Raccontami

Rimpianto. Note a margine del terzo censimento dei senza dimora che vivono per le strade di Milano

di Paolo Grassi

Siamo in tre su questa Toyota Yaris che avrà almeno dieci anni parcheggiata in un angolo della periferia milanese. I fari accesi puntano su un parco deserto. Pochi alberi, qualche panchina, alcuni sentieri illuminati che lo attraversano.

Di fianco ci sono i palazzoni, quelli nuovi, alti dieci piani, di quelli che quando li guardi non riesci mai a dire se ti fanno schifo per davvero. Perché sono nuovi, appunto, con i vialetti curati, il risparmio energetico, i box seminterrati, le grandi finestre. E allo stesso tempo così anonimi, modelli che si replicano sempre uguali, omologando oggi come ieri forme dell’abitare.

Dall’impianto stereo della Toyota Yaris esce musica di Paul Kalkbrenner. Questa base techno ostinata – cassa in quattro, brevi cellule melodiche che si ripetono – sembra riprodurre la monotonia del paesaggio. Elena siede davanti, sul lato del passeggero e tiene tra le gambe una mappa della zona. Io sto dietro, al centro, con in mano il telefono. Alla guida Marta (nome fittizio), un’elegante donna sessantenne che Elena ed io abbiamo conosciuto circa un paio d’ore prima.

Non siamo partecipanti a una caccia al tesoro, ma volontari del terzo censimento completo dei senza dimora che vivono per le strade di Milano, organizzato dalla Fondazione Debenedetti con la collaborazione dell’Università Bocconi e del Comune.

Per farlo abbiamo compilato un modulo on-line e assistito a una breve formazione. L’attività è spalmata lungo tre serate: la prima per il conteggio, la seconda e la terza per le interviste in strada e nei centri d’accoglienza.
Questa sera è la prima sera.

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