Israele al voto

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5 Aprile 2019

Dopo dieci anni, tra nuovi partiti e accuse di corruzione, Netanyahu sembra in difficoltà

La personalizzazione della politica, in politica, è un’arma a doppio taglio. La strada delle carriere di lotta e di governo è lastricata da storie di personalizzazione, con esiti incerti.

Il 9 aprile prossimo i cittadini d’Israele saranno chiamati alle urne per le elezioni politiche anticipate, in quanto il precedente esecutivo si è rimesso al volere degli elettori in anticipo sulla scadenza naturale del mandato.

La crisi, a novembre, l’aveva aperta l’allora ministro della Difesa Avigdor Lieberman, che accusava di ‘mollezza’ l’esecutivo di coalizione guidato da Benyamin Netaniahu. E proprio quest’ultimo, nel tweet che – dopo qualche tentativo – annunciava elezioni anticipate, cedeva al nucleo stesso della sua visione della politica: “I cittadini faranno la cosa giusta se mi confermeranno al governo”.

Un eccesso di prima persona singolare che, nel bene e nel male, è la cifra di Benyamin, detto Bibi. E che il 9 aprile, per la prima volta credibilmente, potrebbe pagare.

“Sono 18 i seggi della Knesset (il Parlamento israeliano, totale 120 seggi ndr) ancora in palio, secondo i sondaggi, in attesa degli elettori indecisi. Ciò significa che il 15 per cento degli israeliani aventi diritto di voto alle prossime elezioni non ha ancora preso una decisione. La maggioranza di loro prenderà una decisione sulla strada per le urne”, ha scritto Memi Peer, nel suo ultimo editoriale.

Con l’uscita dal governo dei ministri di Ysrael Beiteinu (partito della destra nazionalista), capitanati da Lieberman, Netanyahu si è trovato a ricoprire – oltre alla carica di premier – anche quella di ministro della Difesa e dell’Immigrazione, oltre già a guidare i dicasteri degli Esteri e della Salute. E solo dopo ha affidato l’Immigrazione a Yariv Levin, già ministro del Turismo.

Un uomo solo al comando, capace di parlare e di ascoltare una società che lui per primo a contribuito a rendere più razzista, più chiusa, più militarizzata. Un uomo solo al comando che, in massima parte, non è detto che condivida le posizioni più retrive dell’opinione pubblica israeliana, ma che di sicuro è pronto a cavalcarle.

“Israele non è uno Stato per tutti i cittadini”, ha tuonato l’altro giorno, già lanciato in piena e – ancora una volta – spietata campagna elettorale. Dopo aver messo alla porta gli osservatori della TIPH (Temporary International Presence in Hebron), la missione internazionale che dopo il massacro del 1994, ad opera di un estremista ortodosso, vigilava sulla situazione di Hebron.
Lo pensa? Non è detto, ma intanto blandisce l’estrema destra.
Il bello di Bibi è che, al contrario di molti compagni di viaggio del governo uscente e di quello che promette di formare se confermato al potere, può fare qualunque parte della commedia.

Un manipolatore, un acuto conoscitore dello stato profondo che ha attraversato in questi anni, visto che la prima volta che venne eletto premier correva l’anno 1996 e, anche se non fosse eletto, sarebbe il politico più longevo dopo Ben Gurion. Che aveva un’altra statura, interna ed esterna.

Bibi il camaleonte, però, è nato per il potere. E’ pronto a parlare (e blandire) tutti quelli che gli servono per tenere il potere. Perché, in fondo, il potere è un buon affare.

Ed ecco che, per la prima volta, Bibi potrebbe far male i suoi conti. Perché non c’è razzismo che tenga (questa Knesset – il parlamento d’Israele – sarà ricordata per alcune delle leggi più vergognose della storia del paese nato nel 1948, da quella che criminalizza le ong a quella che sancisce l’ebraicità dello Stato) di fronte alla corruzione.

Il tema, in Israele, è sensibile. Altri, vedi Ehud Olmert, primo ministro ai tempi di Piombo Fuso, che il 30 marzo del 2015, con verdetto di secondo grado, si è visto rovesciare la prima sentenza favorevole ed è stato giudicato colpevole di frode e abuso di fiducia (breach of trust) nell’affare Talansky. Il 25 maggio 2015 viene condannato a 8 mesi di carcere per corruzione aggravata.

L’affaire Talansky, per certi versi, ricorda la palude nella quale Bibi si muove da un po’. E che potrebbero fare di lui il primo a essere condannato mentre ricopre la carica di primo ministro.

La parola chiave è Caso 4000. Un anno fa, dopo cinque ore di interrogatorio, Bibi uscì frastornato. Lui e la moglie Sara sono sotto inchiesta, uno a Gerusalemme, l’altra a Lod, per l’affaire Bezeq, dal nome della azienda di telecomunicazioni, ma i casi sono quattro, detti casi 1000, 2000 e 3000.

CASO 1.000
E’ l’accusa meno solida, anche se eticamente (e politicamente) imbarazzante: in dieci anni due uomini d’affari hanno regalato a Bibi e famiglia beni per un milione di shekel (230 mila euro). Casse di champagne, vini pregiati, sigari Avana. Per comprare i servizi del primo ministro di Israele, accusa la magistratura. Il “fornitore” numero uno è Arnon Milchan, un produttore cinematografico di Hollywood assolutamente di successo. Ha prodotto C’era una volta in America, La guerra dei Roses, Pretty Woman. Prima di arrivare in America era stato anche una spia per Israele, aveva lavorato con Shimon Peres al progetto nucleare Dimona.
Anche Milchan è stato incriminato dalla polizia come corruttore: il premier intervenne per sugli Usa per un visto da residente (tre richieste direttamente a John Kerry, all’epoca vice di Obama) e poi una legge per l’esenzione dalle tasse per i milionari che rientrano in Israele. Proposta bocciata dal ministero delle Finanze.

CASO 2.000
In questo caso, Netanyahu avrebbe concordato con l’editore del quotidiano conservatore Yedioth Ahronoth provvedimenti per danneggiare il rivale Israel Hayom, un quotidiano free press. Netanyahu pensava per esempio di impedire la free press al sabato, oppure la possibilità di distribuzione nelle stazioni di benzina o nei supermercati. Un suo collaboratore registrò un incontro fra Bibi e l’editore di Yedioth, Arnon Mozes: poi il collaboratore si è dovuto difendere da un’accusa di corruzione, e ha passato il nastro ai poliziotti.

CASO 3.000
Per questa ultima indagine la polizia non ha ancora deciso nulla, ma continua a indagare. E’ l’inchiesta sulla vendita di navi e sottomarini tedeschi Dolphins a Israele. Il caso implicherebbe il pagamento di vere e proprie tangenti, anche rilevanti; coinvolge un legale che è l’anima nera del premier e soprattutto riguarda una questione di sicurezza Nazionale: aver chiesto tangenti per armi che servono a difendere Israele. Nel settembre 2017 la polizia ha anche arrestato l’ex capo dello staff del premier, il suo ex avvocato David Sharan. Con lui sono stati fermati e interrogati un ex capo della Marina israeliana, l’ex capo di una unità di commando e un ex ministro. L’inchiesta sta andando avanti fra mille difficoltà: la polizia ha fatto di Sharan un testimone di giustizia, ma molti dei passaggi di danaro riscontrati fino ad ora sono stati pagati e fatturati con un giro di consulenze e ricevute che potrebbe rendere poco chiaro l’eventuale coinvolgimento del primo ministro.

CASO 4.000
L’ex portavoce di Bibi Netanyahu, Nir Efez, e il direttore generale del ministero delle Comunicazioni, Shlomo Filber, sono i due uomini vicini al premier arrestati dalla polizia israeliana per il caso 4000. In tutto la polizia ha fermato sette persone legate alla compagnia telefonica israeliana Bezeq con cui Netanyahu ha avuto rapporti da ministro delle Comunicazioni ad interim dal 2015 al 2017. La polizia vuole chiarire i rapporti fra la compagnia dei telefoni Bezeq, proprietari anche del sito di giornalistico Walla, e il ministero delle Comunicazioni. Il sospetto è che, in cambio di benefici da parte del ministero al maggiore azionista di Bezeq, Shaul Elovitch (anche lui arrestato), la compagnia abbia assicurato a Netanyahu una copertura favorevole sul sito Walla. Ma per Efez e Filber ci sarebbero anche le accuse di corruzione, come dire che a uomini del primo ministro il proprietario di Bezeq avrebbe fatto anche dei versamenti di denaro. Il caso per Netanyahu è particolarmente delicato perché Shlomo Filber, considerato il fedelissimo del premier, la sua “scatola nera”, si sarebbe dimostrato disponibile a collaborare con gli inquirenti e a raccontare tutto quello che sa.

La situazione, insomma, è complicata. In un paese, per giunta, che da troppo tempo vede anestetizzata l’opinione pubblica di fronte a crimini di guerra e contro l’umanità, allo stillicidio quotidiano della normalizzazione dell’occupazione, tutto sacrificabile sull’altare di una sicurezza vera o presunta. Ma la corruzione, no.

Da sinistra Binyamin Ganz e Yair Lapid

Inoltre, per la prima volta da tanto tempo, l’opposizione pare avere una sua credibilità. L’asse dell’alleanza tra Binyamin Ganz e Yair Lapid può mettere assieme, per convinzione o convenienza, una discreta forza elettorale.

Ex capo di Stato maggiore il primo (elemento che in Israele conta), popolare personaggio della tv il secondo, leader di due partiti che hanno anche il sapore – vero o presunto – della novità: entrambi leader di partiti centristi, entrambi popolari ed entrambi con un buon sostegno interno alle forze dello Stato che provano a scalzare Bibi. Gantz guida il neonato partito Hosen L’Yisrael, “resistenza per Israele”, Yair Lapid invece è al timone di un’altra formazione in forte ascesa, ossia Yesh Atid. A loro si sono aggiunti anche due pezzi da novanta: l’ex capo dell’esercito Gabi Ashkenazi e l’ministro della Difesa Moshe Yàalon.

Il loro obiettivo, come coalizione, è quota 31 seggi sui 120 della Knesset. La quota accreditata ad oggi al Likud, la formazione di centro – destra del premier in carica.

Certo nessuno ha la forza di aggiudicarsi la maggioranza assoluta dei seggi e questo potrebbe favorire Netanyahu: basta infatti che il Likud infatti si confermi in testa nelle preferenze ed il primo ministro può vedersi assegnato un nuovo incarico per un esecutivo in grado di ricalcare la coalizione uscente e raggiungere così almeno 61 deputati. Ma con l’avanzata della nuova lista, la maggioranza relativa per il Likud non è più così scontata, anche perché difficile che se prende voti li tolga a una sinistra in fin di vita e un’estrema destra che vota compatta per i suoi partiti.

Tutto e da vedere e, al solito, Bibi la gioca in prima persona. Ma il fantasma delle inchieste, per una volta, può essere un grande problema per la sua personalizzazione della politica.

Un sondaggio pubblicato da Yedioth Ahronoth domenica scorsa accredita Kahol Lavan, il blocco elettorale di Gantz-Lapid, di 35 seggi contro i 29 del Likud. Se i laburisti e il Meretz (quel che resta della sinistra israeliana), con i loro potenziali 13 seggi, si alleassero con Gantz-Lapid, e magari con i 12 seggi accreditati alle formazioni di arabi – israeliani (circa il 20 % della popolazione, massacrati da anni di razzismo dilagante di governi sempre più a destra, che Bibi lascia fare e/o incentiva a seconda delle convenienze elettorali) Hadash-Ta’al e United Arab List-Balad, si arriva a 60.

Per altre due testate vicine alla destra, invece, il Likud è in vantaggio, seppur di misura. Secondo questo sondaggio, condotto dalla rete televisiva Canale 13, il partito di Netanyahu otterrebbe oggi 29 dei 120 seggi del parlamento, mentre Gantz ne riceverebbe solo 28. Spicca la forte avanzata dei laburisti di Avi Gabbai, con 14 seggi. Il blocco dei partiti di centro-destra avrebbe così 62 dei 120 seggi e Netanyahu – se questi dati fossero confermati nelle elezioni del 9 aprile – sarebbe dunque in grado di formare un nuovo governo di coalizione.

I sondaggi lasciano il tempo che trovano, anche perché il primo è stato effettuato prima del bombardamento su Gaza, che torna sempre buono in termini elettorali, ma è anche vero che – dopo molti anni – all’iniziativa di fare cartello delle opposizioni, si aggiunge una frammentazione a destra che diventa ogni giorno più visibile. Detto dei mal di pancia di Lieberman, c’è da segnalare anche quelli di Neftali Bennet, ministro dell’Economia dell’attuale esecutivo, ex capo staff di Netanyahu e poi leader del partito La Casa Ebraica, ora leader della Nuova Destra che spacca ancora di più il voto degli estremisti.

Solo il voto del 9 aprile dirà, ma per la prima volta negli ultimi anni Bibi è in difficoltà, dopo quasi dieci anni di governo. Domani andrà peggio, diceva Amira Hass, e un Bibi con meno margine di manovra sulle destre ultranazionaliste e islamofobe sarebbe uno scenario ancora più inquitante, ma per la prima volta ci sono segnali di instabilità. Ed è già qualcosa.