Contro l’urbicidio si mobilita l’architettura forense

di Bruno Giorgini

Almeno da quando Catone enuncia la parola d’ordine Carthago delenda est, l’urbicidio diventa una delle dimensioni della guerra, a ben guardare già presente nell’Iliade omerica.

Radere al suolo le città fu una delle azioni praticate comunemente dai Romani per sradicare la cultura e la la comunanza civile dei nemici e/o dei popoli che volevano sottomettere. Non a caso le vestigia etrusche arrivate fino a noi sono quasi tutte cimiteriali, le famose necropoli, essendo che le città etrusche furono estirpate dalla faccia della terra. Così l’individuo di etnia etrusca viene spogliato della sua cittadinanza, della sua dignità di cittadino, della sua  appartenenza a una comune civiltà, per diventare nudo corpo, bios la nuda vita, in balia del vincitore, fatto schiavo o, a volte, cittadino di serie B della civitas romana.

Saltando le guerre ottocentesche, a loro modo quasi cavalleresche – non sempre – verso le città, persino i prussiani entrati a Parigi reprimendo la Comune assieme ai borghesi di Thiers, non distrussero l’intera Parigi, pur facendo strage dei Comunardi, anche se costruirono quel mostro che è la Basilique du Sacre Coeur, arriviamo al ventesimo secolo.

Durante la seconda guerra mondiale l’urbicidio divenne componente organica della strategia sia dei nazifascisti che degli alleati diciamo democratici, più l’URSS.

Dai bombardamenti a tappeto su Guernica durante la guerra di Spagna a quelli su Coventry, Londra poi Milano, Dresda, Berlino ecc… non ci fu quasi città europea risparmiata e in Giappone l’urbicidio di Hiroshima e Nagasaki per via di bomba atomica – alcune scomparendo poi dalle carte geografiche, o almeno furono a tal punto sventrate da perdere la loro identità  e cultura. Nell’urbicidio rientra a quei tempi la costruzione dei ghetti dove i nazisti rinchiudono gli ebrei, preparandoli alla deportazione e al genocidio. Chi volesse approfondire il ruolo e il concorso nell’urbicidio del fenomeno della ghettizzazione può leggere, tra molti altri, Sepolti a Varsavia di Emmanuel Ringelblum, libro di intensità a volte quasi insostenibile.

Ai giorni nostri nel corso della attuale guerra mondiale a pezzetti, l’urbicidio è in corso d’opera ai livelli della seconda guerra mondiale se non oltre, e assunto come dimensione strategica in modo esplicito da Daesh, il sedicente stato islamico, con particolare riguardo alle opere antiche come gesto di propaganda di un Islam primigenio e puro, non contaminato dalla bellezza artistica. Ma anche Israele lo pratica contro i palestinesi sia nella striscia di Gaza che nella West Bank, utilizzando in modo sistematico la distruzione degli edifici come arma. Infine ci sono i bombardamenti della coalizione occidentale, quelli dei russi e dei sauditi, le cannonate dell’armata turca contro le città kurde eccetera.

In opposizione all’urbicidio è nata nel 2011 Forensic Architecture, una agenzia composta da architetti, scienziati, ricercatori, avvocati, registi, video attivisti, designers, giornalisti con sede presso la Goldsmiths, una università di Londra (http://www.forensic-architecture.org/).

Partendo dall’assunto che gran parte della violenza militare si esprime e sviluppa in modo preminente nelle aree urbane – la maggior parte delle vittime civili oggi muore nella propria casa – l’Agenzia studia le dimensioni architettoniche e urbanistiche di questa violenza, cercando di trovare sia gli strumenti per una documentazione e denuncia, tramite, per quel che si riesce, l’uso delle tecnologie “intelligenti” di rilevamento e comunicazione, le cosidette ICT – Information and Communication Technologies – nonchè la raccolta di testimonianze sonore e visuali sul campo. Inoltre l’Agenzia riflette sul fatto che l’architettura non è neutra, quindi anche il processo di ri/costruzione deve essere discusso e progettato in funzione della civile convivenza, dell’inclusione invece che della esclusione, e altre caratteristiche che variano a seconda del contesto.

L’agenzia si relaziona con istituzioni elettive locali, istituzioni della UE, organizzazioni non governative, gruppi d’azione pacifista, e quant’altro operi nel senso di una città abitabile, oppure nel senso di una denuncia delle pratiche dell’urbicidio.

La Forensic Architecture inoltre è un insieme aperto, o meglio la sua azione è aperta al contributo dei cittadini, lo richiede e lo organizza. In altro linguaggio, l’Agenzia pratica la Citizens Science, la scienza dei cittadini, come dimensione naturale della sua prassi di ricerca e denuncia, in modo consistente attraverso l’uso di internet e fa parte di quella scienza che non solo osserva i fenomeni, ma interviene sugli stessi, il che non è esente da rischi per i partecipanti ai progetti che mette in campo – la tragica tortura e morte di Giulio Regeni docet.

E’ per ora difficile dire quanto l’Agenzia già incida per esempio sulla situazione della striscia di Gaza, uno dei suoi campi d’iniziativa, e negli altri su cui sta lavorando, certo si tratta di una esperienza assai interessante mettendo in sinergia varie competenze e expertise scientifico accademiche con le pratiche di base dei militanti e attivisti, nonchè l’esperienza dei cittadini e abitanti che direttamente si confrontano e subiscono le violenze della guerra. Se ci si pensa, quest’ottica ha una rilevanza anche sul problema  e la condizione dei profughi, che sono uno dei risultati – e non tra i minori – dell’urbicidio.

 

 

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