Omicidio al Cairo

Un noir che racconta la società egiziana

Omicidio al Cairo, di Tarik Saleh, con Fares Fares, Mari Malek, Ahmeed Salem. Gran Premio della Giuria al Sundance Film Festival 2017. Nelle sale

di Irene Merli

Il Cairo, 2011, poche settimane prima della rivoluzione di Piazza Tahrir. Nella suite del lussuoso Nile Hilton Hotel viene trovata sgozzata una giovane cantante, star di un locale frequentato dalle alte sfere egiziane.

Sulla sua morte si trova a indagare il maggiore Noredin Mostafà, che da anni lavora al centralissimo commissariato di Qasr al-Nil, protetto da uno potente zio generale.

Noredin è corrotto come quasi tutti i poliziotti della grande metropoli egiziana: prende mazzette, estorce denaro qua e là da commercianti e criminali, e soprattutto chiude gli occhi sui brutali metodi di interrogatorio che vede usare ogni giorno dai suoi colleghi.

Ma quando viene spinto proprio da suo zio ad archiviare il caso della cantante troppo frettolosamente, alcuni indizi lo spingono a continuare la ricerca di una verità più convincente, anche se pericolosa da trovare, tra pressioni, minacce e coinvolgimenti della politica e della sicurezza nazionale.

Lui non è certo un angioletto, ma in confronto ai suoi superiori sembra un santo e ancora un briciolo di compassione ce l’ha, soprattutto per il destino di una giovane testimone sudanese, cameriera e clandestina, una dei tanti invisibili che in una megalopoli fanno dannatamente in fretta a sparire, se danno fastidio a qualcuno di importante.


Omicidio al Cairo
si ispira a una storia vera. Nel 2008 una famosa cantante libanese era stata uccisa in un elegante hotel di Dubai.

Del delitto furono accusati un magnate dell’immobiliare, membro del Parlamento egiziano, e un alto funzionario della polizia cairota, entrambi molto vicini a Mubarak, e il caso aveva fatto scalpore soprattutto perché persone così legate al presidente, considerate intoccabili, erano finite in tribunale e condannate a 25 anni di carcere.

Il regista svedese Tarik Saleh, di padre egiziano, ha firmato un thriller teso, complesso e ben costruito, ma anche un film fortemente politico, perché calato nel contesto di una capitale capillarmente dominata dalla corruzione e dal malaffare.

L’omicidio diventa così una lente d’ingrandimento per analizzare la società egiziana. “Vuoi avere giustizia? Ma credi di essere in Svizzera?”, dice un personaggio altolocato a Noredin, in un momento cruciale delle indagini.

“La corruzione in Egitto è così profonda che trova radici persino in famiglia”, ha dichiarato il regista.

“Tutti hanno bisogno di un amico giusto o di un favore che dev’essere fatto. Con il mio film volevo essere onesto e dire quanto è marcio il sistema”. Con un messaggio così dirompente non era difficile aspettarsi problemi per le riprese, anche se ora il presidente è un altro.

E infatti prima ancora di iniziare a girare al Cairo Tarik Saleh ha ricevuto un messaggio dal Ministero dell’Interno egiziano che avvisava di non poter garantire la sicurezza della troupe e dei suoi familiari e un gentile invito a lasciare il Paese.

Così Il film è stato girato a Casablanca – ma sfidiamo chiunque conosca il Cairo e le sue notti ad accorgersene, tanto bene è stata ricostruita l’atmosfera della capitale nilota – e per la cronaca in Egitto ha ricevuto il divieto di programmazione.

Chapeau, chapeau bas
al coraggio e all’onestà di questo filmaker, giornalista, graffitista, che ha realizzato un ottimo film, con ottimi attori (il protagonista Fares Fares, svedese di origine libanese, è un perfetto antieroe): il suo Omicidio al Cairo intriga, mantiene alto l’interesse e riesce a scuotere le coscienze. Averne, di film così, a casa nostra.

Ndr. Date uno sguardo alla locandina: ricorda curiosamente quella di un famoso film di Hitchcock.