Buonanotte Signor Mao

Il libro del giornalista Gabriele Battaglia raccoglie le storie individuali di un Oriente che il capitalismo globale sta profondamente trasformando

Di Clara Capelli

Quali sono le “forme di vita” che popolano l’Asia, dall’Iran alla Cina, dalla Mongolia al Myanmar? Come vivono, cosa vogliono, come si arrabattano nel mondo del capitalismo globale?

Gabriele Battaglia restituisce alcune di queste forme di vita alle pagine di Buonanotte Signor Mao (edizioni Milieu), una raccolta delle tante storie incontrate e raccontate attraverso il suo lavoro di giornalista nomade con base a Pechino.

Se in Buonanotte Signor Lenin Tiziano Terzani narrava l’umanità in trasformazione a seguito della dissoluzione dell’URSS, Battaglia riflette nel suo libro su un Estremo Oriente di individui inseriti in macro-dinamiche globali ben precise: il capitalismo è diventato l’ideologia dominante che modella il paesaggio, naturale come sociale, all’insegna del profitto e del benessere individuale.

L’autore rivolge le sue lenti di osservatore a questo processo livellante e uniformante che dietro la maschera del progresso nasconde nuove crudeli ingiustizie e infelicità, un concetto che in pagine molto belle ritiene possa essere ricondotto alla parola mandarina fuzao, una sorta di “tumulto fragile”.

 

Il risultato è un mosaico di cartoline da diversi angoli dell’Asia. Shenzhen, la “fabbrica della fabbrica del mondo” con le sue industrie, i suoi imprenditori e i suoi operai. Hong Kong e le rivendicazioni dei dockers per migliori condizioni lavorative e salariali. I nuovi invisibili di una Cina che si urbanizza e terziarizza. La Mongolia predata dal grande capitalismo estrattivo.

Tutti in movimento, per spostarsi da un luogo all’altro, per ascendere a uno status sociale più agiato. Qui non compaiono i golden kids moderni dai gusti globali che ci piace tanto trovare in ogni dove, dai quartieri gentrificati di New York alle downtown delle grandi città dei cosiddetti “Paesi in via di sviluppo”.

Battaglia ci parla invece di un giovane pio iraniano con la passione per il body building, di uno sciamano mongolo che guida ubriaco fradicio di vodka, di uno studente improvvisatosi imprenditore che vende smacchiatori. E via elencando, niente di “pittoresco”, nessun racconto da vacanza Lonely Planet né da articolo da rivista patinata. Un’umanità imperfetta, alle prese con le nuove gerarchie del capitalismo globale tra grandi ambizioni e strategie di sopravvivenza in un mondo in trasformazione.

In questo vortice di movimento l’autore, precario del giornalismo passato dal quartiere Corvetto di Milano a Pechino, intreccia la sua storia personale a quelle dei personaggi narrati, migranti “sud-sud” che trovano poco spazio nei canali mainstream.

Il libro comincia con due commercianti yemeniti di passaggio a Pechino, determinati a raggiungere i Caraibi nonostante i problemi di visto, per terminare con una ballerina mongola diretta a Shanghai. Umani in transito come chi di loro scrive; ognuno per sé in queste società dove i sogni collettivi hanno lasciato il posto alle lotte individuali. Lotte spesso senza gloria, ma ciascuna con una sua propria bellezza da raccontare.