Milano Mon Amour

Mediolani mira omnia, copia rerum, innumerae cultaeque domus,

facunda virorum ingenia et mores laeti

(Ausonio, Ordo urbium nobilium, VII.)

 

di Massimo Manfredini

Ho scelto di abitare in alto all’ottavo piano di un edificio degli anni ’30
con una scala elicoidale fatta di lastre di marmo incastrate a sbalzo
nel muro rivestito di marmi verdi e bianchi.

Sulla cima del maniero una superfetazione anni ’70 con un delizioso terrazzo che la circonda e mi consente con lo sguardo di abbracciare tutta la città cominciando dalle Alpi. Se mi porto sull’estremo ovest del terrazzo in primo piano vedo un tessuto di case di ringhiera molto più basse della mia alternate a vie che sembrano filari di viti costituite da piccole casette di un paio di piani.

Spingendo lo sguardo più lontano identifico il volume della grande copertura della stazione centrale, meraviglia architettonica del tardo fascismo che si contende il ruolo di primadonna con il Pirellone ormai circondato dai nuovi grattacieli di Porta Garibaldi, le torri di Caputo, il Bosco verticale, il grattacielo Unicredit e l’edizione anni 2000 delle torri sopra la stazione.

pianta milano per sito

 

Spostando lo sguardo più a sud intuisco la linea retta di corso Buenos Aires segnata dal vuoto di Piazzale Loreto, il grattacielo dei BBPR in prossimità dell’Elfo Puccini uno dei miei teatri preferiti con spettacoli di avanguardia che raramente mi è capitato di vedere così belli altrove. A segnare la fine della strada commerciale più lunga d’Europa, il grattacielo di Giò Ponti che mi indica Porta Venezia ed il giardino Indro Montanelli che tra teschi, pianeti e stelle è il posto preferito in cui il mio french bulldog ama scorazzare.

Se mi ingegno riesco persino a fare credere al mio cervello di avere la netta percezione dei meravigliosi  palazzi che si affacciano su Corso Venezia e che mi conducono a Piazza San Babila, capolavoro dell’architettura razionalista del ventennio. Così, trasportato dalle strade che percorro a memoria per Corso Vittorio Emanuele arrivo a Piazza Duomo sulla guglia più alta della quale il bagliore dorato della madonnina protetta e circondata da una selva di guglie capolavoro pluricentenario della cultura architettonica italiana mi ricorda che qui siamo a Milano.

Palazzo reale, tempio della cultura milanese che dialoga con il nuovo museo del ‘900 un oggetto realizzato senza paura da Italo Rota all’interno dell’Arengario in chiave contemporanea come solo in questa città si ha il coraggio di fare a dispetto di un paese di ignoranti conservatori incapaci di leggere il tessuto cittadino come una serie di superfettazioni che gli abitanti hanno modificato e personalizzato nei secoli, adattandolo alle mutevoli esigenze  e creando quel caos che da quassù mi sembra abbia un ordine e che è bellissimo.

Allora mi soffermo sul grattacielo di Arata Isozaki a City life, mi spingo fino a Rho alla fiera di Fuksas, alle torri nere che hanno perso la verticale di Perrault ed al lingotto dorato dei 5+1 e vedo una città che non guarda al passato in modo nostalgico, ma sulle basi della sua cultura crea le fondazioni per il futuro, sperimentando, studiando e facendo senza paura di sbagliare perché male che vada  agli errori si pone rimedio.

Nell’oblio dell’ammirare questa immensa tela sono richiamato dalle emergenze dei grattacieli di Piazza Repubblica, dal palazzo di Moretti in Corso Italia, arrivo fino al Grattacielo di Porta Romana ed ai suoi piedi al paradiso delle Terme Romane. Navigo sui navigli affollati di bar e ristoranti, di turisti e modelli, di atelier e di boutique, designer di avanguardia, artigiani ed artisti.

Scendendo sul piano stradale a memoria ricordo quei luoghi che hanno un nome sconosciuto e nessuna fama ma che mi restituiscono la mia immagine di Milano.

Portandomi verso est sullo sfondo delle prealpi bergamasche la periferia, più grigia più informe. Passata la grande muraglia dei binari di Lambrate ecco la nuova città, un ammasso di costruzioni invecchiate velocemente che  portano con se la malinconia di chi ha lasciato la terra natale per cercare fortuna al nord di un paese che nel dopoguerra era decisamente spezzato in due.

Periferie che lette con la cultura…

La cultura, ciò che manca di più al mio popolo in questi tristi anni, epilogo di un trascorso recente che segna la fine di un’epoca e del modello capitalistico, sono affascinanti tentativi di chi allora credeva potesse trattarsi di uno sviluppo urbanistico sostenibile come di chi credeva di potere speculare ed arricchirsi buttati li insieme a prendere a pungi in faccia i loro occupanti.

Anche questa è storia e la storia di una città coincide sempre con la storia del suo popolo, non è bella ne brutta … è!

Scendo sul piano stradale e vedo la gente che corre, corre verso metro, corre per non mancare il verde, corre per non essere in ritardo ad un appuntamento di lavoro, corre perché all’ospedale non hanno avuto il coraggio  di confermare un decesso facendolo passare per una situazione molto critica, corre come se avesse paura  di morire, di perdere un battito di vita.

Ad un popolo autoctono di gente del nord tendenzialmente chiusa e schiva la caciara ed i colori del meridione hanno scardinato le certezze ed ora il global village si arricchisce di un nuovo punto luminoso  sulla mappa del globo fotografata di notte.

In questo inferno di smog, di dolore e follia, di risate e di pianti di stilisti e di mendicanti, di prila da film dei Fratelli Vanzina e di baroni universitari, di ciellini e di gay, di cattolici e di musulmani, di indiani e cinesi, di mafiosi e di preti, di emigrati e di leghisti, di suonatori e di attori di tutto ed il contrario di tutto di esseri umani, di animali domestici e di alieni, di merda e di oro di neonati e di morti,  di bambini abusati e di bambini in uniforme al collegio svizzero la vita corre veloce con lo sguardo al futuro.

Questa è la caratteristica che più apprezzo di questa città, quella che in fondo ho descritto fino ad adesso, che si vede anche dall’alto leggendo dalla torre del mio maniero la sua storia.

Milano mon amour  sono capace di vederti così perché ho studiato, ho viaggiato con l’atteggiamento opposto a quello di chi si reca all’estero solo se in grado di ritrovarci casa sua,  ma con quello di chi vuole sperimentare, capire, conoscere senza pregiudizi, senza il vocabolario in mano, cercando di dimenticarmi le definizioni di bello e brutto.

Sono sul mio terrazzo verso il tramonto, i grattacieli sono un puzzle di riflessi scuri sullo sfondo di un cielo rosso nucleare, sono seduto con un calice in mano, una sigaretta nella destra e sorrido su tutta questa meraviglia.

 

MASSIMO MANFREDINI Architetto

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