Città del Futuro

Quando proposi gli esempi di Marsiglia e Venezia per un seminario che dovevo tenere sulle città del futuro all’ESA, Ecole Spéciale d’Architecture di Parigi, sentii dall’altra parte del telefono un momento di sospensione e scetticismo, quasi un piccolo sgomento.

di Bruno Giorgini

Chi mi aveva invitato si aspettava un discorso sulle cosidette “smart cities”, le città intelligenti, che vanno oggi per la maggiore, essendo anche che il mio Laboratorio di Fisica della Città è nodo di una rete europea che appunto di ICT (Information and Communication Technology) e Smart Cities tra l’altro si occupa. Questa scelta di Venezia, che i più considerano al meglio un museo a cielo aperto, al peggio un luogo maleodorante dove si svuotano le tasche ai turisti che fluiscono a milioni e aumenteranno, e di Marsiglia, nota a tutti per gli ammazzamenti criminali, per somigliare a una città africomaghrebina, e  la più povera di Francia, pareva una provocazione se non una stupidaggine.

Una parte dell’aumento di popolazione urbana sarà endogeno, ma una minoranza significativa verrà dalla migrazione da aree rurali ai sistemi urbani, specie nei paesi cosidetti emergenti dall’ Asia al continente indiano fino all’Africa e al Sud America, con propaggini in Europa e nell’America del Nord.

Ma prima di andare avanti vediamo lo stato dell’arte urbana oggi. Oltre la metà del genere umano (tre miliardi e mezzo di persone) abita in città, una vera e propria mutazione sociale e antropologica in corso d’opera da contadino/coltivatore a cittadino/consumatore. Continuando a questo ritmo, nel 2040 la popolazione urbana mondiale potrebbe raggiungere i cinque (5) miliardi, e nel 2052 arrivare all’80% del totale degli esseri umani. Una nota: queste previsioni globali vanno prese come una indicazione di massima, essendo basate su una progressione semplice e lineare dell’oggi al domani, quando sappiamo che possono accadere eventi del tutto fuori scala, con accelerazioni e/o decelerazioni improvvise dell’incremento ipotizzato come normale; inoltre spesso i fenomeni sul serio interessanti e innovativi appaiono all’inizio come piccole fluttuazioni, che sfuggono alle statistiche globali e macroscopiche.  Ma riprendiamo, con quest’avvertenza, i grandi numeri. Per esempio quelli delle migrazioni. Una parte dell’aumento di popolazione urbana sarà endogeno, ma una minoranza significativa verrà  dalla migrazione da aree rurali ai sistemi urbani, specie nei paesi cosidetti emergenti dall’ Asia al continente indiano fino all’Africa e al Sud America, con propaggini in Europa e nell’America del Nord. Un flusso comunque di centinaia di milioni di persone, che si stabiliranno in agglomerati informali, con meno eufemismo in slums/sobborghi ai limiti della abitabilità e sopravvivenza.

Continuando a dare i numeri, sempre con le molle, se costoro erano circa un miliardo nel 2010, diventeranno un mliardo e mezzo nel 2030. Circa la metà della crescita sarà concentrata nelle aree costiere, con meno del 10% delle riserve globali rinnovabili di acqua dolce, mentre ci sarà un aumento difficilmente quantificabile ma certamente enorme delle superfici costruite e/o cementificate, con una riduzione forte delle terre coltivabili e boschive, nonchè della biodiversità. Intanto avanza il climate changing, il cambiamento climatico. Per esempio, secondo i dati forniti dal GHCN (Global Historical Climatology Network) e secondo la relazione climatica del NOAA (National Climatic Data Center), considerando il trimestre gennaio-marzo, quello del 2013 ha fatto segnare una temperatura media globale (sistema terre emerse-oceani) al di sopra di 0,58°C rispetto alla media del XX secolo, l’ottavo valore più alto per tale periodo, e il mese d’aprile è stato il tredicesimo aprile più caldo dal 1880. Inoltre siamo di fronte al 338° mese di fila e al 37° aprile consecutivo, in cui la temperatura globale della Terra ha varcato la media del ventesimo secolo. Insomma nonostante l’anomalia locale che percorre le nostre terre d’Europa, talché pare che qui l’estate non arrivi mai, la temperatura media del pianeta continua a crescere, e i soliti bene informati, gli scienziati della predizione, prevedono che aumenti di almeno 2°, due gradi, da oggi al 2052. E come è ben noto le città pompano nell’atmosfera calore, la loro temperatura è più alta di qualche grado ripsetto ai dintorni, CO2 in gran quantità (75% del totale), e inquinanti di ogni tipo tra cui le micidiali polvero sottili.

Riassumendo, cemento in crescita esponenziale, con riduzioni drastiche della superfici coltivabili e boschive, immigrati poveri negli slums a milioni, effetto serra con i prevedibili effetti “collaterali” dai tornado alle acque alte che aumenta, consumo di energia che si moltiplica, inquinamento atmosferico per non dire dei rifiuti solidi, queste alcune delle conseguenze probabili e/o possibili, provocate dalla crescita dei sistemi urbani, popolazione e superficie occupata (per i dati qui esposti sulle città vedi J.Randers, Scenari globali per i prossimi quarant’anni, Rapporto al Club di Roma, Edizioni Ambiente, wwf, 2013).

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Qualcuno dice trattarsi di un cancro che si mangia il pianeta e le sue risorse, fin quando non avrà devastato tutto. Ma andiamo a Venezia, città che nell’acqua nasce, e con l’acqua convive da secoli. In una discussione continua che coinvolge tutti i cittadini, si preserva un equiibrio delicatissimo tra acqua e terra; tra architettura/cultura e natura; tra sviluppo industriale moderno, il petrolchimico, e bellezza antica; tra rispetto dei pochi oggi abitanti, dei loro bisogni, usi e costumi e apertura/accoglienza ai cittadini del mondo intero, Venezia è il sogno di mezza umanità, forse tutta; tra acque salate e dolci; tra campagna coltivata nelle isole, e centro storico urbano. Ci vorrebbe un libro per raccontare tutto questo, e c’è, appassionante, Venezia e le Acque di Piero Bevilacqua, Qui bastino due esempi. La cura dei pozzi d’acqua dolce prima dell’arrivo dell’acquedotto, era responsabilità diretta dei cittadini, e quando arrivavano le acque alte, o una bufera, stava a te delegato sigillarli, talchè l’acqua salata non li invadesse, e se te ne dimenticavi, le pene comminate dal magistrato delle acque erano salate assai. Il secondo è S.Erasmo, l’isola degli orti, ovvero un lembo di campagna coltivata che sta in città, e che rimane per ora intatto un secolo dopo l’altro, una perla per gli occhi e per il palato. Certo non basterebbe a nutrire tutta la città, ma indica una strada, un’ipotesi di lavoro.

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Anche se andiamo a Marsiglia scopriamo orti di cui poco si parla. Marsiglia è la città con una superficie di natura intoccata e/o coltivata, forse la più estesa al mondo (vedi Marseille, Ville Sauvage, essai d’écologie urbaine, 2012). Dai famosi calanchi ai cabanon sulla costa fino agli orti, privati, pubblici in affitto, cooperativi, e le grandi spiagge pubbliche, ben ventuno nel cuore della città, alcune come quella del Prado letteralmente costruite in particolare dal sindaco socialista Gaston Defferre. Marsiglia nasce come agglomerazione di villaggi, che conservano in molti casi la loro struttura, e vasti appezzamenti di terreno che sfuggono alla speculazione edilizia, sempre in agguato e aggressiva, sempre contrastata direttamente dai cittadini che si auto-organizzano.
[blockquote align=”right”]A Marsiglia tutti, poveri e ricchi, neri e bianchi, mussulmani e cristiani condividona la città, hanno in comune il Comune di Marsiglia, e nello stadio quando gioca l’OM, risuona sempre all’inizio il grido corale: non siamo neri non siamo bianchi, siamo tutti marsigliesi. [/blockquote]A Marsiglia non abbiamo le banlieue sul modello parigino, dove si scaricano in alcune i ricchi, sorta di trincee dell’alta borghesia conservatrice, in altre i poveri di ogni colore, religione, cultura fino a diventare dei ghetti insieme prigioni a cielo aperto e rifugio per ribelli e i fuorilegge;  a Marsiglia tutti, poveri e ricchi, neri e bianchi, mussulmani e cristiani condividona la città, hanno in comune il Comune di Marsiglia, e nello stadio quando gioca l’OM, risuona sempre all’inizio il grido corale: non siamo neri non siamo bianchi, siamo tutti marsigliesi. Marsiglia come Venezia, nasce terra di esuli, nei secoli, fino all’ultima grande ondata di pieds noir, i francesi d’Algeria che tornavano in Francia espropriati di tutto dopo l’indipendenza  del paese maghrebino, sbarcando nel giro di pochi giorni a migliaia, anzi vicino al milione, nella città foceana. Eppure Marsiglia è riuscita a non farsi sommergere, restando sempre sopra la soglia della convivenza civile, nonostante in certi periodi siano emersi aspetti di guerra civile larvale, e la presenza di una malavita molto invasiva. Inoltre Marsiglia è in qualche modo già oltre la crisi, e funziona attraverso una economia della povertà che non si trasforma però in nera disperazione della miseria, ma anzi moltiplica le solidarietà, le comunità e associazioni di base, e le lotte.

E’ una società che reagisce sveltissima quando si sente maltrattata o di fronte a una ingiustizia. La direi così: si tratta di una società dimagrita, scattante, e anche coi nervi allo scoperto, tesi come le corde di un violino,  e come è ben noto, le corde di violino possono emettere suoni paradisiaci, ma anche tagliarti le mani, o nel peggiore dei casi, la gola. In fine Venezia e Marsiglia sono città capaci fin qui di adattarsi a condizioni ambientali, economiche, sociali molto difficili. Perchè questa è la chiave dei tempi che verranno, delle città del futuro, una capacità molecolare di auto-organizzazione nel quadro di una democrazia partecipata, con una conoscenza e scienza diffusa, un ampio spettro di abilità cognitive e fattuali delle persone e delle istituzioni, che si dispieghi fino a tentare di prevedere l’imprevedibile, nonchè spazi ampi di natura coltivata e selvaggia inseriti dentro la città, non essendo data convivenza civile tra gli umani, senza convivenza civile con la natura, e viceversa. In termini fisici si chiama un sistema complesso adattivo, in grado di mutare e adeguarsi a nuove condizioni generando nuovi schemi d’azione e comportamento, senza perdere la propria identità. In altri termini, città capaci di evoluzione e metamorfosi, di cui Veneia e Marsiglia sono buoni esempi, paradigmi stimolanti.

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