Elezioni municipali in Tunisia tra disillusione e lotte di potere

Le lungamente attese elezioni municipali in Tunisia rivelano un Paese disilluso e spaccato, dove “il partito degli indipendenti” è la prima formazione.

 

di Chiara Loschi e Clara Capelli

Dopo 7 anni dall’inizio delle Rivolte Arabe del 2011, il 6 maggio 2018 si sono tenute in Tunisia le prime elezioni municipali del paese: le ultime elezioni comunali risalgono al maggio 2010, pochi mesi prima delle proteste che portarono alla fuga di Ben Ali e all’avvio di un difficoltoso processo di transizione.

La data ha subito continui rinvii, e segna quindi l’importante traguardo ottenuto. La prima data prevista per lo scrutinio era quella del 30 ottobre 2016, successivamente quella del 26 marzo 2017, e quella del 17 dicembre 2017. Infine, l’Instance Supérieure Independante pour les Elections ha decretato il 3 aprile come data definitiva.

Il dato principale di queste elezioni municipali è l’affluenza, confermata al 33,7%. In un paese europeo segnalerebbe una crisi alle radici del modello democratico; nel contesto della Tunisia in transizione è un dato preoccupante ma quantomeno comprensibile.

Il dopo Ben Ali si era accompagnato a grandi speranze di cambiamento e benessere per una popolazione che, nonostante la retorica del “si stava meglio quando si stava peggio” ormai diffusa nel Paese, viveva in uno stato autoritario, poliziesco e oppressivo, oltre che caratterizzato da profonde disuguaglianze sociali dietro la retorica di regime e dati manipolati.

Queste speranze sono state ampiamente disattese. L’economia tunisina sta significativamente soffrendo delle misure richieste dal programma di sostegno dell’IMF, misure che sacrificano la questione sociale sull’altare della stabilità economica, senza però riuscire a sortire i risultati attesi.

Il dinaro tunisino si è sensibilmente svalutato nei confronti del dollaro e dell’euro, cosa che sta riducendo in modo preoccupante il potere d’acquisto della popolazione, la disoccupazione è oltre il 15 percento, per non parlare di quella giovanile, intorno al 40%; la disillusione è tangibile fra i giovani che hanno animato le rivolte del 2010-2011, così come nel resto della società.

Nella vita quotidiana dei tunisini, nel migliore dei casi, la rivoluzione è un ricordo lontano, nel peggiore è un grave errore che fa rimpiangere Ben Ali a ceti medi e medio-alti. Inoltre, storicamente le municipalità non godono di un ruolo forte nelle vite dei tunisini: i comuni, fino al 2018, godevano di limitate competenze, tra cui la gestione delle strade e giardini, raccolta (ma non gestione) dei rifiuti urbani, emissione di certificati di nascita, matrimonio e morte, e un sistema di tassazione molto limitato (e spesso poco efficace). In questo contesto, il dato stupisce meno, e riconferma la necessità di analizzare il contesto politico e sociale.

I risultati mostrano una relativa riconfigurazione negli equilibri tra partiti, e un più consistente scarto tra liste indipendenti e partiti politici, con la chiara affermazione delle prime sui secondi, un chiaro indicatore di come la disillusione colpisca le formazioni partitiche protagoniste degli ultimi anni, in particolare Nidaa Tounes ed Ennahda. Il primo raggruppa al suo interno diverse esperienze politiche delle epoche di Bourguiba e Ben Ali, mentre il secondo si rifà ai principi dell’Islam politico.

I partiti hanno governato in coalizione dalle elezioni legislative del 2014 e successivamente nel governo di unità nazionale nominato nel 2016 a seguito del “Patto di Cartagine”, tra compromessi (il cosiddetto “rotten compromise” di cui parla la ricercatrice Nadia Marzouki) e rivalità, anche interne alle formazioni stesse.

In questo rifiuto per una politica lontana dalle istanze della popolazione, le liste indipendenti che si sono presentate allo scrutinio municipale hanno ottenuto un risultato aggregato corrispondente al 32,9 % dei seggi. Segue il partito Ennahda che raccoglie il 29,68 % a cui succede Nida Tounes soltanto al terzo posto, con il 22,7% dei seggi.
Ciò proietta alcune domande sulla futura composizione dei consigli comunali.

Il sistema di elezione è di tipo proporzionale a turno unico con una soglia del 3%. Da questo punto di vista, pochi saranno i consigli comunali in cui una lista sarà in grado da sola di ottenere la maggioranza assoluta dei seggi. Saranno necessarie alleanze per condurre e, prima ancora, eleggere il sindaco (che viene eletto tra gli eletti).

Nidaa esclude alleanze con Ennahda come avvenuto invece a livello di governo; al tempo stesso, le liste indipendenti sono una realtà molto eterogenea. Nel caso di queste ultime infatti, la lettura dei dati aggregati è utile solo a capire quali possono essere state le principali motivazioni dell’astensionismo, ovvero un rifiuto verso il primo partito del paese, e il ruolo di Ennahda come secondo partito stabile del paese.

In realtà, l’insieme delle liste indipendenti comprende liste civetta, liste di notabili il cui percorso di politicizzazione può risalire anche a prima del 2011, e liste di organizzazioni di società civile e di militanti che si ritiene sinceramente indipendente.

Il rifiuto dei partiti tradizionali quindi è solo la punta di una forma di partecipazione politica complessa che può contenere al suo interno fattori sia di cambiamento che di continuità rispetto al passato. Solamente dopo le formazioni dei consigli comunali e delle coalizioni per l’elezione dei sindaci, oltre che al vero governare, sarà eventualmente più chiaro quale giudizio formulare.

In generale, al di là della crisi di Nidaa, Ennahda tiene nelle sue regioni affermate nel 2011 e nelle elezioni politiche del 2014. Nel quartiere di Ettadhamen, parte della regione dell’Ariana e periferia popolare di Tunisi, l’affluenza non raggiunge il 19% ma il partito ottiene il 54,98% dei voti.

Ennahda si afferma anche nelle zone costiere, come ad esempio Djerba, perla del turismo fortemente sostenuta dal regime di Ben Ali. Qui, i tre comuni in cui è ancora divisa l’isola, Midoun, Ajim, Homt-Souk mostrano la netta vittoria di Ennahda, che ottiene rispettivamente il 41,2%, il 62,82%, il 42,66%.

Il partito Ennahda tuttavia si è reso anche partito protagonista della campagna elettorale e delle scelte che suscitassero dibattito, in continuità con una strategia comunicativa perseguita da tempo al fine di accreditarsi come partito moderno, promotore di un’economia basata su investimenti stranieri, accattivante per giovani e donne.

A Monastir il partito ha messo in testa alla lista un cittadino tunisino di religione ebraica; a Tunisi ha posto come capolista una donna, una militante di lunga data fin dai tempi del sindacato studentesco islamista UGTE, Souad Abderrahim, su cui i social network tunisini e non solo si sono ampiamente concentrati per il fatto che la donna non indossa il velo, dimentichi delle controverse dichiarazioni che la Abderrahim, volto ricorrente di Ennahda dal 2011, ha per esempio fatto riguardo alle madri single, le quali a suo avviso non avrebbero dovuto “aspirare a un quadro legale che tuteli i loro diritti” .

Il dibattito rimane attivo perché Ennahda nel comune di Tunisi è il primo partito, con 21 seggi su 60 ma insufficienti per governare. Al momento, infatti, non è ancora chiaro quali alleanze Ennahda creerà, e se Abderrahim potrà essere effettivamente la prima sindaca tunisina donna, poiché tali alleanze potrebbero rimettere in discussione la posizione della capolista in favore del capolista di Nidaa Tounes. Inoltre, il dibattito al di fuori delle discussioni tra partiti rimane particolarmente acceso.

All’indomani dei risultati un dirigente di Nidaa Tounes, Foued Bouslama, ha ripescato la legislazione amministrativa ottomana (pre-protettorato francese, per intenderci) che istituì la figura dello “cheikh al Medina”, “capo della città”, antecedente amministrativo e simbolico del sindaco, per affermare che una donna non poteva coprire il ruolo di “cheikh”.

E ora?

I risultati politici sono solo un elemento di queste elezioni. Le domande aperte sono legate non solo ai risultati ma anche al processo politico-istituzionale che ha preceduto gli scrutini e deve ancora definire l’assetto istituzionale dei comuni e del ruolo che essi avranno nell’elaborazione di risposte efficaci per una popolazione che si è già detta estremamente delusa.

La Costituzione del 2014 nel capitolo VII disegna un decentramento nuovo rispetto al passato, basato più su consigli eletti che su nomine, in cui le municipalità sembrano giocare un ruolo più attivo e meno condizionato da ministeri e dipartimenti centralizzati. Il controllo sulle attività finanziarie e urbanistiche si farà non più a priori come prima del 2014, ma a posteriori. I consiglieri comunali, sulla carta, non devono che rispondere ai loro elettori e i cittadini. Tuttavia, sul piano istituzionale, una serie di domande rimangono aperte.

Il nuovo codice delle collettività locali sostituisce il primo codice creato nel 1975 durante il regime di Bourguiba (1957-1987). In Tunisia i servizi di base sono gestiti a livello centrale e controllati da enti ministeriali deconcentrati: istruzione (ad eccezione delle scuole materne/asili), sanità; infrastrutture come acqua, luce e gas sono gestiti da enti nazionali e che detengono la proprietà e la gestione delle reti idriche, fognarie, e di distribuzione elettrica.

In altre parole, al momento la competenza municipale sul suo territorio è fortemente limitata, e corrisponde a illuminazione, raccolta (ma non gestione) dei rifiuti, manutenzione strade, parzialmente servizi di trasporto pubblico. Su questi servizi, il sistema di prelievo fiscale è centralizzato, e non concede alcun margine di guadagno (né di investimento) per i comuni.

Inoltre, le competenze di questi tre livelli non sono ancora pienamente definite. Tali competenze municipali includono alcune questioni chiave come promozione dell’investimento e creazione di posti di lavoro a livello locale, tema di grande urgenza per il Paese; autonoma amministrazione delle risorse finanziarie municipali; coordinamento tra stato e livelli locali per la gestione di attività di sviluppo del territorio.

Tuttavia l’iter di discussione e approvazione del nuovo codice delle collettività locali ha subito diverse battute di arresto ed è stato ratificato dal Parlamento Tunisino solamente il 26 aprile 2018, a campagna elettorale già iniziata.

Secondo Al Bawsala, la principale ONG che opera come watch-dog e ha un focus speciale sul decentramento, e secondo alcuni esponenti dei principali partiti, Nidaa Tounes avrebbe volutamente ostacolato e rallentato l’iter parlamentare dell’approvazione della legge dando priorità alle lotte tra correnti interne e cercando di arginare la conseguente perdita di consenso nelle aree chiave, ovvero le aree industrializzate in particolare del nord e coste nord orientali.

La paura che tale dato sarebbe emerso in maniera palese con le elezioni si è rivelata reale.

In questo contesto, le possibilità di vedere decreti attuativi discussi e approvati in tempi rapidi sono minime. La concomitanza con il mese di Ramadan iniziato il 17 maggio fino a metà giugno , che corrisponde generalmente ad una ridotta attività parlamentare; l’inizio dell’estate, ed eventuali provvedimenti parlamentari più urgenti potrebbero ripresentare le stesse lungaggini vissute dal codice stesso.

È chiaro quindi che queste elezioni hanno marcato un evento cruciale nella storia della Tunisia; ma la domanda sulla possibilità di un vero cambiamento politico al di là del mero rito elettorale cui abbiamo assistito attraverso la stampa rimangono tutte aperte.