Dissolvenza sovietica

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8 Novembre 2021

30 anni dalla fine dell’URSS

Alle 18.35 del 25 dicembre 1991 venne ammainata per sempre la bandiera sovietica sul Cremlino di Mosca, sostituita da quel momento in poi dal tricolore russo. Mezz’ora prima Michail Gorbačiov si era dimesso da presidente dell’Unione Sovietica, entità statale che sarebbe stata formalmente dissolta il giorno dopo.
Così finiva la storia dell’Unione Sovietica, esperimento politico e socio-economico che per tutto il Novecento aveva saputo incarnare per molti nel mondo un sogno realizzato, mentre per i suoi cittadini aveva significato una quotidianità fatta di esperienze diverse, spesso contraddittorie, quando non drammatiche.
La dissoluzione dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (Urss) fu in realtà un processo graduale ma piuttosto repentino, durato almeno un biennio, dal 19 gennaio 1990 e il 26 dicembre 1991 (ma il suo inizio si può far risalire a eventi ben precedenti).
La data simbolica di questo collasso statale, necessaria come sempre agli anniversari, è quella del 12 dicembre, giorno in cui la Russia completò la propria secessione dall’Unione Sovietica e in cui divenne effettivo l’accordo di Belaveža. Fu la penultima repubblica delle 15 a farlo, dopo di lei il Kazakistan (16 dicembre).
L’Unione Sovietica fu fondata su iniziativa di Lenin il 30 dicembre 1922, all’indomani della vittoria dell’Armata Rossa nella sanguinosa guerra civile che era scoppiata dopo la rivoluzione del 1917. Oggi, a quasi un secolo di distanza, molto è stato detto e scritto su un mondo e su un’epoca privi di precedenti nella storia umana.
L’Urss era composta da 15 repubbliche socialiste, la più grande delle quali era la Russia. Dalla capitale, Mosca (che aveva sottratto il titolo alla Pietroburgo degli zar), si sviluppava un sistema amministrativo, politico, sociale ed economico concentrico e ampiamente centralizzato che determinava i destini dei cittadini sovietici attraverso un sistema verticale più e meno oliato a seconda dei periodi.
Sulla mappa del mondo questo paese si concretizzava come un’immensa distesa socialista, dove la distanza tra i suoi due punti estremi a Oriente e Occidente superava i 10mila chilometri, da Kaliningrad (un tempo la prussiana Königsberg) e capo Dežnëv sullo stretto di Bering. L’Urss era lo stato più esteso del mondo: 22 402 000 kmq di superficie, pari a un sesto delle terre emerse.
Sopravvissuta all’aggressione nazista e uscita vincitrice dalla Seconda Guerra mondiale, l’Urss fu un sistema-mondo, pronto a tutto per la propria sopravvivenza, comprese ingerenze e invasioni in quella che considerava di diritto come la propria sfera d’azione e influenza (come avvenne a Budapest nel 1956 e a Praga nel 1968).
La Guerra Fredda, la corsa allo spazio, la ricerca scientifica, il riarmo, anche atomico: fino al crollo del muro di Berlino, la dicotomia tra i due blocchi contrapposti guidati da Urss e Usa era tale da offrire una mappa di facile lettura – per quanto superficiale – che nel mondo multipolare e complesso di oggi qualcuno, addirittura, è arrivato a rimpiangere.
Dopo l’indipendenza delle repubbliche baltiche nel 1990 e della Georgia nell’aprile del 1991, la fase finale e definitiva del collasso dell’Unione Sovietica ebbe luogo in seguito al colpo di stato dell’agosto del 1991, durante e dopo il quale le dichiarazioni di indipendenza si susseguirono rapidamente in tutte le repubbliche un tempo “sorelle”.
Infine, l’8 dicembre i leader delle repubbliche di Russia, Ucraina e Bielorussia firmarono l’accordo di Belaveža che dichiarava dissolta l’Unione Sovietica e istituiva la Comunità degli Stati Indipendenti.
Questo speciale nasce in collaborazione tra Q Code e EastJournal; è affidato alla curatela di Claudia Bettiol, Maria Izzo e Martina Napolitano, che ne coordinano i contenuti. I contributi che verranno pubblicati tra novembre e dicembre 2021 sulle due piattaforme raccontano eventi, figure chiave, realtà ed esperienze di vita quotidiana nell’universo sovietico ed ex-sovietico. Buona lettura.