La mia Ulan Bator

In questo tempo estivo vi racconteremo brevi note di viaggio, incontro, vita vissuta in una città che ognuno di noi ha scelto per i più diversi motivi. Oltre le guide turistiche, dentro strade e su muri, nelle piazze e in piccoli ricordi.

Di Gabriele Battaglia

Tutte le mattine d’inverno, il sottoscritto e il suo amico Luciano si inviano un aggiornamento dalle rispettive città d’adozione: io da Pechino, Cina; lui da Ulan Bator, Mongolia, dove fa l’architetto.

Abbiamo entrambi una app da smartphone che si chiama Air Quality e che ha come icona una faccina con la maschera antismog. Infatti misura il livello d’inquinamento. Inevitabilmente, vince Luciano.

Quando le polveri sottili si aggirano sui 250-300 microgrammi per metro cubo a Pechino, a Ulan Bator stanno a 600-700. L’Organizzazione Mondiale della Sanità consiglia drastiche misure antismog oltre 50.

Sì, la capitale del Paese che detiene il record annuale di giornate dal cielo azzurro è, d’inverno, uno dei posti più inquinati del mondo. Il fatto è che nell’enorme slum di Chingeltei, un distretto di ger e costruzioni irregolari che si estende sulle colline a nord della città, la gente usa di tutto per scaldarsi.

L’ultimo trend parla di un mattone arrotolato dentro un copertone d’automobile a cui si dà fuoco. E capirai, Ulan Bator è anche la capitale più fredda del mondo, d’inverno si toccano tranquillamente i -40°. Quando ho raccontato questa storiella a RadioPopolare, il conduttore della trasmissione ha commentato: «Ma ci dipingi la Mongolia come un posto terribile».

Eh no, invece è un posto meraviglioso. Solo che la sua capitale racchiude tutte le contraddizioni di un Paese che sta vivendo due transizioni. La prima è tutto sommato classica: il Paese arretrato che entra nella modernità globalizzata. La seconda è unica, specifica dei mongoli: la civiltà più nomade del mondo che diventa sedentaria. Dall’intersecarsi di queste due transizioni nascono tutti i fenomeni sociali, antropologici, economici e culturali del «laboratorio Mongolia». Piuttosto interessanti, a dire il vero.

Ulan Bator è proprio il luogo dove il nomade diventa sedentario. È successo tutto nel giro di una generazione.

 

Cimitero di mucche in fibra di vetro, periferia di Ulan Bator.

Cimitero di mucche in fibra di vetro, periferia di Ulan Bator.

La vecchia Urga, poco più di un accampamento di tende o un avamposto in stile sovietico nella steppa, ha oggi un milione e trecentomila abitanti secondo dati ufficiali, ma se si considerano i non registrati, cioè i nomadi di recente urbanizzazione che sempre più convergono sulla città, si arriva a circa due milioni, su una popolazione complessiva di circa tre milioni.

Includendo anche altri centri minori, si calcola che il 71,2 per cento della popolazione mongola è urbana (2.158.256 persone nel 2016, secondo stime delle Nazioni Unite): la Mongolia è più urbanizzata della Cina, dove la popolazione residente in città sta al 56 per cento circa. Mica male, per un Paese che nel nostro immaginario significa cavalieri e pecore. Così, la città cambia volto.

Lo si vede a Zaisan, quartiere a sud della capitale. Cinque anni fa, era un pendio stepposo su cui svettava una collina. In cima, c’era il memoriale all’eroe sovietico, celebrazione dell’amicizia russo-mongola e delle vittorie contro giapponesi e nazisti. È ancora lì, ma la collinetta è scomparsa dietro ai palazzi di un quartiere cementificato da decine di progetti immobiliari che crescono caoticamente senza un piano regolatore.

Si costruisce in base all’ubicazione del terreno che il palazzinaro di turno riesce ad aggiudicarsi.

Così c’è chi acquista l’appartamento con vista sulla vallata e nel giro di sei mesi si trova un palazzo più alto di fronte alla finestra. I prezzi equivalgono comunque a quelli di Milano, Pechino: 4-5mila dollari al metro quadro. Qui, si coglie l’esplosiva ricchezza dei nuovi businessmen mongoli legati all’indotto delle miniere, mentre dall’altra parte della valle, a Chingeltei, c’è l’affollarsi dei nomadi di recente inurbamento, che tirano a campare.

Ma per una popolazione così scarsa come quella mongola si costruisce già troppo e molti appartamenti appaiono vuoti. Mi è capitato di parlarne con un certo Bayarbat, imprenditore edile sulla trentina, che posando davanti alla fila di villette a schiera che stava tirando su proprio a Zaisan, si scagliava contro i propri connazionali: così stupidi – secondo lui – da non capire che è demenziale continuare a costruire forsennatamente senza preoccuparsi del perché.

Contraddizioni alla mongola.