Post Zang Tumb Tuum

Alla Fondazione Prada arte, vita e politica in Italia tra le due guerre

di Paola Mormina

Magistralmente curata da Germano Celant, l’esposizione aperta al pubblico il 18 febbraio attraversa le due guerre esplorando l’arte, la cultura e l’evoluzione politica in Italia tra il 1918 e il 1943.
Un viaggio totalizzante nel secolo passato, dove l’ombra di un’epoca apparentemente scomparsa torna ancora cupa a riflettersi nel presente

Filippo Tommaso Marinetti, a lui è dedicata la prima ricostruzione dell’esposizione. Inizia così il lungo percorso che si snoda tra galleria Sud, Deposito, galleria Nord e Podium della Fondazione Prada, ritmato da 24 ricostruzioni parziali di spazi pubblici e privati.

In questi ambienti, costituiti dall’ingrandimento in scala reale delle immagini storiche, vengono ri-collocate le opere originali di artisti che hanno lavorato e animato uno dei più complessi periodi storici, quello tra le due grandi guerre.

Amante della velocità, nel 1908 Marinetti finisce in un fossato in seguito ad un banale incidente: per evitare due ciclisti era uscito di strada con la sua automobile.

L’episodio venne da lui rielaborato e immediatamente trasfigurato nel Manifesto del Futurismo, composto nello stesso anno: il Marinetti estratto dal fosso era così diventato un uomo nuovo deciso a liberarsi dagli orpelli decadentisti trascorsi, e si mostrava totalmente avvolto da un velo rivoluzionario: occorreva così chiudere i ponti col passato “distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d'ogni specie” e cantare “le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa, glorificare la guerra – sola igiene del mondo – il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna sottomessa e timorata”.

E’ un fervore, un tumulto, uN entusiasmo che attraversa il suo pensiero e quello di artisti come Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Luigi Russolo, Giacomo Balla.

A partire dal 1912 il Futurismo conosce il suo momento di massimo proselitismo, e risale proprio a questo periodo il componimento “Zang Tumb Tumb” reportage della guerra bulgaro-turca redatto con lo stilema delle parole in libertà, una tecnica poetica espressiva del tutto nuova laddove era bandita la sintassi e abolita la punteggiatura, con frequente ricorso a strutture verbali di tipo “visivo” e onomatopeico. Marinetti assaggerà l’amaro sapore del fronte impegnandosi attivamente durante la prima guerra mondiale, ma resterà fortemente deluso da quell’esperienza perché la guerra piace a chi non la conosce, ed Erasmo da Rotterdam non poteva utilizzare parole migliori per esprimerne il concetto.

Nel 1919, svanito all’orizzonte anche il sogno dell’impresa fiumana, fonda il Partito Politico Futurista che trova subito piena realizzazione e consenso nei Fasci di combattimento, il cui programma politico coincide in molti punti con quello futurista; prenderà però un sonoro abbaglio già a partire dall’anno seguente.

La sua spinta rivoluzionaria, anticlericale e repubblicana, viene immediatamente stroncata dalla svolta reazionaria del fascismo che stava invece pericolosamente vacillando nella direzione opposta, assumendo nella sua forma più matura i connotati della violenza e dell’oppressione che conosciamo.

Comincia proprio qui la mostra, dalla delusione del Marinetti verso l’ascesa del fascismo. I pannelli all’ingresso di ogni sala ci ricordano, anno per anno, i fatti storici salienti.

Quei fatti che erano chiari segnali, nonché il preludio ai terribili episodi di sangue che ne sono conseguiti.

Il mondo inizia così a dividersi tra fascista e antifascista, parole che sarebbe molto bello aver
dimenticato, ma che invece ancora oggi rimbombano più forti che mai. Nascono le prime architetture a scopo celebrativo sui fasti della prima guerra mondiale, con i progetti di architetti come Giuseppe Torres, Enrico Griffini e Paolo Mezzanotte, che troverà poi la sua piena realizzazione nel Palazzo Borsa di Milano a lui intitolato.

Inaugura anche la stagione dei Monumenti ai Caduti e qui è l’architetto Giuseppe Terragni a farla da padrone, con il suo progetto per il Monumento ai Caduti di Como, del 1927. Pittori come Mario Sironi fanno da sfondo alla narrazione, e i suoi paesaggi urbani provengono dalle suggestioni della realtà cittadina di Milano, da lui visitata e dove si avvicina al fascismo: Marinetti lo ricorderà presente già nell’ottobre 1919 alle riunioni del Fascio milanese.

Sironi nel 1902 risulta iscritto alla facoltà di ingegneria, ma l’anno successivo è colpito da una grave crisi depressiva che lo spinge ad abbandonare gli studi. Quel primo sintomo sarà l’inizio di un disagio esistenziale che lo accompagnerà per tutta la vita e che lo accomunerà nelle sorti ad un altro grande protagonista in sala, lo scultore Adolfo Wildt.

Artista inquieto ma tanto geniale nel trattamento del marmo, manipolato da lui sulla base del tormento del suo spirito: Wildt aveva letteralmente conosciuto la disperazione al limite della follia durante tre
anni di profonda depressione, tra il 1906 e il 1909.

Le sue sculture enormi mostrano visi deformati, enfatizzati dalle brutalità espressive ma tanto umani nei contenuti, come nel caso del Puro Folle o Parsifal, ultima sua opera e sorta di testamento spirituale, presentato proprio in occasione della I Quadriennale di Roma del 1931.

Il 28 ottobre 1932, in occasione della ricorrenza del decimo anniversario della marcia su Roma, Dino Alfieri volle rievocare la storia del Fascismo con la grande “Mostra della Rivoluzione Fascista”; l’esposizione riscuoterà un immenso successo di pubblico, delineando così il percorso ideale del fascismo da movimento anti sistema a regime dalla vocazione imperiale.

Nascono nuovi progetti e nuove città, e la bonifica dell’Agro Pontino tra il 1932 e il 1935 rappresenta un punto di svolta nella propaganda del regime, regalandoci nuove città come Littoria (oggi Latina), Sabaudia, Pontinia, Aprilia, Pomezia e Guidonia.

Milano non è da meno in questa riqualifica urbana, con l’architetto Giovanni Muzio impegnato nella costruzione del Palazzo dell’Arte, meglio conosciuto come Triennale, realizzato secondo il volere e il generoso lascito testamentario del mecenate Bernocchi.
Artisti come Carlo Carrà, Arturo Martini e Mario Sironi sono invece impegnati sul cantiere del Palazzo di Giustizia milanese a partire dal 1932.

Ma il regime proprio in quegli anni inizierà a mostrare l’altra faccia della medaglia, quella reale,
magistralmente celata sotto al falso luccichio populista: inizieranno così i primi incarceramenti ai
danni degli artisti antifascisti, primo su tutti Carlo Levi, seguito da Aligi Sassu.

Carlo, militante di spicco dell’antifascismo a Torino, viene arrestato una prima volta nel 1934, e in seguito all’arresto le sue opere verranno escluse dalla XIX Biennale Internazionale d’Arte di Venezia.

Dopo il rilascio verrà nuovamente fermato nel 1935 e condannato a tre anni di confino, inviato prima a Grassano e in seguito trasferito ad Aliano, in Basilicata: la terribile esperienza sarà fonte d’ispirazione per il suo struggente romanzo autobiografico Cristo si è fermato a Eboli, amaro affresco della miseria delle campagne del Sud Italia.

Si giunge al 1938, e arrivano le leggi razziali. Si ha un sussulto leggendo le pagine originali scritte da Telesio Interlandi laddove il titolo, senza mezzi termini, recita Tutto nulla e qualche cosa, straniera, bolscevizzante e giudaica lasciando ben poco all’immaginazione. Interlandi è redattore dei quotidiani la Nazione e L’impero, distinguendosi per le sue argomentazioni squisitamente razziste, apertamente antisemite, caratterizzate da estremismo e intransigenza nei confronti della “difesa della razza”.

L’Italia entra ufficialmente nella Seconda Guerra Mondiale il 10 giugno 1940, e i disegni di Giuseppe Terragni dal fronte russo dove serve come militare dal 1941 al 1943, ci restituiscono l’immagine della tragedia.

Emilio Vedova ci lascia un quaderno di testi, studi e disegni datato 1944-46 che testimonia il suo pieno impegno partigiano, militante con il nome di battaglia “Barabba” sull’altipiano bellunese. Marino Marini si rifugia nel Canton Ticino: anni particolarmente significativi per lui che in quel periodo dipinge proprio Il fuggitivo (1943).

Corrado Cagli ritrae gli spaventosi scenari di morte del campo di concentramento di Buchenwald, mentre Aligi Sassu con la sua Guerra Civile (i martiri di Piazzale Loreto) del 1943, ci restituisce il clima del terrore delle fucilazioni di massa, nei corpi di donne o madri assassinate, nei bombardamenti, delle città date alle fiamme: il Dux non è che oramai una mostruosa caricatura, sinonimo di morte, dolore e distruzione.

Sono diventati tutti artisti di guerra, dove la guerra non è però riuscita ad uccidere la loro passione, che forse li ha salvati dalla disperazione della morte. Le immagini della grande mostra della Liberazione di Palazzo Ducale a Genova del 1945, chiudono questa grande esposizione.

C’è tempo sino al 25 giugno per visitarla, con la speranza che uno sguardo così profondo al passato aiuti a comprendere e a riflettere sul presente.

Perché ancora oggi le coscienze hanno un grande bisogno di essere risvegliate ed educate al fine di non ripetere gli stessi gravi errori.

In un mondo dove ancora aleggia lo spettro della supremazia assoluta a discapito dell’umanità, solo la contemplazione della bellezza e l’appiglio alla natura salvifica dell’arte riusciranno a salvarci.