I desaparecidos della democrazia: a Santiago Maldonado

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21 Ottobre 2021

L’anniversario dell’omicidio dell’attivista che si batteva per i diritti del popolo Mapuche

La storia è fatta di date e avvenimenti, numeri che riportano alla memoria gesta e fatti da non dover dimenticare; ma spesso c’è una storia che difficilmente sale a galla perché si sa le forme di oppressione sono contro la memoria, soprattutto se appartiene agli ultimi, agli oppressi.

Sono passati pochi giorni dal 18 ottobre, una data per molti anonima, non per tanti argentini che ricordano Santiago Maldonado, uno dei desaparecidos della democrazia. Non solo la dittatura del 1976-1983 ma anche la democrazia dei giorni nostri in Argentina conta i suoi giovani scomparsi, pratiche che sembrano non scalfire il passato, al contrario lo rafforzano.

Ma chi era Santiago Maldonado? Originario della provincia di Buenos Aires, Santiago Maldonado era un giovane artigiano, tatuatore, sempre in difesa dei popoli nativi che in America latina continuano a subire annessioni e angherie; in molti lo definivano un anarchico, ma i suoi amici più intimi lo ricordano come un attivista e basta. Santiago ripudiava la società capitalista e le sue leggi, lo testimoniano i suoi libri che aveva sempre nello zaino: Dio e lo Stato di Bakunin e Che cos’è la proprietà di Proudhon.

Santiago non usava una carta di credito né aveva una tessera di assistenza sanitaria, viveva vendendo le collane e i bracciali che lui stesso produceva.

Prima di iscriversi alla facoltà di Bellas Artes a Buenos Aires viaggiò molto: Córdoba, Misiones, Mendoza, Jujuy in Argentina, e poi Uruguay, Brasile e Chile, dove si era affezionato ancor di più alle cause del popolo Mapuche, una comunità indigena originaria del Cile centrale e meridionale e del sud dell’Argentina. El brujo come era soprannominato aveva 28 anni quando il 1 agosto del 2017 si trovava nella provincia del Chubut, nella Patagonia argentina.

Il giovane attivista partecipava ad una manifestazione, o meglio un blocco stradale sulla Ruta 40 organizzato dai Mapuche per chiedere la restituzione delle (loro) terre. A seguito di una feroce carica della gendarmeria argentina Santiago insieme ad altri attivisti è scappato in quelle terre che ad oggi appartengono alla famiglia Benetton, e da lì il vuoto più totale.

Un vuoto riempito con manifestazioni popolari in suo favore, ¡Aparición con vida de Santiago Maldonado!  sono le scritte che si trovano sui muri di Buenos Aires, riempito con le interviste pregne di dignità del fratello di Santiago e con una mobilitazione popolare che ha riempito le piazze e si è scontrata con la polizia pur di fare luce sulla morte del giovane attivista.

Soltanto las madres y abuelas di Plaza de Mayo ci avevano visto lungo attaccando il governo Macri e definendolo il mandante dell’uccisione.

Un vuoto purtroppo riempito anche dalla controparte, fatto di menzogne, intimidazioni agli amici di Santiago, indagini chiuse in fretta e quelle modalità contorte ben conosciute dagli argentini che ad oggi piangono più di 30.000 desaparecidos; alcuni scomparsi durante la dittatura civile militare, altri durante la democrazia. Santiago era semplicemente diventato un wenüy, è così che chiamano gli amici bianchi dei Mapuche.

Quando la Gendarmeria Nacional il 1 agosto 2017 era entrata nel nella comunità Pu Lof per sedare la manifestazione, ci era entrata con intenzioni ben precise: lanciare un chiaro messaggio ai Mapuche e ai continui blocchi stradali che attuavano in quella zona. L’irruzione violenta, gli spari e le cariche selvagge di quel giorno furono mirate, ma nessuno si aspettava di trovarsi dinnanzi un ragazzo bianco.

Così c’è stata quella che molti definiscono la repressione della solidarietà. Qualcosa sarà sfuggito di mano ai militari quel giorno perché il corpo di Santiago sarà ritrovato 77 giorni dopo, esattamente il 18 ottobre 2017, nello stesso fiume, morto per ipotermia e successivamente annegamento, così agli atti, nonostante nei mesi precedenti si erano costruite menzogne e illazioni: “Santiago è scappato perchè colpevole”, “Santiago in Bolivia”, “Santiago nascosto come un vero sovversivo” così titolavano alcuni giornali nazionali. Una storia simile alle nostre morti di epilessia o caduta per le scale.

Eppure tutti sapevano che Santiago non si sarebbe rifugiato mai nelle acque gelide del fiume, per di più non sapeva nuotare. I testimoni raccontando delle sue ultime ore ricordano solo di averlo intravisto tra alcuni militari che esclamavano: “Eccone uno- sei in arresto”. E così la storia di Maldonado si aggiunge ai migliaia di casi che tormentano la storia dei diritti civili nonché quella dell’Argentina, che con le pratiche della dittatura quasi non riesce a chiudere i conti.

United colors of Benetton

Cosa c’entrano i Benetton in questa storia? Semplice: proprietari di 941000 ettari di terre, di boschi e foreste, alla famiglia Benetton appartiene il più vasto appezzamento di terra in Argentina.

Dal 1991 ad oggi hanno recintato pian piano tutto il territorio, modificando addirittura la conformazione geografica del posto per i loro affari, deviando fiumi e disboscando boschi, il tutto mentre costruivano una silenziosa battaglia contro i Mapuche, di per sé già criminalizzati dal governo.

La mistica bellezza della Patagonia Argentina, dove cultura e mistero si intrecciano, è stata venduta negli anni al miglior offerente, il tutto sulle spalle dei Mapuche che ad oggi non smettono di lottare, nonostante le loro proteste vengano etichettate come terroristiche dai governi che si succedono.

Così parafrasando le parole dello scrittore Eduardo Galeano nel celebre libro “Le vene aperte dell’America latina”: d’un tratto i Mapuche si sono ritrovati con le magliette in cotone firmate Benetton ma senza più una terra.

Così l’immagine antirazzista e multiculturale del colosso Benetton si sgretola nonostante negli anni la compagnia italiana ha provato a ripulire la propria immagine oltreoceano fornendo posti di lavoro ai Mapuche e regalando loro 7500 ettari di terreno nel 2004.

Un affronto o meglio un contentino verso chi quelle terre le abita da almeno 500 anni. Ecco come si intrecciano le storie e perché Santiago Maldonado quel 1 agosto 2017 si trovava lì, nelle terre comprate dai Benetton ma appartenenti al popolo Mapuche.

Testimonianza diretta di quelle giornate

“Oltre i Benetton, oltre le leggi del potere economico-politico entrare in uno stato ancestrale con la forza è illegittimo. A Santiago Maldonado lo ha ucciso la gendarmeria e lo stato ha occultato le prove, il governo è responsabile, chiediamo aiuto a tutte le organizzazioni dei diritti umani”; così Regina, una giovane attivista che intervistavo il 22 ottobre 2017 in Plaza De Mayo, descriveva gli avvenimenti in lacrime, mentre la piazza dietro si riempiva in una delle tante manifestazioni di quei giorni.

I cartelli con la faccia di Santiago venivano mostrati, le strade si riempivano di striscioni e scritte sui muri, mentre alcuni montavano tende da campeggio per iniziare una veglia in onore del giovane scomparso.

Tutti, chi in maniera consapevole chi inconsapevole sapevano che Santiago era stato ammazzato, questo aumentava la rabbia e la frustrazione di chi con quegli episodi era cresciuto. Nunca Más (mai più) era la frase più gridata, un concetto che racchiudeva paura e memoria.

E mentre la piazza oramai stracolma si metteva in marcia per iniziare il corteo, iniziavano le prime cariche della polizia che con idranti e manganellate reprimeva migliaia di persone che non indietreggiavano. Una violenza brutale durata fino a notte fonda, con arresti perquisizioni e fermi che non hanno risparmiato nessuno. El estado es responsable gridavano gli ultimi coraggiosi rimasti in Plaza de Mayo mentre la nube insopportabile dei gas lacrimogeni oramai si era impadronita della scena.

A Santiago Maldonado- ¡Nunca Más!