Honduras, ieri oggi e domani

La politica della corruzione e dell’ordine militare mette in un angolo il futuro dei bambini

di Milena Nebbia, da Tegucigalpa

Nell’immaginario collettivo dei telespettatori, l’Honduras corrisponde alle bianche spiagge di Cayos Cochinos e alle patetiche vicende di sopravvivenza dei supposti vip dell’Isola dei Famosi, invece il paese centramericano, purtroppo, ha ben altre facce.

La cosiddetta ‘Repubblica delle banane’ è attualmente al secondo posto, dopo il Salvador, nella classifica mondiale degli omicidi causati dall’interconnessione tra violenza generalizzata e cartelli della droga.

Come se non bastasse, l’elité politica è largamente corrotta e implicata anch’essa, indirettamente nei circuiti del traffico della droga. Il debito estero è aumentato del 180%, il sistema pubblico dell’istruzione e quello della sanità sono carenti, le comunità sono abbandonate a se stesse.

Il neorieletto presidente Hernandez ha detto che ogni giorno del suo secondo mandato chiederà a dio di
illuminarlo per guidare uno dei paesi più poveri del continente. Ma più che a dio, Juan Orlando
Hernandez, che il 27 gennaio si è insediato ufficialmente alla presidenza, dovrebbe prima di tutto
rivolgersi alla propria coscienza.

La sua rielezione è stata viziata da brogli (persino l’Oea, l’Organizzazione degli stati americani, non aveva riconosciuto il risultato del 27 novembre) e soprattutto da una violazione costituzionale, visto che nel paese il secondo mandato presidenziale era vietato.

Ma tant’è, con la benedizione degli Stati Uniti, onnipresenti nella vita politica e militare dell’Honduras dall’inizio degli anni Ottanta, Hernandez è tornato in sella. Signori, si replica.

Dalle screditate elezioni del 2009 (successive al colpo di stato che portò al sequestro da
parte dell’esercito del presidente di sinistra Manuel Zelaya) e del 2013, il paese vive di nuovo al
ritmo delle caserme.

Le truppe dispiegate sull’insieme del territorio hanno carta bianca nella repressione delle proteste, come si è visto anche in occasione delle contestazioni postelettorali, che ha causato trenta morti e ottocento arresti.

I giornalisti sono imbavagliati e tutti filogovernativi, i giovani si informano solo online da siti, come Noti Bomba, che forniscono un’informazione non faziosa.

Per prevenire i rischi di conflitto sociale, il governo, negli ultimi anni, si è preoccupato di concentrare le forze di sicurezza nelle zone dell’industria mineraria, nei pressi delle dighe idroelettriche, nei distretti agroalimentari e turistici. Diversi progetti sono stati realizzati senza nemmeno consultare le comunità indigene. I soldi investiti nella militarizzazione e nella sicurezza sono stati tolti ai servizi sanitari e all’istruzione. Le comunità si sfaldano.

I giovani vengono reclutati nelle bande. Le prime vittime della situazione sono i più deboli e indifesi, i bambini. Secondo il rapporto sull’”infanzia rubata” di Save the Children, l’Honduras si pone al primo posto per il tasso più alto di omicidi infantili.

Un rapporto pubblicato da Insight Crime, invece, afferma che in America Latina ci sono 7 milioni di bambini sfollati.

Quasi come in Medio Oriente, anche se non c’è la guerra. A circa 300 chilometri dalla capitale, a nord, nella città di Catacamas, proprio in funzione dell’aiuto da offrire ai bimbi non accompagnati, trovati in strada, sorge da pochi mesi la Casa mi esperanza: “In collaborazione con i servizi sociali governativi – spiega Reinhart Kohler, direttore di N.P.H. International (Nuestros pequinos hermanos)- è nata questa specifica struttura per accogliere bambini trovati dalla polizia in situazione di emergenza che vengono ospitati e che possono ricevere immediata assistenza medica e cibo in attesa che un equipe professionale possa riconoscerne l’origine – molti assumono lo status di rifugiati perché non se ne conosce l’effettiva provenienza – e trovare loro una destinazione a lungo termine”.

Casa mi esperanza sorge a 125 chilometri dal Rancho Santa Fe, la seconda più vecchia casa di NPH aperta nel 1985 da padre William B. Wasson. Nel Rancho Santa Fe sono ospitati oltre
cinquecento bambini, dai pochi mesi di vita fino ai diciotto anni: si tratta di piccoli abbandonati,
orfani o provenienti da famiglie con gravi problemi economici o sociali.

Ci sono: una fattoria con mucche e maiali, un forno per le tortillas – Dona Gloria, ricorda una targa, ne ha cucinate in 28 anni oltre un milione – la cucina che cerca di garantire agli ospiti pasti bilanciati, la Casa Eva, un pensionato per anziani soli e abbandonati, Casa Suyapa, dove le “tias” si occupano dei più piccoli, l’asilo e la scuola elementare che seguono il metodo Montessori, i laboratori di elettricità, carpenteria, calzoleria, sartoria, parrucchiere e naturalmente l’infermeria.

L’obiettivo delle case NPH è quello di creare per i pequenos un ambiente sereno e familiare con un’accoglienza a lungo termine che può proseguire anche con il supporto per gli studi universitari, ma, precisa Reinhart, senza adozioni e con il solo supporto di padrini e madrine (molti dei quali italiani, anche vicentini, grazie alla Fondazione Francesca Rava che rappresenta NPH in Italia, ma continuando a lavorare con le famiglie e la comunità. “Ci muoviamo in questa direzione sempre di più, anche perché L’Unicef si sta posizionando sempre più contro le case permanenti, gli orfanotrofi”.

Al termine del percorso nel Rancho, per i pequenos è previsto un anno di “restituzione”, cioè, si rimane per dodici mesi all’interno della struttura per ricambiare, per così dire, l’ospitalità ricevuta. Ma alcuni di loro, alla fine, sono rimasti a lavorare all’interno.

E’ il caso del dottor Merlin Antunez, che è stato uno dei primi pequenos in Honduras, da quando aveva quattro anni, e ora è un ortopedico e dirige la struttura ospitata nel Rancho, il centro chirurgico ortopedico The holy family.

“L’accesso alle cure è precluso ad un’ampia fascia di popolazione, noi qui cerchiamo di occuparci dei più poveri – spiega – le spese sono basse o, se dimostrano di essere indigenti, li curiamo gratuitamente. La situazione generale del paese è difficile: la povera gente è ineducata, fatica ad accedere ai servizi sanitari, i soldi vengono spesi per la sicurezza, per i militari, per le campagne politiche…”.

E se anche il nuovo presidente non può contare sulla legittimità politica e il sostegno della società civile, e non sarà prevedibilmente in grado di garantire la governabilità, di certo ha ancora il potere e continuerà, almeno fino al 2012, la sua politica ultra liberista e la militarizzazione del paese.