La fame come arma di guerra

Di Siria, Yemen e non solo

di Vito Todeschini

“Negli ultimi cinque anni la popolazione civile [siriana] ha sofferto più a causa degli assedi che di qualsiasi altra tattica impiegata dalle parti in conflitto”.

Così la Commissione d’inchiesta sulla Siria si è espressa nel suo ultimo rapporto, reso pubblico il 6 marzo 2018. Pochi giorni prima, il 24 febbraio, il Consiglio di sicurezza dell’ONU era riuscito ad adottare dopo lunghe negoziazioni la risoluzione 2401 in cui si chiedeva al regime di Assad e alla Russia di levare gli assedi imposti in determinate zone del paese, tra cui la Ghouta orientale, permettendo l’ingresso di cibo e medicinali e l’evacuazione dei residenti.

Tuttavia la risoluzione è rimasta lettera morta e ai convogli umanitari si è continuato a impedire di raggiungere la popolazione civile, se non in casi eccezionali.

Se le orribili circostanze in cui versano molte città e villaggi siriani non hanno bisogno di chiarimenti, è tuttavia utile gettare uno sguardo al diritto internazionale per meglio comprendere in che termini esso proibisca l’uso della fame come arma di guerra.

Di per sé gli assedi non sono vietati dal diritto internazionale umanitario, ossia l’insieme di norme che regolano i conflitti armati.

Un assedio che blocchi esclusivamente le forniture militari e i viveri destinati all’esercito nemico o a un gruppo ribelle rimane infatti un metodo di combattimento lecito fintanto che rispetti due principi basilari.

Primo: le parti in conflitto devono sempre distinguere tra coloro che prendono parte diretta alle ostilità, da un lato, e i civili dall’altro. Secondo: gli attacchi contro obiettivi militari non devono causare danni collaterali che siano sproporzionati rispetto al vantaggio militare che ci si attende di ottenere.

Questi due principi, detti di distinzione e di proporzionalità, si applicano a qualsiasi azione militare, assedi inclusi.

Di conseguenza il diritto internazionale umanitario vieta alle parti in conflitto tanto di impedire l’accesso della popolazione civile ai beni di prima necessità, quanto di bloccare o limitare i rifornimenti di viveri al nemico ogni qual volta ciò possa avere un impatto negativo sproporzionato sulla popolazione.

Al giorno d’oggi, quindi, solo in circostanze limitate è possibile condurre un assedio nel rispetto del diritto internazionale umanitario, ad esempio quando lo si imponga contro una località da cui i civili siano stati evacuati. Nella maggior parte dei casi gli assedi contro i centri abitati risulteranno in violazione del diritto internazionale umanitario.

I due Protocolli aggiuntivi alle Convenzioni di Ginevra, adottati nel 1977 col proposito di rafforzare la protezione dei civili nei conflitti armati, contengono inoltre una clausola secondo cui “[è] vietato, come metodo di guerra, far soffrire la fame alle persone civili”.

Questa proibizione, che fa ormai parte del diritto internazionale consuetudinario, è stata richiamata dal Consiglio di sicurezza in varie risoluzioni riguardanti la Siria, compresa la già citata Risoluzione 2401.

Il divieto di affamare la popolazione civile è inoltre riconosciuto come crimine di guerra sia dallo Statuto della Corte penale internazionale che dalla legislazione di alcuni paesi (ad esempio la Germania).

Esso è complementare alla norma che vieta la distruzione dei beni indispensabili alla sopravvivenza della popolazione civile, quali le derrate alimentari e le riserve di acqua potabile.
L’assoluto divieto di affamare i civili non impedisce il largo impiego di questa tattica nei conflitti contemporanei.

L’assedio di Sarajevo, durato dall’aprile 1992 al febbraio 1996, è il primo esempio a venire in mente. In parallelo ai costanti bombardamenti e al fuoco dei cecchini, le vie di comunicazione con l’esterno furono tagliate da esercito e milizie serbe allo scopo di prendere per fame i residenti.

Seppur in un contesto differente, dal 2007 la Striscia di Gaza si trova sotto assedio da parte di Israele, il quale ha la capacità di decidere cosa può entrare a Gaza e quando.

Come è noto il blocco dell’ingresso di cibo, medicine e carburante, unito alla mancanza di acqua potabile, sta rendendo la Striscia un territorio sostanzialmente inabitabile. In Siria gli assedi sono stati utilizzati in varie località lungo l’intero corso del conflitto.

Oltre alla Ghouta, assediata dal 2013, altri casi sono il campo profughi palestinese di Yarmouk, alla perifieria di Damasco, e le città di Aleppo, Idlib, Homs e Deir Azzor.

A questi esempi ne va aggiunto uno ancor più recente, e purtroppo meno raccontato. Nel conflitto in Yemen, in corso dal marzo 2015, l’Arabia Saudita e i suoi alleati hanno imposto un blocco navale e aereo verso l’intero territorio come parte degli sforzi bellici contro i ribelli Houthi.

Lo Yemen è un paese che già prima dello scoppio del conflitto importava l’80-90% dei beni alimentari.

Attualmente il blocco saudita limita in maniera drastica l’ingresso sia di cibo e medicinali che del carburante necessario a produrre energia per ospedali e sistemi idrici e fognari.

L’Alto commissariato per i diritti umani dell’ONU ha affermato che la coalizione anti-Houthi ha “sostanzialmente la capacità di determinare le condizioni di vita nello Yemen”.

La mancanza di accesso ad acqua potabile e l’alto tasso di malnutrizione, specialmente tra i bambini, hanno inoltre favorito lo scoppio di un’epidemia di colera.

Secondo il Comitato Internazionale della Croce Rossa nel dicembre 2017 i casi sospetti di colera erano circa un milione. Il momento più critico è stato raggiunto nel novembre dello scorso anno: in risposta a un lancio di razzi da parte degli Houthi contro l’aeroporto internazionale di Ryiadh, le vie d’accesso verso il paese sono state completamente chiuse per tre settimane. Ciò ha reso ancor più drammatiche le condizioni di vita della popolazione.

A differenza del conflitto in Siria, il Consiglio di sicurezza dell’ONU non ha adottato alcuna risoluzione riguardante la situazione umanitaria nello Yemen.

Nella Risoluzione 2402, approvata il 26 febbraio 2018 per rinnovare il regime sanzionatorio contro gli Houthi, il Consiglio di sicurezza si è limitato ad esprimere “grave preoccupazione per gli atti che impediscono l’effettiva consegna di aiuti umanitari, inclusi i beni indispensabili alla popolazione civile”, senza tuttavia accennare al blocco saudita o richiederne la cessazione.

Se nel caso siriano l’inefficacia dell’azione del Consiglio di sicurezza è riconducibile al potere di veto di Russia e Cina, nel caso yemenita la reticenza ad agire si deve al sostegno dato all’Arabia Saudita da Stati Uniti e Gran Bretagna.

Non va dimenticato, infatti, che mentre la Russia è direttamente coinvolta nel conflitto in Siria in supporto al regime di Assad, Stati Uniti e Gran Bretagna sono tra i principali esportatori delle armi e della tecnologia militare utilizzate dall’Arabia Saudita nello Yemen. L’interesse diretto dei membri permanenti del Consiglio di sicurezza, che come è noto godono del potere di veto sull’adozione delle risoluzioni, fa sì che l’azione di quest’organo sia sostanzialmente paralizzata o comunque fortemente limitata in entrambe le crisi.

Lascia particolarmente perplessi che al giorno d’oggi si permetta alle parti di un conflitto armato di utilizzare la fame come arma di guerra.

L’inviato speciale dell’ONU per la Siria, Staffan de Mistura, ha affermato che gli assedi “appartengono al Medioevo, non al nostro tempo”. Si potrebbe dire di più: far soffrire la fame alla popolazione civile costituisce non solo un crimine di guerra ma anche il crimine contro l’umanità di sterminio quando sia parte di un attacco esteso o sistematico contro di essa.

In base all’articolo 7 dello Statuto della Corte penale internazionale, “per ‘sterminio’ si intende, in modo particolare, il sottoporre intenzionalmente le persone a condizioni di vita dirette a cagionare la distruzione di parte della popolazione, quali impedire l’accesso al vitto ed alle medicine”.

Si tratta esattamente di ciò che sta accadendo in Siria e Yemen e che potrebbe ripetersi ad Afrin, dove l’esercito turco ha cominciato ad assediare la città nel tentativo di sbaragliare la resistenza curda.

Ancora una volta il Consiglio di sicurezza è incapace di reagire alle violazioni gravi del diritto internazionale e alla commissione di crimini internazionali poiché ostaggio di quei suoi membri permanenti che ne sono complici o che vi acconsentono. Il dilemma sta nel come reagire a tali situazioni: si può intervenire militarmente a sostegno della popolazione civile senza scatenare un conflitto di più ampia portata, ad esempio in Siria tra Russia e Stati Uniti, e rispettando la legalità internazionale, vista l’assenza di un’autorizzazione del Consiglio di sicurezza?

Il dramma è che a questi dilemmi nessuno sa dare soluzione mentre sullo sfondo la realtà dei conflitti avanza incontenibile e agli orrori che conosciamo, nella Ghouta orientale come nello Yemen, se ne aggiungono di nuovi nel Rojava.