranti del clima lo sanno bene”.

Basta questo passaggio delle conclusioni del libro Effetto serra effetto guerra – Clima, conflitti, migrazioni: l’Italia in prima linea, edito da ChiareLettere, per fermarsi un attimo a ragionare.

Il lavoro di Grammenos Mastrojeni e Antonello Pasini, rispettivamente diplomatico coordinatore per l’ambiente della Cooperazione allo sviluppo italiana e fisico climatologo del Cnr, è allo stesso tempo un punto di arrivo e uno di partenza.

Le strette connessioni tra il cambiamento climatico e i conflitti nelle aree che ne sono interessate, per non parlare delle migrazioni da quelle zone verso aree più abitabili, ha allo stesso tempo il portato dell’urgenze e del primordiale.

Una terra che, per generazioni, ha sfamato la popolazione locale, nel corso del tempo, diventa inabitabile. Perché si desertifica, perché le temperature diventano invivibili, perché non sono più coltivabili, perché franano, o si inabissano.

Come è sempre accaduto nel corso della storia umana le popolazioni di quel territorio si sposteranno, verso zone più abitabili, o si scontreranno, per contendersi risorse più scarse. In un contesto di costante aumento della popolazione.

Un lavoro serio e appassionato, quello di Mastrojeni e Pasini, che unisce la loro esperienza, la loro competenza, con l’urgenza di chi vede ogni giorno l’effetto di quel che accade sulla popolazione civile.

Tanti gli esempi: secondo un rapporto del centro studi Adelphi, in Germania, sarebbero ben 79 i conflitti riconducibili a cause legate a cambiamenti climatici.

Come già emerge nei lavori recenti delle Nazioni Unite, e nelle proiezioni di istituzioni specializzate, non c’è molto tempo: entro il 2030 gli effetti del cambiamento climatico comporteranno immani spostamenti di popolazione e conflitti.

Non c’è al mondo retorica populista e xenofoba che tenga: quel che bisogna fare è agire, per invertire nel lungo periodo e rallentare nel breve periodo, la devastazione di aree un tempo abitabili e che garantivano una sussistenza alle popolazioni locali.

Agendo, allo stesso tempo, sul mercato di armi, che inonda questi conflitti di strumenti di morte. Senza dimenticare il passaggio chiave: le disuguaglianze globali.

Un processo enorme, un lavoro immenso. Solo che non c’è alternativa, bisogna agire subito, e bene. Praticando diritti, come sempre, a partire da quello dello status di rifugiato ambientale.

Continuare a trattare il tema delle migrazioni sempre da un punto di vista emergenziale e securitario, non è solo miope, ma anche criminale. Magari porta un po’ di voti, ma non consente di cambiare la situazione. E partendo da lavori come questo, che si inizia a trovare soluzioni.

Allo stesso tempo, chi si occupa di guerra, non può e non deve limitarsi agli effetti, ma sempre di più lavorare su un’analisi di sistema e di contesto, per cogliere le connessioni del sistema globale che stanno alla base delle migrazioni come dei conflitti.