Con lo sguardo sull’Egeo

In fuga dalla Turchia: dal golpe dell’estate 2016 alla fuga in Europa attraverso la Grecia

di Davide Lemmi

Atene – A Natale, in un ripiano di un camion che viaggia sull’autostrada in direzione Francoforte, si nasconde Cevheri Guven, giornalista di Istanbul rifugiato in Grecia. E’ partito da Salonicco 36 ore prima, dove ha lasciato la moglie e i due figli, di 6 e 9 anni.

“Se oggi l’Unione Europea dialoga con Erdogan sulla questione dei migranti siriani, domani lo farà sui turchi – due mesi di carcere a Silivri, località vicino a Istanbul, compagno di cella di Can Dundar, ex direttore di Chumriyet, Cevheri ci incontra in un caffè di Karlsruhe – “Sono scappato in Germania perché in Grecia ero in pericolo”.

Il 20 dicembre 2017, Garo Paylan, parlamentare turco di origine armeno, ha avvertito in un’intervista rilasciata a CNNTurk che la vita dei giornalisti dissidenti all’estero è a rischio.

“Diverse fonti mi hanno confermato che i cittadini fuggiti all’estero sono nel mirino di possibili omicidi extragiudiziali”, le parole del parlamentare del Partito Democratico dei Popoli. Cevheri Guven sa di essere su una black list.

All’origine dei problemi giudiziari del giornalista c’è una foto. Il 14 settembre 2015 la polizia irrompe nella redazione del magazine Nokta, reo di aver pubblicato sulla propria copertina l’immagine di un Erdogan sorridente e in maniche di camicia che scatta un selfie, mentre alle spalle sfila la bara di un soldato turco ucciso durante gli scontri in Kurdistan.

Cevheri è il caporedattore. “Il Presidente non dimentica, così un anno dopo, l’8 novembre sono stato incarcerato con l’accusa di affiliazione al PKK – il giornalista è stato rilasciato dopo due mesi, quando la corte lo ha prosciolto e decretato la sua totale estraneità all’imputazione – “Ma il 15 luglio 2016
hanno cambiato i capi d’imputazione e i giudici del processo, rischiavo fino a 22 anni di carcere, quindi ho deciso di scappare”.

Il 1 settembre 2016 l’ex caporedattore di Notka, insieme alla moglie, anche lei giornalista di TRT, e ai due figli, è arrivato sulle sponde del fiume Evros, confine terrestre tra Grecia e Turchia.

“Ho pagato 15000 Euro per tutta la famiglia ad un facilitatore incontrato ad Istanbul” – il giornalista ha appena fatto richiesta di asilo politico in Germania e sta aspettando il 14 febbraio, data del primo colloquio con le autorità tedesche – una volta superato il corso d’acqua ci sarebbero dovuti essere altri trafficanti che ci avrebbero prelevati, ma non c’era nessuno”.

Rimasti da soli, Cevheri ha chiamato un taxi che invece di portarlo ad Alessandropoli lo ha scaricato davanti alla stazione di polizia più vicina. “Dopo i primi controlli degli agenti sono stati chiamati i servizi di intelligence – continua il giornalista – Fortunatamente, dopo 4 giorni passati nelle celle della stazione, siamo stati ricollocati a Salonicco”.

Il rischio era la deportazione forzata in Turchia. Il 24 maggio 2017, il caporedattore, collega e amico di Cevheri ai tempi di Notka, Murat Capan è stato, secondo quanto afferma la Lega ellenica per i diritti umani, arrestato dopo aver attraversato il fiume Evros e rispedito in Turchia.

La Grecia nega le accuse, anche se la Federazione Ellenica per i diritti umani ha documentato, in un report rilasciato a giugno e pubblicato anche dal New York Times, 17 respingimenti illegali simili.

Il fenomeno dei rifugiati politici turchi intanto aumenta nei numeri. Lo scorso novembre sono stati trovati tre corpi su una spiaggia di Lesbo. Dopo le verifiche delle autorità greche, sono stati identificati come Huseyin e Nur Maden, e uno dei loro tre figli. I Maden, insegnanti in Turchia, erano tra i 150mila dipendenti statali licenziati dai loro posti di lavoro dopo il fallito colpo di stato nel luglio 2016.

Secondo Eurostat, più di 18mila turchi hanno presentato una domanda di asilo in Europa per la prima volta dal luglio 2016 all’ottobre 2017. Un aumento del 275% rispetto ai 15 mesi precedenti e il dato più alto degli ultimi 10 anni. La Germania è il Paese dell’Unione che intercetta più richieste. Sono 10260 le domande inoltrate a Berlino. A seguire la Grecia con 1625 domande, e la Francia con 1500. In un’interrogazione della Commissione Europea sul tema dei rifugiati turchi, datata 25 aprile 2017, Parigi affermava di “seguire in modo attento il considerevole aumento di richieste di asilo da ex membri del gruppo di Gulen”.

Anche la Svezia ha visto un significativo incremento nelle domande: 1300 dal luglio 2016 ad ottobre 2017 e più 406% rispetto ai 15 mesi precedenti al colpo di Stato. In Belgio le richieste hanno raggiunto il
migliaio, mentre in Svizzera ne sono pervenute 900 con un incremento del 168%. Dal golpe del 2016, le autorità turche hanno arrestato oltre 60 mila persone, compresi giornalisti e intellettuali, mentre a circa 150 mila turchi è stato revocato il passaporto.

Per molti l’unica soluzione è, e sarà, quella di lasciare il Paese illegalmente, inseguendo una vita migliore ed evitando i procedimenti giudiziari pendenti.

“Mia moglie aspettava il secondo figlio, non potevamo continuare a vivere nascosti – Mehmet, nome di fantasia, è di Ankara, a metà novembre ha deciso di attraversare il fiume Evros e fuggire in Grecia – In Turchia avevo un buon lavoro, ero il direttore di un’università, qua viviamo grazie agli aiuti che amici e familiari ci inviano”.

Il percorso attraverso il confine è simile a quello fatto da Cevheri. Il gruppo, composto da undici persone, si è appostato di notte in una foresta sulla sponda turca del fiume.

“Dopo due ore di attesa i trafficanti ci hanno guidato ad una piccola imbarcazione e abbiamo guadato il corso d’acqua. Per il servizio abbiamo pagato 6mila euro”, confida l’ex direttore.
L’accusa contesta a Mehmet è quella di essere un gulenista e di aver preso parte al fallito colpo di stato di luglio.

“Prima di decidere di lasciare il Paese mi ero nascosto in un villaggio vicino ad Ankara – racconta l’ex manager che conclude – Ma la pressione si è alzata ed è stato inevitabile decidere di lasciare. L’appuntamento per il colloquio dell’asilo ci è stato dato nel 2020, ma noi sogniamo di andare in Canada, abbiamo degli amici là”.

In un bar di Omonia, Atene, Ozkan, 31enne originario di Erzurum, ci racconta la sua storia. “E’ buffo, nel 2012 andai ad Aleppo per un reportage sui rifugiati siriani, adesso sono io il profugo che vengo intervistato”, il giornalista è arrivato in Grecia a dicembre 2017, ma anche lui, come Mehmet, prima di uscire dal Paese si è nascosto in alloggi di fortuna.

“Mia figlia di un anno e mia moglie sono ancora in Turchia. Nel marzo del 2017 è stata arrestata e ha passato 6 mesi nel carcere di Bolu, adesso aspetta il giudizio finale”, Ozkan, come sua moglie, è finito nel mirino della magistratura turca dopo alcuni articoli critici rispetto all’impegno di Ankara nel
conflitto siriano.

“Il fiume Evros è sicuramente uno dei punti migliori per attraversare – ci spiega il giornalista di origine curda – Però nel mezzo della nostra traversata la barca ha cominciato ad affondare e siamo stati costretti a continuare a nuoto”.

Una volta raggiunta la riva greca, Ozkan e gli altri suoi due compagni di viaggio, hanno camminato per 15/20 chilometri prima di raggiungere un centro abitato. La polizia li ha intercettati tre giorni dopo in una stazione ferroviaria, mentre aspettavano il treno per Salonicco.

“La vita in Grecia è l’assenza di possibilità, non c’è lavoro e non c’è futuro, siamo in un limbo – continua il giornalista, concludendo – Sogno di riuscire a raggiungere la Germania e provare a riunificare la mia famiglia”.

Altan, professore all’università di Trabzon e originario di Sanliurfa, ci aspetta a Syntagma, sulle scale che si affacciano al Parlamento greco. “Sono arrivato il 18 agosto 2017, ho lasciato la Turchia con mia moglie e i miei due figli perché ero accusato di essere un gulenista e rischiavo fino a 22 anni di carcere”, l’ex docente fa parte di quei 6mila accademici licenziati dopo il 1 settembre 2016, dati del sito TurkeyPurge.

“Più di un milione di persone hanno subito le conseguenze dirette e indirette del colpo di stato – continua Altan – Hanno spazzato via una generazione, negando il futuro alla prossima”.

L’ex professore è scappato dopo l’arresto del fratello, di cui ancora oggi non ha più notizie. “Non mi sento al sicuro in Grecia, vivo nella costante paura di essere seguito o rispedito in Turchia”, conclude il docente.

A pochi chilometri da Syntagma, nel quartiere di Exarchia ci aspetta Sivan, 41 anni, ex cuoco originario di Elazig. “Non volevo ripetere l’esperienza del carcere, sono già finito in prigione per 6 anni dopo essere stato arrestato durante una manifestazione”, il 41enne curdo ha raggiunto la Grecia dalle coste dell’Egeo.

“Il viaggio in barca è durato molto poco, circa un’ora, e abbiamo pagato intorno ai 1500 dollari a testa per la traversata”, conclude Altan rifiutando di fornire il luogo di approdo della sua imbarcazione per non fornire elementi alle autorità di Ankara.

“E’ un punto di partenza – nel caffè di Karlsruhe Cevheri conclude, tratteggiando un futuro oscuro per la Turchia e i suoi cittadini – Privati del lavoro le persone diventeranno sempre più disperate e cercheranno di costruirsi un’altra vita, lontana dalla dittatura e dalle purghe”.