BISOGNI PRIMARI, O DELL’ORDINARIA DECENZA A PARIGI

di Mathias Rollot

Ridotti a bere poca acqua durante i lunghi tragitti in metrò. Scoraggiati in anticipo, reticenti all’idea d’avventurarci nelle strade e nei viali, nelle piazze e nei parchi che incontriamo.

Costretti a considerare i nostri spostamenti, a tracciare i nostri itinerari in funzione delle rare toelette che vi si trovano. Vergognosi di ordinare un caffè che non beviamo, semplicemente per approfittare di un servizio igienico.

L’urina e la città troppo spesso non vanno d’accordo.

E nel momento in cui prendiamo coscienza dell’assurdità di alcune situazioni e ci poniamo di fronte al carattere totalitario di una società che vanta i meriti delle nano tecnologie ma non offre le condizioni minime per urinare e defecare decentemente, finalmente ci rediamo conto di un fatto inequivocabile: la civiltà del progresso tecnologico è un progetto di società che dimentica i nostri bisogni più elementari e più evidenti.

Eppure fare pipì è l’atto più spontaneo, semplice e universale che ci sia: il desiderio che ci spinge o il sollievo che ci procura quando lo espletiamo, è una delle cose più condivise al mondo.

E’ una pena scrivere di cose talmente evidenti. Questo la dice lunga sulla trascuratezza con cui oggi ci confrontiamo: si dimentica l’essere, i suoi bisogni e i suoi modi primari di funzionamento.

La posta sociale in gioco

Come può essere affrontato questo tema? E’ una questione sociologica o di pratica cittadina? Si tratta di un argomento serio, degno d’interesse, o di questioni puerili senza importanza? A priori non ci verrebbe in mente di ragionare sui paradossi delle nostre relazioni con le toelette. Non avremmo mai pensato che un pensiero critico incentrato sugli escrementi possa costituire un elemento intellettuale sufficiente nella lotta contro i possenti ingranaggi del sistema capitalista.

Le toelette pubbliche sono rare nei nostri paesi, e sono spesso in uno stato deplorevole – sporche, inadatte, degradate. Qua e là sono persino a pagamento, senza peraltro essere più accoglienti.

E d’altra parte come fanno gli « indesiderabili » delle nostre società (senza casa, migranti o stanziali) per i loro bisogni? E’ davvero più desiderabile per i cittadini cosiddetti “borghesi” sopprimere i bagni pubblici gratuiti, o sarebbe preferibile per tutti che ciascuno possa defecare al riparo piuttosto che sui marciapiedi e nelle canalette comuni (l’autore si riferisce alle acque correnti accanto ai marciapiedi in uso nelle città francesi)? A pensarci bene, ci si può interrogare sui cartelli che ce lo ricordano nonostante tutto: “Vietato urinare per strada pena un’ammenda”. Ma qual è il senso di questa sanzione in una città come Parigi che conta circa 30.000 senzatetto? L’argomentazione che il servizio a pagamento è più « sicuro » (leggere “in nome dell’omogeneità sociale”) non sta in piedi. Non soltanto l’esperienza dimostra che è fallace, ma per di più il buon senso e la decenza dimostrano che non è auspicabile.

Ovunque si stabilisca una frattura tra città dei ricchi e città dei poveri (Secchi) si opera anche un’eguale distanza “urinaria”.

All’ingresso di McDonald appare lo slogan “Venite così come siete!” per consumare (forse), ma certamente non per approfittare gratuitamente delle toelette che necessitano di un codice d’entrata, disponibile sulla fattura delle vostre patatine fritte, caffè o Sunday acquistati per l’occasione. Mai bar e ristoranti avevano ancora avuto il coraggio di esporre una pubblicità così ridicola (in che altro modo potremmo venire se non come siamo?), e neppure di installare un codice digitale capace di filtrare la popolazione dei ricchi dagli individui in stato di necessità. Ormai è cosa fatta.

Sembra di trovare tutto il 21esimo secolo in quest’aforisma: venite come siete ma, soprattutto, (solamente) se ne avete i mezzi. Dunque, nel momento in cui fare i propri bisogni è diventata una questione di bilancio, bisogna interrogarsi sulla gratuità e, questione inevitabile, sulla libertà d’essere e “di fare” ovunque siamo. I nostri gatti e cani non godono, a questo proposito, di maggiori attenzioni di quelle che noi siamo capaci da dare a noi stessi? Essi possono ancora defecare liberamente dove gli pare e noi passiamo dietro di loro per raccattare le loro deiezioni ancora calde: mi verrebbe voglia di scrivere che i nostri animali da compagnia hanno più libertà e più diritti di noi.

Mentre urinano serenamente sulla mia bicicletta, l’albero cui è legata, e la mia borsa posata in mezzo, aspetto pazientemente il mio turno davanti le toelette pubbliche, senza accorgermi che non sono occupate, ma fuori servizio.

Si potrebbe obiettare che è difficile fare altrimenti, e che altrove è peggio. E’ vero che all’evidenza certe regioni della Cina per esempio sono famigerate. E’ vero che queste toelette pubbliche (non solo comuni e esterne ma anche private di ogni intimità o di qualunque sistema che garantisca un’igiene minima) devono indurci a moderare le nostre critiche. Chi già ha avuto la fortuna di profittare del lusso delle toelette marocchine e peruviane sarà d’accordo: le condizioni fornite dall’occidente “protettivo”, paragonate a questi orrori, si avvicinano a una forma di feticismo asettico assai invidiabile.

Nonostante tutto, un certo numero d’incongruenze devono essere indicate.

La densità urbana giustifica la scarsità di servizi pubblici a disposizione? Il prezzo al metro quadro nelle grandi metropoli giustifica gli esercizi di contorsionismo che bisogna mettere in opera semplicemente per entrare nella maggior parte delle toilette pubbliche? La crisi economica in atto giustifica forse che ogni volta, per fare pipì legalmente, dobbiamo sborsare cinquanta, sessanta, settanta centesimi? L’urgenza, l’accelerazione e la concorrenza sfrenata proprie della società consumistica devono necessariamente portare a dei servizi pubblici fatti di una plastica talmente misera?

La somma di aberrazioni su cui si fonda il nostro quotidiano ci impedisce di vedere chiaro nella complessità, di scegliere e distinguere nel gomitolo di ridicolo con cui ogni giorno ci confrontiamo.

Stiamo mettendo in luce l’evoluzione reciproca dell’uomo urbano e del suo habitat. In un modo o nell’altro, abbiamo distrutto in un modo così profondo tutti i rapporti della geografia con l’urinario e il fecale, che oggi sentiamo frequentemente vantare i meriti della Città di Parigi per avere installato tante toelette pubbliche gratuite nelle strade; e il tutto senza alcuna ironia. Arriveremo presto a ringraziare Total per averci liberato dalla crisi petrolifera? O Monsanto per averci fornito dei semi resistenti ai pesticidi?

I costosi Tecno-cessi urbani

In verità i servizi igienici che vengono installati oggi un poco ovunque non sono realmente delle toelette. Sono dei dispositivi high-tech, che necessitano di molte istruzioni scritte, molti pulsanti e luci, un po’ di pratica, voci numeriche e di tutto un sistema informatico integrato per funzionare. Quelle di Parigi, vere cabine lunari, sono marcate dal design della star Patrick Jouin. Senza soglia, senza finestre, senza calore né sensibilità, ancora meno dolcezza.

Il “modulo spaziale” è una vera e propria macchina, un ammasso complesso di cavi e moduli ricoperti da una lamiera ondulata. Se le toelette sono d’abitudine dei buchi neri perduti nel centro più sperduto dello stabile, lo sputnik a urina che atterra nel mezzo delle nostre piazze (sulle banchine e i marciapiedi, nel mezzo dei nostri vialetti) è la sua esatta antitesi: un punto nero in mezzo alla faccia. Parigi ne conta oggi 400, cioè soltanto uno ogni cinquecento residenti intra-mura, senza tenere conto della popolazione pendolare che viene al lavoro ogni giorno in Parigi, né dell’insieme dei 32 milioni di turisti annuali che fanno di Parigi la prima destinazione turistica del mondo: una cifra da ridere.

Marsiglia fa ancora di meglio, riuscendo a proporre non più di una decina di sanitari pubblici al suo quasi milione di abitanti (cioè uno per diecimila abitanti, ma anche uno per 26 km quadri).

Prezzo annuale di manutenzione di ogni cabina: tra 15.000 euro (cabina semplice) e 25.000 euro (cabina per handicappati)”. Prezzi da paragonare al  salario minimo per cogliere l’assurdità della situazione. Ma una volta di più, la soglia del ridicolo non è ancora raggiunta.

Lione batte tutti i record: con le sue nuove «fermate sanitarie» in cemento e legno disegnate dall’agenzia Jacky Suchail Architetti, la Città ha investito circa 100.000 euro per toeletta, più di 700.000 euro per un totale di otto toelette installate nel parco, senza considerarne le spese di manutenzione ovviamente.

Il risultato è elegante, e il progetto ha vinto molti concorsi d’architettura. Non contenti, a questo prezzo potremmo urinare su del marmo e della foglia d’oro senza troppi problemi. Tuttavia, capitemi bene: un tale bilancio di spesa non è rivelatore né del costo irrisorio del rivestimento in legno, né degli onorari ridicoli chiesti dagli architetti di oggi. Si arriva a una somma tale perché all’interno di questo bozzolo architettonico il trono stesso ha un costo astronomico.

«Là dove il re va solo» mai ha avuto nome più appropriato in un momento in cui, in realtà, soltanto un re potrebbe finanziare una simile operazione monetaria.

Ne è testimonianza un altro affare condotto oltre atlantico. Il giornale Le Devoir ha condotto un’inchiesta sulle toelette a Montreal e del progetto pilota che la Città prevedeva a breve termine. Di cosa si tratta? Della semplice collocazione di una toeletta autopulente nel parco Emilie-Gamelin. E, in effetti, non comprendiamo perché un progetto di arredamento urbano così banale abbia dovuto richiedere tali energie: “Il prezzo di tali arredi può variare tra 200.000 e 400.000 dollari per unità” (secondo l’organismo “Spectre de rue” che ha condotto uno studio sull’argomento). Quattrocentomila dollari per urinare come si deve: è l’insieme del costo della civiltà, del progresso e dello sviluppo.

Insomma, alla decenza ordinaria delle persone normali si è sostituito l’infantilismo quotidiano di tutti. A parte alcuni casi in cui viene incontro ai nostri bisogni, la società occidentale e la sua onnipresenza installano (involontariamente, si direbbe a difesa) un clima di distruzione delle capacità più elementari degli individui.

Bisogna considerare, comprendere e misurare la mancanza di rispetto della quale si fa testimone se vogliamo essere capaci di indignarci veramente. Noi qui ne abbiamo offerto un esempio tra tanti: l’importante non sono queste righe, ma quello che esse permettono di mettere in luce sulla nostra condizione oltraggiata.

nb immagine di copertina https://www.flickr.com/photos/guy_on_the_streets/3591460279/

 

MATHIAS ROLLOT Architetto, Membro del Comitato Tecnico dell’EUROPAN, Mathias Rollot insegna presso l’Ecole d’Architecture de Paris-LaVillette. Attualmente Dottorando in Architettura a Parigi, ha scritto come saggista alcuni libri sulla filosofia e la città – tra cui Saint-Dizier 2020. Projet de ville (Chatelet-Voltaire, 2014), e l’imminente L’obsolescenza. Ouvrir l’impossibile (Metispresses, 2015).

 

 

 

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