La corruzione nelle scelte urbanistiche

di Francesco Chiodelli e Stefano Moroni

« Quello è l’oro oggi. E chi te lo dà? Il commercio? L’industria?
L’avvenire industriale del Mezzogiorno, sì! Investili i tuoi soldi in
una fabbrica: sindacati, rivendicazioni, scioperi, cassa malattia. Ti
fanno venire l’infarto cu sti’ cose. »

Nottola ai suoi collaboratori, film “Mani sulla città” (1963) diretto da Francesco Rosi

 

Gli episodi di corruzione sono, in Italia, elemento di cronaca quotidiana.

Allo stesso tempo, la stigmatizzazione della corruzione è un leitmotiv del discorso pubblico e politico. E’ però sorprendente constatare, a fronte di ciò, la quasi totale assenza di provvedimenti in grado di affrontate efficacemente, in modo sistemico, il problema. Ciò è sicuramente legato alla complessità e pervasività del fenomeno, le cui radici affondano anche in perverse consuetudini diffuse (come testimonia il fatto che la corruzione è una piaga che caratterizza moltissimi paesi del mondo; solo una manciata di nazioni – prevalentemente paesi scandinavi – ne è parzialmente immune).

Se ci si rivolge al campo specifico dell’urbanistica, si può sostenere che ciò che manca in questo caso è la presenza di approfondimenti mirati (e di proposte radicali). Per quanto l’interesse per il tema generale della corruzione in Italia sia ampio (e riguardi spesso anche aspetti di carattere urbanistico, come la corruzione nell’ambito delle opere pubbliche), minima è invece l’attenzione che si rivolge alla questione specifica della relazione tra le caratteristiche del nostro sistema di pianificazione urbana e la diffusione dei problemi di corruzione.

L’impressione che se ne ricava è che tra gli urbanisti prevalga l’idea che il fenomeno della corruzione non sia questione che interessi specificamente la disciplina, ma che sia di pertinenza prevalente degli organi giudiziari e delle forze dell’ordine. Tale idea, però, appare debole da diversi punti di vista.

Anzitutto, è interessante sottolineare (cosa che in verità appare evidente a chiunque segua la cronaca quotidiana) come la corruzione nel campo specifico dell’urbanistica sia un fenomeno estremamente rilevante. Ciò è vero non solo in relazione all’Italia: secondo le stime di Trasparency International, il 21% di tutti coloro che, nel mondo, nel 2013, hanno preso parte a transazioni corrotte dichiara di aver pagato una tangente in relazione a questioni legate al suolo (e un altro 21% dichiara di aver pagato tangenti in relazione a permessi e registrazioni, categoria che include, ad esempio, anche le autorizzazioni a costruire). In relazione al nostro paese, si consideri anche che, secondo recenti stime della Corte dei Conti, la lievitazione che colpisce i costi delle opere pubbliche a causa della corruzione arriva addirittura al 40%.

Secondariamente – è questo il punto che vogliamo sottolineare con più forza – certe caratteristiche di un sistema di pianificazione urbana sono causalmente connesse ai fenomeni di corruzione, ad esempio perché aumentano le opportunità e gli incentivi a compiere transazioni corrotte. Come un sistema di pianificazione è articolato e funziona (ad esempio, come sono strutturati i processi per giungere a una decisione urbanistica, quali sono i meccanismi di attribuzione dei diritti edificatori, etc)  concorre a determinare quanta corruzione è presente in quel sistema. Questo fatto, decisivo, viene però spesso sottovalutato.

In termini generali, il livello di corruzione di un certo sistema istituzionale è ovviamente legato all’onestà sia dei funzionari pubblici, sia dei privati cittadini.

Tuttavia, mantenendo questo fattore constante, l’intensità della corruzione è proporzionale al livello di discrezionalità dei funzionari pubblici in un certo campo, alla rendita estraibile dalla transazione corrotte e al rischio di essere scoperti (e alle relative pene previste). Nel campo dell’urbanistica, in Italia (ma lo stesso discorso si potrebbe fare con riferimento a molti altri paesi), non solo il rischio di essere scoperti per corrotti e corruttori è piuttosto basso (e relativamente basse sono anche le pene), ma, soprattutto, è elevatissimo il potere discrezionale (e differenziante) di cui godono funzionari pubblici e politici, e enormi le rendite estraibili da una transazione corrotta. Un tratto di penna su un piano urbanistico può valere una fortuna: si può capire, dunque, come la tentazione di influenzare a proprio vantaggio le decisioni di tecnici e politici sia fortissima. Tanto più – e questo è il secondo elemento chiave della questione – che le ragioni “scientifiche” per stabilire che un certo suolo debba avere uso agricolo anziché residenziale sono, con poche eccezioni, minime.

Le scelte in materia di usi del suolo e diritti edificatori sono infatti scelte che hanno normalmente un debolissimo contenuto tecnico; sono scelte, invece, guidate per lo più da altre ragioni (economiche, politiche, retoriche…). Se (fondamentali) azioni di tipo culturale o di tipo repressivo per contrastare la corruzione non sono di pertinenza della “disciplina urbanistica”, sarebbe però possibile introdurre alcuni accorgimenti tecnici utili per diminuire gli incentivi alla corruzione nelle scelte territoriali. In particolare, per quanto riguarda l’ambito specifico della corruzione relativa alle destinazioni d’uso dei suoli e ai volumi edificabili (che non è certamente l’unico tipo di corruzione in campo urbanistico, ma ha comunque un peso rilevante), un’azione anti-corruzione efficace potrebbe mirare a ridurre la discrezionalità nell’ allocazione di usi e diritti di edificazione, o a diminuire le rendite economiche legate a una certa decisione urbanistica.

Diverse soluzioni tecniche in proposito già esistono – per quanto nessuna di queste sia mai stata praticata con l’intento specifico di ridurre i fenomeni di corruzione nel campo dell’urbanistica.

Ad esempio, è stato proposto di allocare i diritti edificatori sulla base di aste, al miglior offerente. Oppure, sarebbe possibile introdurre un sistema efficace e sistematico di “cattura del valore” generato dal cambio di destinazione d’uso (come praticato ad esempio in Israele da diversi decenni). Oppure, ancora, sarebbe possibile “spalmare” tutti i diritti edificatori di un certo piano urbanistico su tutti i proprietari di suoli in una certa municipalità (dunque, utilizzando un unico indice edificatorio), permettendo poi il trasferimento degli stessi tra diversi proprietari (adottando dunque una variante specifica e radicale del meccanismo del trasferimento dei diritti edificatori) . In tutti questi tre casi, i diritti edificatori non sarebbero più allocati su base totalmente discrezionale e gratuita – come avviene attualmente, di modo che oggi sono in pratica un “regalo” che l’amministrazione pubblica fa a certi proprietari.

Le diverse soluzioni proposte hanno, ciascuna, specifici limiti di applicabilità e possibili effetti indesiderati di altro tipo; la loro praticabilità all’interno del sistema urbanistico italiano andrebbe di conseguenza ponderata attentamente. Tuttavia, ciò che è certo, è che permetterebbero di ridurre drasticamente gli incentivi a corrompere funzionari pubblici e politici per modificare a proprio vantaggio le scelte di un piano urbanistico. Suggeriscono, in ogni modo, che vale la pena di esplorare nuove vie (anche tecniche) per affrontare il problema.

 

Francesco Chiodelli è ricercatore presso il Gran Sasso Science Institute, dove insegna nel dottorato internazionale in studi urbani. Si occupa in particolare della relazione fra regolazione dello spazio e problemi etici e sociali rilevanti (pluralismo, tolleranza, discriminazione, povertà, corruzione).

Stefano Moroni insegna Etica ambientale e diritto urbanistico presso il politecnico di Milano. Si occupa prevalentemente di questioni etiche e giuridiche riguardanti il territorio e l’ambiente.

 

NOTA l’immagine di copertina è tratta dal film “Mani sulla città” (1963) diretto da Francesco Rosi

 

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