Un Lampo a ciel sereno. Bologna #1

Xm24 e il futuro della Bolognina

di Antonio Liguori
foto di Olta Lamçe

Quest’articolo nasce da una piccola indagine realizzata in Bolognina tra febbraio e marzo 2017. Non può essere inteso come una ricerca antropologica (perché manca un vero lavoro di campo), né come un articolo giornalistico (perché mancano numerosi dati e verifiche degli stessi). È piuttosto il tentativo di inquadrare una serie di tematiche all’interno di una possibile prospettiva di ricerca: è il modo in cui inizierei uno studio di antropologia urbana in questo quartiere.

A gennaio mi sono trasferito in Bolognina, quartiere di Bologna famoso per “la svolta” del Partito Comunista Italiano.
E «Non per caso è avvenuta qui, la svolta», dirà uno degli intervistati di questa breve indagine, ipotizzando che questo luogo sia stato scelto anche per l’attitudine dei militanti del PCI del quartiere, abituati alla disciplina di partito, all’ordine e alle regole.
La Bolognina non è il centro, ma è vi così vicina che potrebbe essere considerata un secondo centro, una finta periferia. Per questo motivo il quartiere è sempre stato il luogo di esperimenti urbanistici, oltre che politici.

Mi sono trasferito in Bolognina, dicevo. E per la precisione a 100 passi scarsi da Xm24, il centro sociale al centro del dibattito politico sul futuro del quartiere. Lo spazio, attivo da 15 anni nelle strutture dell’ex mercato ortofrutticolo, non vedrà rinnovata la convenzione con il Comune di Bologna ed è al momento destinato – dopo il mese di giugno – allo sgombero coatto. Con inevitabili ripercussioni a diversi livelli, dal momento che né i collettivi che abitano gli spazi né la rete di solidarietà costruita attorno al centro sociale sembrano avere alcuna intenzione di consentire questo sgombero.

Il tentativo di chiudere o quantomeno spostare il centro sociale non è una novità: già la convenzione triennale firmata nel 2014 fu l’esito di un percorso difficilissimo che portò alla riduzione degli spazi di Xm24 per garantire la costruzione di una rotonda, legata alla revisione urbanistica del quartiere, nella più ampia cornice del nuovo progetto edilizio dell’ex mercato ortofrutticolo Navile.

Fu molto interessante in quel percorso la caparbietà dei collettivi di Xm24 nel contestare la necessità di ricondurre la propria esperienza ad un’entità giuridica riconoscibile per il Comune, in quanto forma istituzionale. Dopo enormi sforzi, si arrivò alla mediazione nella creazione del Comitato per la promozione e la tutela delle esperienze sociali autogestite per lo sviluppo di laboratori e progetti di inclusione sociale e culturale, che da un lato consentiva la firma della convenzione, dall’altro ribadiva l’esistenza di forme autonome autogestite, non inquadrabili nel linguaggio della Stato e della burocrazia.

Come nasce questo articolo?
Negli ultimi mesi diverse esternazioni pubbliche di politici, rappresentanti di gruppi di cittadini e associazioni hanno sostenuto l’incompatibilità di Xm24 con la zona in cui è attualmente localizzato; denunciando, inoltre, il sostanziale auto-isolamento del centro sociale che non avrebbe costruito una relazione con il quartiere e non porterebbe ad esso benefici. Anzi, sarebbe un centro nevralgico del “degrado”, quando non dello spaccio. Consapevole del fatto che Xm24 ha un suo ruolo nel quartiere, ho iniziato a chiedermi come potesse essere interpretata e quale significato assumesse questa incompatibilità.
Guardando un video di interviste realizzate dalla Scuola con Migranti di Xm, che si fa portavoce come altre realtà del centro sociale del pensiero e della pratica della pluralità, ho prestato attenzione al motto della scuola: una frase di Paulo Freire «Nessuno educa nessuno. Nessuno educa se stesso. Tutti educano tutti con la mediazione del mondo».
A quel punto mi è sorta una domanda: la presunta incompatibilità di Xm non sarà forse identificabile come l’incompatibilità di un’esperienza complessa con uno dei paradigmi dominanti di questi tempi, ovvero quello della semplificazione? Da questo punto di vista Xm risulterebbe incompatibile con il “nuovo” quartiere in quanto il centro sociale si fa portatore di un’istanza profondamente complessa, difficilmente spiegabile e comunicabile con parole semplici, con una narrazione “comoda” che possa tenere insieme interessi di politici, residenti, commercianti, costruttori, migranti, ex operai, ex comunisti, neo-leghisti.

Questo articolo allora si presenta come un percorso narrativo nel quale ho cercato di indagare, lasciandomi trasportare dalle parole e dai vissuti degli intervistati, la pluralità dei punti di vista della Bolognina. E in particolare dei punti di vista sul futuro. Alla luce delle interviste potrei quasi sostenere che la contesa più grande all’interno del dibattito veicolato dalla parola gentrification, variamente in uso in Bolognina, riguardi proprio la pluralità del futuro: futuri contro futuro. Un futuro, singolare, che può essere inteso come proiezione di quell’ordine razionale moderno in forza allo sguardo dominante, come eterno presente pacificato. O più futuri, plurale, in relazione ai quali forse Xm rappresenta un simbolo incarnato della molteplicità e diversità delle esperienze, dei tempi e dei modi di vita della Bolognina, che, come vedremo, difficilmente riescono ad essere catturati e compresi in un unico intreccio narrativo.


Il mio punto di partenza è stato la ricerca online di riferimenti a comitati di cittadini e di commercianti della Bolognina, per indagare quali tematiche li spingessero a unirsi in gruppi locali. Così mi sono imbattuto in un simbolo che mi ha incuriosito: I love Bolognina, che sotto forma di spillette e adesivi è stato distribuito durante una manifestazione avvenuta a fine febbraio, da parte di alcuni abitanti del quartiere e da alcuni “cittadini illustri”. «Per rilanciare il quartiere attraverso l’orgoglio dei suoi cittadini», si legge nel comunicato stampa.
La cosa interessante, oltre al riferimento al “rilancio”, è che il simbolo scelto fosse esattamente lo stesso della campagna I love Xm24, lanciata tra dicembre 2016 e gennaio 2017. Questo creava, a mio modo di vedere, la possibilità di una polarizzazione nel quartiere tra chi esibiva un simbolo oppure l’altro.

Così, in attesa delle risposte dei Comitati contattati, ho iniziato a seguire la traccia dei “cuori della Bolognina”, partendo da quelli di via Matteotti, strada nella quale immaginavo di trovare “cuori” più istituzionali. Dopo i primi contatti, ho deciso di realizzare interviste in forma libera cercando di mantenere sullo sfondo le mie domande, ma senza focalizzare la discussione su Xm, sul “degrado” o sulla gentrification. Anzi, facendone menzione meno possibile per vedere se queste tematiche eventualmente emergessero spontaneamente. Le “chiacchierate” partivano quindi da elementi generici: cercavo di domandare quale idea avessero del quartiere i miei interlocutori, come ci si trovassero, quali differenze cogliessero col passato e quali scenari si immaginassero o desiderassero per il futuro.

Alcuni nomi sono stati omessi o cambiati per rispettare la volontà più o meno esplicita di anonimato. Sì noterà che alcune volte faccio parlare gli intervistati in prima persona senza virgolettato: in quei casi mi assumo la responsabilità di una costruzione narrativa del significato delle loro affermazioni.


Comitato Progetto Bolognina
«In verità mi hanno chiesto se potevano attaccarlo», mi racconta il titolare di un negozio di abbigliamento quando gli chiedo dell’adesivo con il cuore I love Bolognina. E’ nato e cresciuto in Bolognina e ha una commessa che da 40 anni lavora lì.
Facciamo parte del comitato di commercianti Comitato Progetto Bolognina, sì, ma non ne siamo assidui frequentatori. Il Comitato cerca di rivalutare la zona e di garantire la sicurezza chiedendo maggiore presenza dell’autorità e più telecamere, e organizzando eventi.
Certo, il quartiere è cambiato molto, sembra affermare con una certa sicurezza.

Poi però, nella discussione che si genera con la commessa, questo cambiamento si configura piuttosto come un semplice mutamento degli attori sociali, dove tutto il resto rimane identico: non è un posto particolarmente pericoloso, così come non lo era prima. C’è lo spaccio sì, ma c’è sempre stato: la commessa mi indica con la mano un punto immaginario dove gli spacciatori mettevano le dosi un tempo. In piazza dell’Unità i ragazzi giocano a basket come noi un tempo.

Sono però figli di immigrati – verificherò poi che questo è vero fino a un certo punto perché al campetto ci va chiunque –, questo è cambiato: i negozi vengono comprati da stranieri, ci sono molti più stranieri di prima, che non legano molto con gli altri. Non c’è molta socialità, insomma. La sera non c’è niente da fare: chi è che uscirebbe la sera in Bolognina? Non c’è niente. È sempre stato così. Adesso però hanno aperto un bar qui vicino, in via Serra, ed è frequentato principalmente da italiani. Non conosco il nome.
Immagino che il bar in questione sia il Fermento. Non ci sono mai stato, ma ne ho letto sul blog di Benedetta Cucci, una delle animatrici di I love Bolognina, in un post dal titolo Tutto il nuovo che verrà, dove è dipinto come uno spazio gradevole di cui c’era assoluta necessità, perché prima non si sapeva dove potersi dare appuntamento.
Una conferma mi arriva molto presto a telefono: incontrerò alcuni esponenti del Comitato Vivere Mercato Navile proprio al Fermento, dietro loro stessa proposta. È un bar che ha aperto da poco dove si può prendere qualcosa da bere.
A questo punto ovviamente capisco che la mia prossima tappa sarà proprio al Fermento, per intervistarne i proprietari.


Abdel
Sulla via verso il Fermento però vengo attratto dal salone di un parrucchiere. In vetrina c’è una bandierina del Marocco che campeggia tra la scritta “parrucchiere” e quella “Marrakech”. La porta è spalancata su una lunga coda di persone che aspettano il proprio taglio: sono soprattutto giovani, sia dalla pelle chiara che scura, ma ci sono anche persone di mezza età. E un signore anziano, a cui faccio qualche domanda. La Bolognina non è cambiata molto: è sempre stata un luogo di grande scambio tra culture, un luogo pieno di potenzialità, dice.
Chiedo ad Abdel, il proprietario, se posso scattare una foto. Prima acconsente, poi mi chiede cosa debba farci: alcuni anni fa venne un giornalista a scattare una foto e fare qualche domanda, e dopo alcuni mesi, a sorpresa, si ritrovò in un articolo che parlava di degrado e del fatto che il suo locale non avesse i requisiti igienico-sanitari per stare aperto. Prendo un appuntamento per tagliare i capelli e parlare un po’ con lui. Mi dice che con fatica si è costruito una buona clientela, ma il suo percorso in Bolognina non è stato poi così semplice. Il fatto che dei suoi connazionali spacciatori fossero spesso nei paraggi ha fatto sì che le attenzioni della polizia si siano spesso concentrate ingiustamente su di lui. Come si fa a parlare di integrazione – sostiene – se mi arriva la polizia in continuazione e spaventa i miei clienti chiedendo i documenti e facendo domande? Lui vive a San Giovanni in Persiceto e si trova bene in una situazione di maggior quiete. Vorrebbe aiutare suo fratello, che lavora per lui, in Bolognina, ma gli risulta molto difficile perché «appena sentono che sei marocchino dicono che hanno già affittato».

Però in Bolognina si trova bene. Gli chiedo se risente dei prezzi concorrenziali dei parrucchieri cinesi, ma lui risponde che la sua clientela non bada solo al prezzo. È come il caffè: lo vado vado a prendere dai ragazzi qui vicino che sono italiani, non nei bar dei cinesi perché gli italiani hanno la passione per il caffè e quindi lo fanno più buono.

I “ragazzi qui vicino” ovviamente sono il Fermento.


Il Fermento
Considerando gli elementi che mi erano stati forniti da letture e interviste – un bar glamour, un bar dove vanno gli italiani, un bar che rappresenta “il nuovo” in Bolognina – non mi aspettavo esattamente che a gestirlo fossero dei ragazzi che avevo già visto durante alcune manifestazioni di protesta, nello specifico quando facevano parte del Coordinamento Migranti che si riunisce proprio a Xm24.

Questo per un mio pregiudizio culturale tendente a una sorta di “razzismo al contrario”, mi farà notare proprio uno dei titolari del bar. Davide, infatti, ben conscio dell’attenzione che c’è in Bolognina per il suo bar e del modo in cui viene spesso rappresentato, mi chiede subito in che modo io intenda usare foto e interviste. Il pericolo è quello di vederlo dipinto come la pura espressione del quartiere “rivalutato”, dove rivalutato vuol dire, più o meno velatamente, depurato dalla presenza dei poveri.

Il Fermento si pone proprio sulla linea di contesa della costruzione ideale e fisica del futuro del quartiere, rappresentata dalle possibili declinazioni della gentrification: il quartiere vetrina; il quartiere a cui viene sottratto lo spirito popolare originario, per essere artificialmente sostituito da un suo simulacro accattivante proprio perché pop; il quartiere nel quale l’aumento dei prezzi delle case e dei servizi e la loro conseguente inaccessibilità per i più poveri – soprattutto migranti – costringe questi ultimi a spostarsi altrove.

Sono diverse le “voci” che utilizzano questa parola: gentrification. Le istituzioni, nella presentazione dei progetti di riqualificazione dicono «non faremo la gentrification»; gli intervistati – ne parleremo tra poco – del Comitato Vivere Quartiere Navile si sentono accusati di gentrification; molti sostenitori della causa di Xm24 dicono: «è gentrification: Xm24 viene cacciato proprio per questo». E Il Fermento, è gentrification?
Davide dice che sarebbe molto importante, se si vuole usare questa parola, andare a scomporla in tre criteri fondamentali «accoglienza, prezzi e accessibilità».

Per essere accogliente e accessibile un luogo deve anche essere piacevole. La bellezza e la cura di un luogo non vanno affatto sottovalutate, altrimenti si rischia di ricadere in una forma di “razzismo al contrario” in cui nel luogo dove vivono i più poveri, in particolare i migranti, le cose devono essere per forza più brutte, o meno curate, o alternative al gusto dominante: «i migranti hanno il cellulare più grande del tuo».
Il Fermento vorrebbe essere «un presidio di socialità», aperto dalla mattina fino a mezzanotte. Gli orari sono stati scelti pensando da un lato al servizio che si voleva offrire e dall’altro al contesto attorno al locale, nel quale, dice Davide, non si voleva entrare “a gamba tesa”. L’idea di aprire il bar è nata da un’esigenza personale. Volevamo che anche in Bolognina ci fosse un luogo dove bere e mangiare bene. Cerchiamo di accompagnare le persone in una sorta di un percorso educativo sulla via del gusto e della qualità, mantenendo i prezzi più bassi possibile.
Davide, assieme ad altri del locale, fa parte di diverse realtà politiche e sociali operanti in Bolognina, tra cui quelle che hanno organizzato il festival di arti urbane Baumhouse, negli anni precedenti.
Gli chiedo quali siano i problemi più importanti del quartiere: le case popolari assenti o fatiscenti, i topi, le zanzare. In poche parole i problemi sono tutti per i poveri. Lo spaccio è un problema che c’è, ma fa parte della finta narrazione sulla Bolognina e non pare che si voglia realmente fermarlo. Si preferiscono interventi evidenti ed evidenziabili, ma inefficaci, piuttosto che seri percorsi di prevenzione: la politica istituzionale non ha più un controllo sui tempi. Le elezioni arrivano prima di vedere i frutti di una politica a lungo termine mentre i tuoi elettori vogliono vedere subito i risultati.


Comitato Vivere Mercato Navile
Mauro risponde al mio invito lanciato sul sito del Comitato e mi dà appuntamento, come detto prima, al Fermento. All’appuntamento però si presentano in 5.
Siamo un social building ormai – mi raccontano –: abbiamo un gruppo Facebook, una chat condominiale, un gruppo Whatsapp, ci troviamo per fare riunione la domenica mattina. Stiamo scrivendo addirittura un giallo condominiale, con il testo che viene elaborato a turno da ciascun condomino.

Il Comitato Vivere Mercato Navile nasce nel 2014, quando gli acquirenti di una cinquantina di appartamenti dei palazzi del complesso residenziale Trilogia Navile si trasferiscono nelle nuove case. Si aspettavano di arrivare nel meraviglioso parco pieno di servizi che avevano visto nei rendering, invece si trovano a vivere in “cattedrali nel deserto”, senza strade e illuminazione per arrivarci. Mi raccontano di come sia stata la situazione di comune difficoltà a renderli uniti. Da quel momento, gradualmente, è iniziata una condivisione di esperienze che ha portato a un grande affiatamento nel palazzo e all’inizio di una lotta.

Il comparto dell’ex Mercato Navile è un progetto edilizio iniziato nel 2004. A seguito dello smantellamento del mercato ortofrutticolo, trasferito in periferia, la zona è stata destinata all’edilizia residenziale. Il Comune ha creato dei laboratori partecipati ad hoc per lavorare al progetto. Secondo gli intervistati, è stato proprio grazie alla partecipazione degli abitanti del quartiere, oltre ad urbanisti e architetti, che il progetto non si è trasformato in una sorta di “colata di cemento”. Sono stati richiesti ampi spazi verdi, cosa che – mi dicono – ha portato alla costruzione di palazzi alti – forse troppo, aggiungono – per mantenere inalterata la quantità di alloggi preventivata dai costruttori.

Inoltre il progetto doveva essere “multiculturale”. Per culture – dice Mauro – intendo sia provenienze diverse, sia modi di vivere diversi, estrazioni sociali, redditi diversi… Siamo stati colpiti da questo progetto perché secondo noi la multiculturalità, se ben gestita, è una grande ricchezza e potenzialità.

Il comparto infatti prevedeva la realizzazione di alloggi di vario tipo: edilizia libera (circa 450 alloggi) edilizia convenzionata (110), housing sociale (in una forma di contratto di affitto con possibilità di riscatto – 317) e case popolari vere e proprie (75). La multiculturalità non ci spaventa – sono d’accordo tutti quelli del Comitato – altrimenti non saremmo venuti a vivere qui.
Le motivazioni dei singoli appartenenti al Comitato relativamente alla scelta del quartiere sono in realtà un po’ diverse tra loro: c’è chi è stato affascinato dalla posizione e dal verde, chi dal respiro da grande capitale europea del progetto (sembrava Berlino), chi dalla tecnologia delle case, e chi davvero è un sincero amante della Bolognina.

A causa della crisi economica, però, il progetto ha subito una drammatica battuta d’arresto. Il consorzio di costruttori deputato alla costruzione ha visto fallire diverse delle cooperative presenti e ha fermato i lavori quando erano stati costruiti soltanto tre palazzi: quelli di edilizia convenzionata e uno di edilizia libera. Attorno, un parco un po’ spoglio e decine di ettari di niente.


Ad un certo punto abbiamo dovuto fare una scelta – raccontano – alcuni hanno fatto causa e sono riusciti ad avere indietro le caparre. Noi invece (sono 75 gli immobili abitati su 200 costruiti contro i circa 1000 previsti), abbiamo creduto fortemente nel progetto. Da quel momento la mattina ci alziamo e prima di andare a lavorare ci sentiamo per scrivere lettere, comunicati, organizzare ricerche.
Il Comitato VMN infatti cerca su più fronti di portare avanti una lotta per il completamento del comparto, così come era stato previsto: oltre alle case non costruite, una scuola, delle strade carrabili e pedonali di raccordo, la casa della salute, negozi, il restauro della pensilina Nervi (la più grande piazza coperta d’Europa). Curiosamente, capisco dopo una domanda mirata, nessuno del Comitato VMN ha partecipato ai laboratori del Comune per la progettazione.
Chi aveva partecipato invece tra gli abitanti della zona?, – chiedo. Sicuramente – rispondono – molti del Centro Sociale Katia Bertasi, punto di ritrovo di molti anziani del quartiere (con i suoi circa 1400 iscritti), che ospita molte iniziative. Anche per il centro era previsto un nuovo edificio, a ridosso della pensilina. Mi raccontano che negli ultimi tempi gli anziani del Katia Bertasi hanno cercato di stringere con loro buoni rapporti.

Ad essere escluso dal piano invece è Xm24. Chiedo ai membri del Comitato cosa pensino loro della vicenda, anche alla luce del fatto che il Katia Bertasi abbia manifestato a mezzo stampa una certa insofferenza verso il centro sociale attiguo. Mi rispondono che sicuramente chi abita o fa attività vicino a Xm ha risentito spesso del disagio causato dalle feste, a causa degli orari e dello sporco. In previsione, per un luogo che dovrebbe ospitare 3000 residenti, non sembra proprio l’ideale. Questo però non vuol dire che il Comitato abbia una posizione contraria a Xm.

Da parte istituzionale, raccontano, c’è una certa pressione affinché noi prendiamo una posizione, ma noi abbiamo chiesto degli elementi al Comune: quali accordi c’erano? Quali accordi sono stati rispettati e quali no? Non sono arrivate risposte. Sapevamo da prima – dicono – che c’era Xm, e abbiamo pensato che potesse comunque rappresentare un valore. A dire il vero le posizioni sono variegate: si va da chi pensa comunque possa essere un’attrattiva per persone poco raccomandabili a chi è favorevole a una loro permanenza regolata, perché è giusto che i giovani facciano quello che vogliono fare. C’è poi chi è deluso perché si aspettava un maggiore coinvolgimento nelle attività: «che ne so – dice Alice – magari potrei aiutare a insegnare italiano nella scuola coi migranti».

In generale tutti hanno l’impressione che Xm non sia un luogo molto aperto, soprattutto a loro, che si sentono additati come i rappresentanti della gentrification: «no gentrification, no riqualificazione», sosteneva un loro striscione: Xm ha sempre considerato il progetto una mera speculazione edilizia.

Ad oggi la lotta del Comitato ha portato ad avere un minimo di illuminazione e la costruzione delle strade principali per arrivare alle case, ma poco altro. Parte del Comitato si spende un po’ di meno nelle sue attività perché un po’ stanca e demotivata, mentre altri stanno andando avanti allargando l’orizzonte. Mi raccontano di come si stiano allargando anche ad altre zone del quartiere, che non fanno parte del nuovo comparto. Faccio delle domande per capire se in loro è cambiata o sta cambiando anche il rapporto con la politica e le istituzioni. Senz’altro – rispondono – in questi anni ci siamo sentiti molto soli e non ascoltati, nonostante alcune vittorie ottenute e la ricerca di un dialogo corretto con le istituzioni. Non siamo riusciti a vedere i documenti che volevamo vedere, non riusciamo a venire a capo di come funzioni il consorzio e quale sia la reale situazione delle aziende che lo compongono. Sembra che alcune abbiano i soldi per costruire ma non lo facciano di proposito. Altre hanno potenziali acquirenti ma non vendono perché il valore delle case a bilancio è molto maggiore al ricavo che farebbero con la vendita. Ci siamo fatti l’idea che ci sia una sorta di sudditanza del Comune verso i costruttori. Entro un anno scade l’accordo con il consorzio e tuttora non sappiamo cosa sarà del comparto. Vorremmo trovare qualcuno che ci aiutasse a fare chiarezza.


On The Move
Sempre dal Fermento parte un altro percorso per le strade della Bolognina. È lì infatti che incontro Mohammed (in arte Dies, che scoprirò poi lavorare proprio lì), un rapper della crew On The Move che ha le radici in Bolognina. Lo intervisto insieme a Jayjhona, un altro membro del gruppo. In tutto sono 11, di cui 7 rapper, 3 musicisti e una fotografa. Hanno un’età media inferiore ai 25 anni. «Tutti i nostri progetti confluiscono in Bolognina», anche se non tutti i membri della crew abitano qui. Come mai?, chiedo. Perché il progetto è nato qui, tra le mura di Xm24, tanti anni fa. «Alcuni ragazzi hanno aperto un laboratorio hip hop e molti ragazzi che facevano rime a Bologna si sono ritrovati lì. Abbiamo instaurato molte amicizie, con alcuni si è creata affinità e siamo andati avanti».

Oggi il gruppo non è più un laboratorio ma quasi una piccola casa di autoproduzione, con un un proprio studio (nel quartiere), una propria cifra artistica e distintiva: la pluralità degli stili. Non suonano più spesso alle manifestazioni, dove originariamente erano costantemente invitati e non vogliono essere inquadrati come «i ragazzi di seconda generazione che fanno rap». Non vogliono cioè essere l’esempio di qualcosa, ma essere liberi di esprimersi su ogni tematica con la loro musica e le loro parole. Questo non vuol dire che abbiano rinunciato a un posizionamento politico e a una visione politica della Bolognina.

I ragazzi ci fanno vedere i loro luoghi del quartiere, dal primo spazio che li ha ospitati dopo essere usciti dalla sala prove di Xm fino al nuovo studio. Passando davanti a Xm chiedo loro cosa pensano del presente e del futuro di questo quartiere.
La Bolognina sta cambiando – dicono – anche agli occhi di chi ci abita già, anche se resta il “capro espiatorio” di tutto. E’ come se le persone stessero scoprendo com’è fatto davvero il quartiere, sotto l’idea del degrado che ne copre l’immagine. E’ curioso che durante l’intervista utilizzino la parola degrado per descrivere sostanzialmente una situazione di inattività, come uno spreco di potenzialità. Ci sono un sacco di spazi ancora da utilizzare. Però si è davanti a una scelta: diventare un quartiere “vetrina”, un quartiere del lusso, oppure fare luce su ciò che realmente è la Bolognina. Di sicuro Xm non vuole essere una vetrina, ed è per questo che lo vogliono sfrattare.

I love Xm24
Durante il giro non possiamo non notare una grande quantità di bandire I love Xm24, appese alle finestre. In particolare ci colpisce una casa dove oltre alla bandiere c’è l’adesivo della nuova campagna di Xm: «compatibile con la realtà». Nella stessa via è passato un gruppo di cittadini, che non sono riuscito a contattare per ora, che ha raccolto 300 firme contro il centro sociale. «Non abbiamo firmato», mi dice il titolare di un esercizio molto vicino. I ragazzi del centro sociale a noi non disturbano, ogni tanto qualcuno viene, sono persone tranquille. Com’è cambiata la Bolognina? A me non sembra molto cambiata: ci sono problemi, soprattutto lo spaccio, anche se ora la situazione è migliorata. Abbiamo subito alcuni furti recentemente, ma non siamo preoccupati.

La presenza di stranieri? Credo che la Bolognina sia sempre stata un quartiere di migrazione e mescolanza. Quando ero piccolo c’erano i meridionali che arrivavano con famiglie numerosissime. Non è mai stato un grande problema.


In un altro negozio, poco lontano, incontro invece un titolare straniero in attesa di cittadinanza italiana. Mi dice che il quartiere è molto peggiorato rispetto a 17 anni fa, quando è arrivato, soprattutto per la presenza di spacciatori. L’intervista è viziata da un certo timore del negoziante nell’esporre le proprie opinioni. Non si fa fotografare e parla poco volentieri.

Però è molto interessante il fatto che aderisca abbastanza bene alla narrazione della Bolognina degradata. Gli chiedo allora se qualche comitato locale o gruppo di residenti sia passato da lui per una petizione o per chiedergli qualche adesione: da me non passano, mi risponde sorridendo, sono straniero. Per la petizione contro Xm mi dice che non avrebbe comunque firmato, il suo negozio è molto lontano e a lui non ha mai dato fastidio. Il negozio è a circa 150 metri dall’ingresso del centro sociale.


Davanti a Xm c’è un negozio che vende cibo indiano e kebab, Ravi. Incuriosito dalla bandiera esposta I love Xm24 sono entrato a fare qualche domanda al gestore. Anche lui un po’ intimorito mi dice che non sa cosa sia successo tra il Comune e Xm24, però Xm è il luogo della sua scuola di italiano per stranieri, della quale può parlare solamente bene: «È la mia scuola».
Sono stato molto indeciso se cercare di intervistare un barista cinese per questo articolo. Il bar cinese era stato citato in qualche modo nelle altre interviste da me svolte, e poi i migranti cinesi costituiscono una grande fetta della popolazione straniera residente, anche nei dintorni di Xm24 (così come si può leggere nel bellissimo studio di qualche anno fa La fabbrica e il dragone). D’altra parte però ho pensato che, così come accaduto per gli altri negozianti stranieri, avrei rischiato di intimidire gli intervistati con delle domande dirette senza un adeguato percorso di conoscenza reciproca. Alla fine mi sono comunque convinto a fare un tentativo.

«Ma ti capita mai di uscire la sera nel quartiere?», chiedo, dopo numerose risposte date malvolentieri e a monosillabi, al barista cinese vicino a casa mia. Il volto gli si illumina e mi guarda dritto negli occhi, con un sorriso beffardo: «Stai scherzando? Sono cinese. Noi lavoriamo soltanto».

La battuta mi ha fatto molto ridere. Ma mi ha fatto anche pensare, a partire proprio dalla mia esperienza personale, che davvero non si può dire che in Bolognina non ci sia inter-penetrazione e quindi scambio e dialogo tra punti di vista differenti.

La ricerca, come tutte le ricerche antropologiche ed etnografiche, non è andata esattamente come avevo preventivato: mi aspettavo di trovare due schieramenti contrapposti tra loro in conflitto sulle idee di quartiere, con punti cruciali degrado VS gentrification, pro VS contro Xm24, invece ho trovato una pluralità di esperienze e punti di vista con differenze molto sfumate e passibili di composizioni imprevedibili, in cui Xm ha un ruolo tutt’altro che isolato o marginale.

Praticamente tutti gli intervistati sono legati dalla consapevolezza che la loro esperienza vissuta in Bolognina si muove al di sotto di una narrazione etero-costruita e solo in parte introiettata e metabolizzata dai suoi abitanti. Che invece, attraverso piccoli o grandi avvenimenti – con le parole dei ragazzi della crew – vedono progressivamente illuminato da una nuova luce il posto in cui vivono.

L’articolo fa parte della serie Un Lampo a ciel sereno.

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3 comments

  1. Gennaro Galdo

    Bravo. Mi sembra che tu abbia dato un’idea realistica della situazione con parole leggibili.
    Grazie

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