Di Sicilia Queer filmfest e di Palermo

Più che una rassegna di cinema, una finestra sulla realtà e sul futuro di chi la abita (venusianamente)


di Erica Grossi

Dal 31 maggio e fino al 6 giugno, Palermo si anima anche quest’anno di Nuove Visioni in occasione dell’ottava edizione del Sicilia Queer filmfest. La rassegna, ormai al suo sesto giorno di proiezioni, è un appuntamento fisso nel panorama internazionale del cinema a tematica lgbtqia ma non solo.

Il Sicilia Queer non è, infatti, una cosa soltanto, non riguarda una sola comunità – né solo quella siciliana e palermitana, né solo quella che si riconosce in una definizione gender oriented.

Realizzato e reso possibile dal lavoro di decine di volontari, traduttori, interpreti, tecnici audio-video, videomaker, grafici e social media manager ma soprattutto appassionati di cinema, letteratura, teatro, fotografia, arte, “il Queer” – come i più assidui frequentatori lo chiamano in breve per darsi appuntamento – è un modo corale di «declinare il pluralismo di pensiero critico. Dalla Sicilia lo sguardo è rivolto al mondo intero, la soggettività non è individualismo ma un’idea nuova di cittadinanza, di giustizia sociale, di diritti e di libertà per la persona», nelle parole del direttore artistico Andrea Inzerillo.

E anche di desideri, perché le tematiche del desiderio interessano tutti in modo trasversale e l’ambizione del SQ è proprio quella di parlare a un pubblico ampio, contribuendo alla trasformazione del linguaggio e dell’immaginario e anche del paesaggio urbano e civile.

Il Sicilia Queer – le cui iniziative si svolgono su un calendario annuale con proiezioni, presentazioni, interventi pubblici che “preparano” la settimana estiva – ha infatti già contribuito in modo radicale a trasformare materialmente la faccia della città di Palermo.

Intanto, lavorando alla riapertura al pubblico del cinema costruito all’interno del complesso dei Cantieri culturali nel quartiere della Zisa – una ex area industriale di oltre 55.000 mq.

Prima sala cinematografica pubblica di tutta la Sicilia e capace di ospitare fino a 480 spettatori, questo spazio viene inaugurato nel 2008 con la manifestazione Cantieri del documentario alla presenza di Vittorio De Seta, di Vincenzo Consolo, Gianfranco Rosi e Pietro Marcello.

Dopo undici giorni di attività la sala viene chiusa, lasciata nell’abbandono e all’inattività, rimossa dalla memoria della cittadinanza. Destino riservato all’intero complesso dei Cantieri alla Zisa, padiglioni a diversa e preziosa destinazione – il Goethe-Institut, il Centre culturel français, l’Istituto Gramsci e la nuova sede siciliana del Centro Sperimentale di Cinematografia.

Alla fine del 2011, il movimento politico di cittadini I cantieri che vogliamo, in aperta contestazione con la messa a disposizione da parte del comune degli spazi a privati, si muove per la riqualificazione e la riapertura di luoghi abbandonati della città perché si torni a viverli. Tra questi anche la sala cinematografica della Zisa che viene intitolata proprio a Vittorio De Seta, che l’aveva vista inaugurata e da poco scomparso.

In breve, il cinema viene simbolicamente (e di nuovo) riaperto perché ospiti una prima programmazione e nei mesi successivi, un consorzio di quattro festival, tra cui “il Queer”, cura una programmazione che coinvolge anche gli altri enti presenti nello spazio ampio dei Cantieri culturali, oltre alla Filmoteca Regionale Siciliana e all’Istituto Cervantes.

Fabrizio Milazzo – La sala da 480 posti del Cinema De Seta ai Cantieri Culturali alla Zisa durante la proiezione di La strada dei Samouni, di Stefano Savona

Dall’edizione 2013 il SQ ha stabilito ai Cantieri e al De Seta il quartier generale dell’intera rassegna, in contrasto con la incoerenza programmatica che governa (e non) la ripresa regolare e assidua delle attività di quella sala, unico cinema pubblico di Palermo e della Sicilia.

Le iniziative del festival, quindi, spaziano nei 55.000 mq dei Cantieri – oltre che nel centro storico della città con proiezioni anche al Cinema Rouge et Noir – aprendoli alla cittadinanza e a un pubblico in arrivo da tutta Italia e dall’estero per assistere alla proiezione di cortometraggi – in competizione per il concorso Queer Short – e di lungometraggi – nel contest delle Nuove Visioni.

Oltre a queste sezioni, il SQ18 presenta opere fuori concorso all’interno del Panorama Queer e delle Presenze, sezione quest’anno dedicata alla retrospettiva integrale del regista e attore francese Jacques Nolot, in questi giorni ospite a Palermo e protagonista di incontri e dibattiti sulla sua carriera e sulla sua prospettiva (sul) queer.

Per la sezione Retrovie italiane, l’ottava edizione del festival si è affidata alla curatela del critico cinematografico Umberto Cantone che ne ha orientato la riflessione sul rapporto tra il cinema italiano e “il suo fuori”. Un fuori individuato, da un lato, nella trasformazione del cinema in un mondo di carta – i cineromanzi –, dall’altro, nel cinquantennale del ’68, raccontato attraverso le riviste cinematografiche, il cinema, la politica.

La Carte postale à Serge Daney, sezione dedicata alla storia del cinema attraverso il ricordo del grande critico cinematografico francese, quest’anno propone sullo schermo le storie queer di due maggiordomi raccontate da Joseph Losey in The servant (1963) e da João Moreira Salles in Santiago (2006) per un accostamento che mette in dialogo un film classico della storia del cinema e un lavoro di grande suggestione anche per la riflessione sull’evoluzione del genere documentario.

Questo continuo andare e venire tra le molteplici facce del cinema è una delle cifre del Sicilia Queer che ha da anni allenato il pubblico a un costante – e instabile – divenire creativo, aprendo finestre da cui affacciarsi su visioni e immaginari da ogni Paese, che parlano molte lingue e infiniti linguaggi.

Come quello documentaristico in anteprima nazionale per l’apertura del festival de La strada dei Samouni di Stefano Savona alla presenza del regista, appena proclamato Miglior Documentario al Festival di Cannes, e come quello thriller ad alta tensione di Yann Gonzalez per l’anteprima nazionale del suo Un couteau dans le cœur con Vanessa Paradis, in concorso a Cannes e in proiezione nella serata di chiusura del festival alla presenza del regista.

Fuori dal cinema, intanto, il SQ apre altre finestre interessanti da cui affacciarsi sulla scena artistica contemporanea di tutto il mondo, da Beirut a Parigi, da Londra a Los Angeles.

Per la sezione Eterotopie quest’anno il regista libanese Roy Dib ha curato la collettiva Lascia che ti guardi, lascia che ti tocchi dedicata al suo Paese, in mostra al Palazzo Sant’Elia (30 maggio – 30 giugno 2018) e inserita tra gli eventi fuori programma di Manifesta 12 Palermo.

Una personale è dedicata a Catherine Opie, una tra le più stimate fotografe americane contemporanee: The human landscape, ospitata nel padiglione 18 dei Cantieri della Zisa presso il Centro internazionale di fotografia (31 maggio – 15 luglio 2018), presenta due corpus di opere di Opie (The Modernist, 2017; Portraits, 1993-1997) nelle quali l’artista lavora alla sua indagine poetica facendo della militanza civile il motore dell’intero processo estetico.

Per il Premio Nino Gennaro 2018, il SQ18 ha scelto il fotografo tedesco Wolfgang Tillmans, primo vincitore non britannico del Turner Prize nel 2000, per il lavoro di sperimentazione nella fotografia, per l’irriverente anarchia iconografica e perché, analogamente alla personalità di Nino Gennaro cui è intitolato il premio, elaboratore di immaginari queer per il tramite di componimenti visivi e tazebao.

Di fronte all’ampiezza dell’offerta del Sicilia Queer filmfest – se ne è data una idea –, la sintesi è impossibile e il rimando alla programmazione sul sito della manifestazione d’obbligo.

Per quanto riguarda la Palermo che vive e si anima nel corso di questa settimana, invece, sarà bene provare a dire ancora due parole: internazionale e extraterrestre.

Fin dal momento in cui si scende dall’aereo e si sale sul bus-navetta per il centro città, ci si ritrova come in una piccola enclave straniera a maggioranza tedesca, quasi una corriera arrivata direttamente da chissà quale città della Germania con i suoi turisti in gita di più giorni.

La prima riflessione, banale e (magari) sociologicamente errata, che viene da fare è: eccola la grande nazione Europa a più velocità, un continente che da maggio vede la migrazione interna dei popoli del Nord – quelli a velocità sostenuta – alla ricerca del sole del Sud – territorio europeo della lentezza.

La Sicilia e Palermo sono mete per le quali le compagnie low cost aprono rotte e voli a partire dal tardo aprile per poi tornare a ridurli o chiuderli tra settembre e ottobre. Disegnata da queste e altre dinamiche come una cartolina sempre assolata di una città di mare e tanto folklore, Palermo rimane il luogo esclusivo di villeggiatura per stranieri che dispongono economicamente del tempo per il riposo, costruita perché vi si possano dipanare processioni di camminatori europei perlopiù nordici in marcia raso ai muri alla ricerca dell’ombra sotto cappellini e strati di crema solare.

Ma fuori dalla cartolina, agli occhi di chi passa per il festival e ne conosce il respiro ampio e lo sguardo lungo, Palermo risulta più che un paesaggio in cui sostare, la finestra da cui guardare i mondi su cui il cinema e l’arte accendono luci e fanno scorrere visioni provenienti dalla realtà plurale, instabile, mutabile, provvisoria che è il vero paesaggio terrestre in cui viviamo.

Palermo dimostra di essere, nei giorni del festival in particolare, una città più che europea, internazionale e nient’affatto lenta, tantomeno immobile, ma che viaggia piuttosto a una velocità non lineare, non di questo mondo, non terrestre: extraterrestre appunto; difficile da cogliere se si arriva con in tasca quella sola immobile cartolina.

Dorotea Zanca – Il regista palermitano Stefano Savona e il direttore artistico del SQ Andrea Inzerillo durante la cerimonia di apertura del festival nella sala del Cinema De Seta

Così mentre nel Paese va in onda l’insediamento di un governo e di un ministro della famiglia (una) e delle disabilità sostenitori di una italianità da cartolina monocolore, monoreligiosa, monotona – eccetto che per il tono violento, gratuito e sfacciato di certi slogan contro l’estensione dei diritti civili a persone e famiglie lgbtqia – al festival viene proiettato prima di ogni film il trailer del regista losannese Lionel Baier intitolato proprio Italianità, come un memento che diverte e allo stesso tempo interroga lo spettatore su tutti i suoi pregiudizi.

Nel cortocircuito di citazioni cinematografiche e reminiscenze iconiche della cultura italiana tra un Fellini e un Pasolini, tra un Calvino e l’elogio della velocità di una Cinquecento vintage, in una officina meccanica in Svizzera (quale Paese straniero è più “italiano” della Svizzera?) il queer si rivela essere la definizione stessa di ciò che è Italia: un pianeta venusiano extraterrestre «dove la mascolinità non ha genere» e l’anomalia stivalecentrica impedisce che il mondo giri semplicemente in tondo.

Come dappertutto altrove. La Cinquecento-Italia esce dall’inquadratura spinta a braccia e a gran fatica, e la scena si chiude con il rumore di uno schianto – quello dell’aspirazione ad essere il paese-simbolo della velocità –, tra vetri rotti e ferri piegati.
Magari il mondo girasse semplicemente in tondo anche qui.