Un giallo tra i ghiacci della questione indiana in America
I SEGRETI DI WIND RIVER, di Taylor Sheridan, con Jeremy Renner ed Elisabeth Orson. Vincitore del Premio per la miglior regia al Certain Regard, Cannes 2017. Nelle sale dal 5 aprile.
di Irene Merli
Il cacciatore, vestito di bianco come le distese di neve attorno a lui, si muove in silenzio sulle montagne del Wyoming. La sua tuta è candida per mimetizzarsi con la natura e poter uccidere gli animali feroci che fanno razzia del bestiame.
Cory è un “cecchino” molto esperto, non solo perché sa usare bene il fucile di precisione ma anche perché conosce benissimo un luogo dimenticato da Dio e dagli uomini: la riserva indiana di Wind River.
Lo Stato americano non si spinge in mezzo a quella natura selvaggia, dove non arriva mai la primavera, le montagne sono impervie e la polizia indigena dispone di sei agenti per una nazione vasta come il Rhode Island.
Cory Lambert, il cacciatore esperto dalla tuta candida e dal fucile veloce, è invece quasi un indiano dalla pelle bianca per la familiarità che ha con i nativi e con le asprezze di un territorio abbandonato, ostile, brutale e violento, dove non ha potere la solita legge, ma solo quella del più forte sul più debole.
Seguendo le tracce di un grosso felino di montagna, Cory si imbatte nel cadavere congelato di una diciottenne indiana che riconosce subito: si tratta di Natalie, la migliore amica di sua figlia, l’ha vista crescere e sa che era una grande combattente. Chi l’ha spinta a scappare per chilometri a piedi nudi finché i polmoni non le sono scoppiati per il freddo?
Per scoprirlo l’Fbi manda sul posto una giovane e inesperta agente, l’unica disponibile al momento della chiamata, senza darle alcun supporto. La vittima è indiana, dopo tutto, e alla polizia federale non interessa trovare i colpevoli.
L’unico modo per riuscirci è affidarsi a una piccola task force locale, composta dall’espertissimo Cory, dal capo della polizia indigena e dai suoi uomini. Per riuscire a scoprire l’assassino, anzi gli assassini che si nascondono tra i ghiacci, tra la desolazione dei ragazzi amerindi che vivono ai margini spacciando e stordendosi di alcool e droga, e la disperazione dei dipendenti di una società petrolifera, soli e senza donne per mesi tra tutto quel bianco accecante.
I segreti di Wind River, prima regia del grande sceneggiatore di Sicario e Hell or Right Water, si giostra con maestria tra diversi generi: western, poliziesco, analisi dei drammi individuali e riflessioni antropologiche.
Ma è il western alla Peckinpack a prevalere, con i dialoghi scarni che non cedono a facili psicologismi né a gesti eroici, e questo fa del film di Taylor Sheridan un classico di quelli che non si fanno più, ma I segreti di Wind River è anche un grido di disperazione, di solitudine, uno sguardo senza sconti su una terra dove tra uomini e animali non c’è differenza, le belve sono addirittura maggiori di numero e il lupo aggredisce il capriolo più debole, sia nel mondo umano che in quello faunistico.
Un’attenzione particolare va rivolta anche alla musiche, che sono di Nick Cave e di Warren Ellis: assolutamente meravigliose, si fondono con la poesia dei paesaggi mozzafiato e il senso di desolazione di un’America che ha perso se stessa.
Sheridan, però, oltre a un ottimo, rigoroso film ci consegna una assai poco banale riflessione su quel genere di sofferenze che possono distruggere anche l’uomo più forte, come la morte di una figlia: il dolore non va rifiutato, ma abbracciato, accolto, se non si vogliono perdere i ricordi più belli non ci si può anestetizzare.
Detto da un uomo a un uomo, come avviene nel film, è davvero qualcosa di originale, che ci portiamo a casa con le molte emozioni del film. Tra cui anche la rabbia di scoprire, nelle note finali, che ci sono statistiche sulle donne scomparse di ogni etnia tranne di quelle amerinde.