La caccia ai migranti d’Algeria

Dal 2014 ad oggi l’Algeria ha arrestato e espulso, secondo le cifre ufficiali, 28mila migranti subsahariani. Nella maggior parte dei casi sono stati abbandonati in pieno deserto ai confini con Mali e Niger

di Laura De Santi

Le Vieux Lion, il Vecchio Leone, lo chiamano così Kolye, uno dei primi migranti sub-sahariani arrivati a Maghnia.

Giunto dal Camerun nel 2004, si è installato in Algeria, nella piccola cittadina alla frontiera con il Marocco, nella speranza di trovare il momento giusto per oltrepassare il muro che difende le enclavi spagnole di Ceuta e Melilla, possibilmente senza lasciarci la vita, o racimolare quei mille euro, a volte più a volte meno, a seconda dell’aria che tira, necessari per imbarcarsi verso l’Europa dalla Libia o da Orano. Ed è proprio nella città dell’ovest algerino che si è spento il sogno del Vecchio Leone.

“Nella retata del 12 maggio a Maghnia non sono riusciti a prendermi, ma il giorno dopo, ad Orano, il destino ha voluto diversamente”, ci racconta per telefono Kolye. “Adesso sono su un autobus fermo da ore a In Salah (1200 chilometri a sud di Algeri), siamo centinaia, ci sono almeno 50 mezzi. La Gendarmeria ci sta portando verso sud, ci hanno detto nel centro di detenzione di Tamanrasset, poi verso il Niger o forse verso il Mali. Ma io sono del Camerun cosa ci faccio in Mali? Voglio andare a casa mia, ho perso tutto”.

E’ del 17 marzo la prima ondata di arresti ad Orano, dove si stima vivano da anni circa 5mila migranti in arrivo da diversi paesi dell’Africa occidentale e centrale.

La vera e propria caccia a les black, come li chiamano gli algerini, si scatena però già nel 2014. Durante il mese del Ramadan di quell’anno, i marciapiedi delle città del nord del paese, principalmente Algeri, vengono per la prima volta invasi da famiglie in arrivo dal Niger, donne e bambini, che chiedono l’elemosina.

Un evento nuovo per il paese maghrebino dove, fino a quel momento, i migranti avevano sempre vissuto, più o meno indisturbati, nelle periferie, impegnati principalmente nei cantieri edili.

Le famiglie nigerine sono tutte originarie della regione di Zinder e, secondo le autorità, sarebbero arrivate attraverso una filiera specializzata nell’accattonaggio. Lo stesso anno Algeri e Niamey firmano un accordo per l’arresto e il rimpatrio dei nigerini: sono circa 17mila i rimpatri effettuati tra i 2014 e il 2016.

“Tutto però cambia la mattina del 3 dicembre 2016”, ci spiega Fouad Hassam, della Lega algerina per i diritti umani (LADDH), “quel giorno e per la prima volta da anni, un’ondata di arresti coinvolge non solo i nigerini, ma qualsiasi africano, qualsiasi nero”.

Retate vengono compiute ad Algeri, Blida, Ghardaia, Bejaia, gli accampamenti di Maghnia sono ripuliti a più riprese.

E se questa settimana “sono riusciti a catturare anche un personaggio come le Vieux Lion, un leader della comunità camerunense”, continua Fouad, impegnato proprio nella regione di Orano, “vuol dire che nessuno può sfuggire a questa politica di espulsioni. Tutti i neri in situazione irregolare, tutti sans-papiers africani sono a rischio”.

La stampa locale accenna ad accordi sotterranei con i Paesi europei, ad una sorta di muro del Nord Africa, ma nulla di più. Nessuno ne vuole parlare.

La situazione ad Orano, in particolare nei quartieri Amandiers e Ain Beida, è diventata insostenibile. La politica portata avanti dalle autorità sta alimentando la violenza e il razzismo.

Le aggressioni contro gli africani si moltiplicano.

Appena le forze di sicurezza lasciano il quartiere dopo una retata, spesso accade che “entrino in azione bande armate di spade e coltelli, cani”, denuncia la Lega per i diritti umani che parla di “furti, aggressioni e anche stupri senza nessun intervento da parte delle autorità”.

NELLA GALLERY LE IMMAGINI CHE ALCUNE DELLE PERSONE DEPORTATE SONO RIUSCITE A INVIARE

Sono migliaia le persone in arrivo principalmente da Niger, Mali, Camerun, Costa d’Avorio, Liberia, Guinea, espulse dal settembre 2017 ad oggi, circa 600 quelle deportate verso sud insieme a Vieux Lion pochi giorni fa.

Su una comunità di espatriati in arrivo dall’Africa subsahariana stimata attorno alle 100mila persone, “sono 27 mila”, secondo il ministro dell’Interno, Noureddine Bedoui, “i rimpatri compiuti in meno di tre anni”.

Operazioni, sottolinea il ministro “organizzate nel pieno rispetto dei diritti dell’uomo e della dignità umana, in conformità con le istruzione del presidente della Repubblica”, Abdelaziz Bouteflika in odore di quinto mandato. “L’Algeria ha il diritto di pensare alla sua sicurezza, quello che viene scritto e detto vuole solo rovinare l’immagine del paese”.

Il problema, ha denunciato l’ECRE, rete che riunisce 95 Ong, tra cui la Croce Rossa, Caritas e Amnesty international, è che non si tratta di rimpatri ma di “deportazioni di massa”, visto che solo nigerini e maliani vengono portati nel loro paese. A volte nemmeno questo visto che l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM) registra l’arrivo di maliani anche in Niger.

Lo scenario è sempre lo stesso: “Le persone vengono detenute in campi di fortuna per qualche giorno, poi sotto la minaccia delle armi, vengono caricate sui camion e lasciate in pieno Sahara oltre la frontiera”. Inoltre, continua l’Ecre, “ci sono le testimonianze di diversi migranti aggrediti e derubati lungo il cammino da gruppi armati”.

Anche Jerome è stato arrestato nell’ultima retata di Orano. “Siamo chiusi negli autobus da questa mattina, ci sono 47°”, mi urla al telefono. La sua voce è quasi impercettibile. Le sue telefonate si susseguono, non sa nemmeno dove si trova, ‘’a Tam (Tamanrasset 2000 chilometri a sud del Mediterraneo) non ci portano più, forse andiamo in Mali, forse siamo a Reggane, o Adrar. Finalmente ci danno dell’acqua, per questo senti gridare! Ci sono neonati di pochi mesi che non hanno più latte, ci sono donne incinte. Ieri, durante tutta la giornata ci hanno dato un formaggino, un pomodoro, un biscotto”, continua.

Dopo qualche ora i telefoni di Vieux Lion, Jerome e delle altre 600, forse mille, persone insieme a loro, diventano irraggiungibili.

“L’ultima volta che sono riuscito a sentirli erano le 4 e 30 di notte, li stavano portando alla frontiera con il Mali. Il loro primo giorno di Ramadan, il mese della solidarietà, inizierà cosi’”, ci dice Fouad, attraversando a piedi il deserto nella speranza di raggiungere, dopo almeno sei ore di cammino, In Khalil, il primo villaggio del Mali.

E poi? Alcuni chiederanno il rimpatrio volontario nel loro paese, in tanti però si rimetteranno in cammino, verso Nord, verso l’Algeria o questa volta tenteranno la via libica.