Nicaragua: voci di un popolo in rivolta

Le proteste sono state scatenate da una riforma al sistema di sicurezza sociale

di Roberto Meloni

 

“Hasta el momento van 31 muertos.” Fino a questo momento ci sono 31 morti, mi dice Gerardo, domenica mattina, quando già da 4 giorni il Nicaragua è teatro di violenze e scontri molto duri. I numeri sono certificati dalla Croce Rossa, anche se utilizzare la parola “certificati”, in questo momento di incertezza continua, sembra un po’ eccessivo ad entrambi.

Gli animi si sono infuocati in Nicaragua dopo che il presidente Daniel Ortega ha approvato per decreto presidenziale una riforma al sistema nazionale di sicurezza sociale, INSS. Da giorni il paese è teatro di scontri fra chi era sceso in piazza a manifestare pacificamente il proprio dissenso a tale riforma e chi è rimane molto vicino al governo del presidente Ortega e della vicepresidente, sua moglie, Rosario Murillo. Le proteste sono iniziate un giorno dopo la pubblicazione nella gazzetta ufficiale del Nicaragua di un pacchetto di riforme che prevedono, fra le altre misure, l’aumento del 5% della tassazione sulle pensioni per coprire le spese per malattia e maternità.

Gerardo si occupa di temi ambientali e si definisce difensore dei diritti umani.

“Mercoledì scorso è esploso ciò che non ho timore a definire una nuova rivoluzione per rovesciare questa “parejas de locos”, questa coppia di matti.” Gerardo si riferisce alla coppia presidenziale composta dal presidente Daniel Ortega e da sua moglie Rosario Murillo, anche conosciuta come la Chaio.

Alfredo Zuniga è un fotogiornalista dell’agenzia internazionale AP, che il primo giorno delle manifestazioni nella capitale del paese centroamericano era presente per documentare quel che stava succedendo.

“Il primo giorno della protesta c’erano circa 30 persone che stavano protestando contro la riforma dell’INSS – mi racconta Alfredo.- Sono arrivato con un altro collega di un’agenzia spagnola, sapendo che in qualsiasi momento sarebbe potuto succedere qualcosa. Alle 5 del pomeriggio sono iniziati ad arrivare dei gruppi in moto, con caschi e bastoni di ferro e hanno iniziato ad attaccare due signore. Pensa tu che codardi! Erano due signore che stavano manifestando con dei cartelloni di protesta e niente di più.” Il racconto, come anche Alfredo ammette, sembra una scena estrapolata da un film. “Una delle due signore è una attivista dei diritti umani; si sono letteralmente accaniti contro di lei. Quando ho visto questa scena di violenza ho iniziato a scattare fotografie. Per qualche momento riesco a fare qualche foto, quando improvvisamente si vedono arrivare altri rinforzi della così detta Juventud Sandinista (JS), gioventù sandinista, con magliette che li identificavano chiaramente come tali. In quel momento, uno di loro mi aggredisce da dietro, dandomi calci alla schiena e un colpo con un bastone di ferro, come si vede nella foto. In pochi secondi erano una decina ad attaccarmi. Per le ferite che mi hanno causato, mi hanno dovuto dare 8 punti interni e 7 esterni di sutura nella testa. Mentre mi picchiano mi cade la macchina fotografica a terra e riescono a sottraermela per portarsela via. A partire da quel momento, continua Alfredo, sono arrivate circa 300 persone ad appoggiare la causa della manifestazione. E da 4 giorni le manifestazioni in tutto il paese non si fermano.”

L’aggressione al fotografo Alfredo Zuniga

Secondo Alfredo tutto è cominciato con l’incendio che ha bruciato 5800 ettari di boschi della Riserva Naturale Indio-Maiz, accaduto circa 3 settimane fa, quando il governo non ha fatto nulla finché le organizzazioni ambientaliste del paese hanno iniziato a protestare a gran voce per chiedere di intervenire immediatamente nella zona. “Alti dirigenti di organizzazioni ambientaliste mi hanno confermato che questo incendio è dato dalla crescita smisurata della frontiera agricola e dell’allevamento di bestiame nella zona. Bisogna sottolineare che i terreni di questa zona non potrebbero in alcun modo essere venduti perché oltre ad essere una riserva naturale, la zona è anche territorio indigena e per legge non si può vendere nessun terreno. Tutto questo però è accaduto e ha introdotto “semillas de corupción”, semi di corruzione, anche all’interno dei gruppi indigeni. Oltre a questo, è importante ricordare che questo governo ha relazioni di amicizia molto strette all’interno suo circolo di potere, con importanti imprenditori della legna, che vorrebbero appropriarsi di legna preziosa della riserva.” Insieme agli ambientalisti quindi hanno iniziato a manifestare il proprio sostegno alla causa ambientalista anche gli studenti universitari e, secondo il racconto di Alfredo, sono venuti fuori i primi gruppi di scontro che avrebbero dirette relazioni con il governo.

“Quel che sta succedendo adesso è il risultato di quello che si è andato accumulando durante gli ultimi 11 anni di governi di Daniel Ortega, ed era piuttosto chiaro che fosse una pentola a pressione, una bomba a tempo. Questi anni di governo di Ortega il paese è stato vittima di mancanza di libertà di espressione; c’era sempre molta paura di essere giudicato per il fatto di dichiararsi o meno sandinista. A questo si aggiunge la mancanza di libertà giuridiche, l’autoritarismo istituzionale, la mancanza di autonomia delle istituzioni statali e il controllo assoluto dei mezzi di comunicazione da parte della famiglia Ortega” continua Alfredo.

Domiziana invece è di Masaya, una delle città più grandi del paese, che nel 1979 è stata certamente una delle protagoniste della rivoluzione sandinista.

“Il quartiere Monimbó di Masaya è stato il quartiere più rivoluzionario di tutto il paese durante anni della rivoluzione sandinista. Qui la situazione è molto critica già da qualche giorno e i negozi sono chiusi in tutta la città. Altri negozi sono stati saccheggiati perché ci sono varie “pandillas” (gruppi violenti, ndr) che stanno approfittando della situazione. La polizia vede che si stanno saccheggiando i negozi ma non fa nulla; vorrebbero far credere che è il popolo che sta protestando a saccheggiare, ma non è così.”

“A Monimbó, saputo quel che era successo a Managua, hanno alzato immediatamente le barricate. Il primo giorno ci sono stati scontri fino alle 2 di notte. Il giorno dopo il governo della città ha fatto ripulire le strade, in modo da far pensare che niente fosse successo, ma “los monimbones”, gli abitanti del quartiere, sono tornati subito in strada. È arrivato l’esercito e oltre alla polizia normale ci sono anche i plotoni di polizia in tenuta antisommossa. Mentre i primi giorni si sono limitati ad usare proiettili di gomma, adesso stanno usando proiettili veri. Ieri hanno ucciso 3 giovani. Uno di loro era un mio vicino di casa; aveva solo 17 anni.”

Domiziana mi racconta che durante una manifestazione pacifica, tre suoi amici sono stati sequestrati dalla Polizia e portati via. “Anche io sarei dovuta andare alla manifestazione, ma sono dovuta andare alla ricerca di viveri, perché la situazione potrebbe proseguire così per molti altri giorni.” Mi fa vedere un video che è stato pubblicato su facebook, dove si vede chiaramente che l’unica “arma” dei ragazzi sono dei cartelloni di protesta. Per il momento, mi dice Domiziana, non sono ancora riusciti a sapere nulla di loro.

Solange invece è una giornalista freelance di Managua.

Mentre parliamo esclama con voce preoccupata: “Mataron a un periodista en Bluefields, se llama Angel Gahona. Ya están empezando a matar a los periodistas”. Hanno ucciso un giornalista a Bluefields, nei Caraibi nicaraguensi. Stanno iniziando ad uccidere perfino i giornalisti. Lo hanno ucciso mentre stava trasmettendo live su facebook.

Grazie alla sua rete di contatti sta cercando di monitorare tutto il paese. Mi descrive una Managua in rivolta, con protagonisti gli studenti, che per scappare alla repressione della polizia e dell’esercito, sono costretti a rinchiudersi dietro i cancelli dell’università. E purtroppo neanche quello è garanzia di salvezza. “Nell’univerisità politecnica (Upoli) stanno sparando agli studenti; stanno provando a sopravvivere con le poche risorse che hanno, ma stanno chiedendo che qualcuno vada ad aiutarli. Ci sono già molti studenti che sono stati uccisi.”

Anche Solange mi conferma la versione che questi scontri sono il culmine delle proteste iniziate qualche settimana fa dopo gli incendi nella riserva naturale Indio Maiz. “Ci sono manifestazioni in tutta Managua. In tutte le città del paese ci sono proteste e manifestazioni. Nel nord, ad Estelí, mi hanno detto che sono stati uccisi degli studenti. A Jinoteca sembra che la polizia si sia unita ai manifestanti, e pare che sia successa la stessa cosa in un municipio di Chinandega. Anche nell’isola turistica di Ometepe ci sono manifestazioni, e sappiamo che di fronte alle ambasciate nicaraguensi in Spagna, Costa Rica, Stati Uniti e Guatemala si sta facendo lo stesso.” Solange mi parla della censura messa in atto dal governo nei confronti dei pochi mezzi di comunicazione indipendenti. “Solo il canale cattolico è potuto tornare a trasmettere; gli altri sono ancora censurati. Anche quello era stato censurato per le dichiarazioni di Monsignor Báez.”

 

Mi manda il video dove l’arcivescovo di Managua fa delle dichiarazioni molto esplicite di appoggio agli studenti. Dice il monsignor Báez: “vorrei ringraziarvi a nome della chiesa perché voi siete la riserva morale di questo paese. Grazie, perché voi avete svegliato questa nazione. Non cedete in alcun modo di fronte alle intimidazioni; non lasciatevi portare ad essere violenti. La chiesa non solo vi appoggia, ma vi incita a non cedere, perché la vostra potesta è per una causa giusta. Continuiate a credere nella forza della pace e della non violenza, perché colui che è violento è il vero codardo. La vostra forza sta nella certezza dei vostri valori.”

Monseñor Báez: "Su causa es justa y la Iglesia los apoya"

"Su causa es justa y la Iglesia los apoya" dice Monseñor Báez a los jóvenes universitarios que protestan el gobierno de Daniel Ortega y Rosario Murillo.

Pubblicato da Confidencial su sabato 21 aprile 2018

 

I miei interlocutori concordano tutti sul fatto che la comunità internazionale sia stata assente in questi durissimi giorni di scontri nel paese. Nessuno sta osservando quel che succede e il popolo sta soffrendo gli attacchi che arrivano da varie parti. Alfredo Zuniga ci tiene a sottolineare che il governo si è fatto carico di organizzare strutture paramilitari, che sono gli stessi dirigenti della JS a gestire queste truppe di persone in moto, che si preoccupano di andare in giro a spaventare i manifestanti con tubi di ferro, e altri materiali per creare danni fisici, oltre che quelli psicologici. “Fino a questo momento, mi dice, l’unica istituzione che non si è ancora pronunciata a favore del presidente Ortega è stato l’esercito. Spero vivamente che l’esercito non prenda una posizione a favore del governo, perché temo che quello sarebbe l’inizio di una nuova guerra civile in Nicaragua” ammette preoccupato. “Io continuerò a fare il mio lavoro come l’ho fatto fino a questo momento, perché il dovere di noi giornalisti è quello di informare, però non ti nascondo che sono stato, per il mio lavoro, in diversi fuochi di violenza in America Latina: dal Chile al Perú, dalla Bolivia all’Honduras, e non ho mai visto tanta violenza come quella che si sta manifestando qui in Nicaragua. Nelle altre situazioni era sempre chiaro da chi venisse la repressione; qui invece le forze paramilitari, che riescono anche ad infiltrarsi, sono disposte a tutto per raggiungere il loro obiettivo.”

Gerardo, mentre concludiamo la nostra comunicazione, mi fa vedere le ferite che ha sul corpo e sulla testa. Anche lui, attaccato da quelle che definisce essere forze paramilitari vicine al governo, mi confessa che l’unico mezzo di diffusione di quel che sta succedendo in Nicaragua sono stati i social network. Azzarda che alle manifestazioni di Managua possano aver partecipato circa 150 mila persone, e dice chiaramente che la gente ormai non ha più paura. “Ya perdimos el miedo.”
In moltissimi ormai stanno chiedendo le dimissioni immediate della coppia presidenziale per poter pacificare il paese e iniziare a ricostruire.

Post Scriptum

Durante il pomeriggio di domenica 22 aprile il presidente Daniel Ortega si è riunito con alcuni rappresentanti della Zona Franca. Ha revocato la risoluzione da lui stessa firmata qualche giorno prima, circa la riforma dell’INSS. Continua comunque a definire “vandali” e “pandilleros” le persone che stanno protestando, mentre la gente continua a ribadire che chi sta saccheggiando non è parte della protesta. I manifestanti hanno più volte ribadito che la polizia non sta facendo nulla per impedire il saccheggio dei negozi, e questo fa pensare che ci siano degli ordini ben precisi per lasciarli fare.

Ortega ha brevemente espresso la solidarietà con le famiglie delle vittime, senza neppure specificare quanti sono stati i morti degli ultimi giorni. Infine è importante sottolineare che alcune persone che sono state contattate dopo le dichiarazioni di Ortega hanno detto che quelle sue parole sono state percepite come parole minacciose, nella parte in cui presidente dice di voler ristabilire l’ordine; nell’opinione dei manifestanti, non c’è una reale volontà di dialogo e le manifestazioni continueranno ad oltranza.