QUELLI CHE VANNO QUELLI CHE RESTANO

 di Alessandra Puigserver

Modi, movimenti, espressioni, distinguono chi va da chi resta. Osservare un microfenomeno, come è  l’imbarcarsi sui battelli veneziani, riportandolo ad una dimensione più universale e in qualche modo astorica, riconducendo il caso specifico a più ampie generalizzazioni.*

 

All’interno dello spazio urbano gli individui interagiscono attivamente e in modo continuativo sia con gli oggetti che li circondano, sia con le leggi e dinamiche proprie della città. I comportamenti, gli stati d’animo e le azioni sono il risultato, e anche la conseguenza, delle situazioni che ci si prospettano davanti ogni giorno: esse rappresentano uno scenario ben specifico, differente per ogni contesto cittadino.

La domanda da porre è se l’analisi di fenomeni che si riscontrano in situazioni particolari, spesso “uniche”, possa portare all’elaborazione di  concetti universali, rappresentativi non della situazione in sé, ma proiettati su un piano diverso, più generale.

Mariateresa Sartori, nel suo video “Quelli che vanno quelli che restano”, attraverso le riprese fatte sui battelli a Venezia, nelle ore di punta, intraprende un’indagine che va proprio in questa direzione: l’universalizzazione dell’esperienza mediante lo studio diretto delle dinamiche umane in situazioni ben precise e particolari.

Il risultato è uno studio sulla condizione dell’uomo attraverso l’osservazione di un particolare “stato” che,  una volta slegato dal legame con la situazione specifica che l’ha indotto, si trasforma nell’essenza del “sentirsi in un certo modo”.

 

immagine video

 

Il Video è nato all’interno di uno studio incentrato sull’analisi di come le persone si muovono nello spazio, legato ad un progetto sui flussi che stavo facendo con Bruno Giorgini e il Laboratorio di Fisica della città dell’Università di Bologna – esordisce Mariateresa Sartori.

Vivo a Venezia ed ho a che fare quotidianamente con questa massa di persone. Ho deciso di analizzare la situazione che si veniva a creare  durante i maggiori momenti di punta in luglio e agosto, negli approdi più affollati. Per iniziare ho fatto una serie di prove con la videocamera, per individuare l’inquadratura migliore: mi sedevo in ultima fila, nella parte scoperta del battello, e appoggiavo il braccio sulla balaustra con la videocamera appoggiata sulla spalla guardando da un’altra parte, in modo che le persone pensassero che non stessi filmando. Gli approdi che mi consentivano la giusta visuale, pur essendo i più affollati, erano quello del Lido, con le persone di ritorno dalle spiagge, e l’approdo di San Zaccaria – San Marco dove si aggiungevano tutti i turisti che non erano andati sui lidi. Mi interessava riprendere due momenti:  quello in cui le persone entravano nel battello, cioè l’attimo in cui il marinaio apriva la catena per consentire l’accesso, e quando la catena veniva chiusa e alle persone non era più consentito salire.

Riguardando il registrato a casa, mi colpì subito lo sguardo di chi era riuscito ad entrare in battello e di chi invece restava lì come “appeso”.

Venezia si presta moltissimo a osservare l’umano in situazioni particolari, quasi estreme. La persona che perde un battello non ha lo stesso sguardo di un turista che perde un bus in una qualsiasi città perché  si trova in una situazione completamente diversa rispetto alle sue abitudini: nei suoi occhi e nel suo comportamento si riesce a cogliere una sorta di reazione primigenia, come se fosse di fronte alle regole di un mondo a sé, totalmente differente da ciò a cui è abituato. L’osservazione della condizione umana ne è quindi avvantaggiata, perché si analizza lo stato di una persona “vergine”, non influenzata da dinamiche prefissate, abitudini o altro.

Lo sguardo delle persone che hanno perso il battello, o che non possono più entrare, è qualcosa di  particolarmente denso: rappresenta lo sguardo di tutti quelli che non sono riusciti, in senso molto ampio, e quindi lo “stato” di non avercela fatta, una situazione che si presta ad essere universalizzata.

Osservare qualcuno che si muove ed interagisce in un contesto al di fuori della sua normale situazione vuol dire osservare una persona più esposta, che manifesta in modo evidente la propria fragilità, ed in qualche modo risulta più leggibile.

Il titolo del video “Quelli che vanno quelli che restano”, vuole sottolineare questo tipo di dimensione.Quelli che vanno hanno tutti il piglio di chi ce l’ha fatta, mentre tra quelli che restano si riconosce chiaramente lo sguardo del veneziano che sa cosa gli accadrà dopo, e lo sguardo di chi invece non sa, e che quindi si trova, appunto, in balia degli eventi. Nel mio lavoro mi interessa tutto ciò che ci parla di noi in senso universalistico: partendo da situazioni concrete e allo stesso molto particolari, come può essere appunto Venezia, si è in grado di dedurre informazioni di carattere più universale e generale sulla condizione umana.

Il passaggio dal particolare all’universale sembra un ossimoro: in realtà è proprio grazie alle caratteristiche uniche di Venezia che certe cose vengono evidenziate e messe alla luce, come se la particolarità diventasse il mezzo per raggiungere il concetto di universalità.

 

Mariateresa Sartori (1961) vive e lavora a Venezia.
Il suo lavoro è fortemente influenzato dall’interesse specifico per le neuroscienze, la linguistica e la filosofia della scienza, che le offrono angolazioni particolari da cui osservare la condizione umana. Dal 1999 insegna disegno a principianti assoluti applicando il metodo di Betty Edwards che parte dagli stessi  presupposti neuroscientifici che muovono la sua ricerca artistica.
Da qualche anno inoltre  la musica è entrata prepotentemente nel suo ambito di ricerca, spesso in relazione al linguaggio.

*fonte  sito www.mariateresartori.it
 

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