La monnezza è sempre oro e le mafie non dormono mai

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30 Aprile 2020

Una storia di ciclo dei rifiuti e criminalità

Dottò, non faccio più droga. No, adesso ho un altro affare. Rende di più e soprattutto si rischia molto meno. Si chiama monnezza, dottò. Perché per noi la monnezza è oro” con questa frase iniziò il pentimento di Nunzio Perrella e la collaborazione con il procuratore Franco Roberti.

Era il dicembre 1992 e quelle parole segnarono una svolta storica nella cronaca giudiziaria. Dalle parole di Perrella nacque l’inchiesta Adelphi, una delle prime contro le eco camorre e per documentare la devastazione e l’avvelenamento della Campania. Le indagini posero l’attenzione sul connubio tra appartenenti a logge massoniche toscane, boss casalesi e imprenditori aversani. Perrella disse agli inquirenti che i clan grazie a tangenti e al controllo esercitato sui territori scaricarono illegalmente “rilevantissime quantità di rifiuti”.

L’azienda da lui controllata aveva trafficato e smaltito milioni di tonnellate di rifiuti tossici provenienti da industrie del nord Italia nelle discariche campane. Negli ultimi anni, oltre ad esser stato parte attiva nell’inchiesta di Fanpage.it Bloody Money che ha documentato quanto la monnezza è ancora oro e smuove colletti bianchi, massoni, imprenditori, camorristi e zone grigie d’Italia, Perrella ha rilasciato negli anni scorsi alcune interviste a Nello Trocchia per la trasmissione Nemo in cui ha affermato di aver riempito la Lombardia e aver sversato anche in Emilia Romagna.

Adelphi fu citata nell’informativa di Roberto Mancini, il primo poliziotto che già sul finire degli Anni Novanta documentò la mappa del potere e dei traffici delle ecocamorre nella “Terra dei Fuochi” e del ruolo di Cipriano Chianese. Roberto fu ucciso il 30 aprile 2014 dal linfoma non Hodgkin diagnosticatogli 12 anni prima e contratto proprio per il ripetuto contatto ravvicinato con i rifiuti tossici e radioattivi su cui stava indagando. Ripresa dopo anni di abbandono in un cassetto dal giudice Alessandro Militia dall’informativa di Roberto Mancini è scaturito un processo conclusosi in primo grado il 15 luglio 2016, come raccontammo in un articolo dove abbiamo riportato anche ampi  stralci di una inchiesta di Fanpage.it e alcuni cabli di Wikileaks. Il 17 gennaio 2019 la Corte d’Appello di Napoli ha emesso la sentenza di secondo grado: condannato a 18 anni Cipriano Chianese, gestore della discarica, condanne anche per Gaetano Cerci, assolti l’ex sub commissario per l’emergenza rifiuti campana a inizi anni Duemila Giulio Facchi e altri imprenditori.

La vita e le inchieste di Roberto Mancini furono ricostruiti e documentati nel 2016 dal libro “Io morto per dovere”. Scritto dai giornalisti Nello Trocchia e Luca Ferrari con Monika Dobrowolska, la vedova di Roberto, e che ispirò una fiction Rai.

I due giornalisti denunciarono che “non sarebbe esistita una immonda e sconcia storia criminale e camorristica senza l’appoggio di importanti figure della borghesia affaristica” e che mancano “i nomi dei principali responsabili, dei complici, dei politici, degli infedeli servitori dello Stato, dei professionisti e degli imprenditori”.

Chianese, lo descrissero su Repubblica nel 2015 Nello Trocchia e Luca Ferrari, “è un uomo potentissimo, capace di cenare con ministri, interloquire con generali delle forze dell’ordine, favorire trasferimenti di agenti dei servizi, finanziare, grazie alla sua enorme disponibilità economica, perfino l’Arma dei Carabinieri. Lo racconta a processo tra gli sguardi sorpresi dei giudici popolari. Lo Stato si presentava nell’ufficio dell’avvocato con il cappello in mano: Ogni tanto ho dato soldi in occasioni di feste dei Carabinieri, l’ultima volta 25mila euro. Qualche volta regalavo frigoriferi e televisori. Mi chiedevano anche di poter entrare nel mio studio per scrivere un verbale con la mia macchina da scrivere”. Interrogato in tribunale, colui che è considerato tra gli inventori dell’ecomafia in risposta alla domanda “ha mai cercato di essere nominato consulente del ministero dell’Ambiente?” ha sostenuto di non aver “mai cercato nessuno, sono sempre gli altri a cercarmi. Me l’hanno proposto nel 1994, nel 1995, nel 2000. Me l’hanno proposto sempre. Vari personaggi politici, funzionari del ministero dell’Ambiente”.

Nello studio di Chianese furono trovate anche bozze non ufficiali di documenti della commissione parlamentare sulle attività connesse al ciclo dei rifiuti. Carmine Schiavone definì Chianese in un’audizione alla Commissione parlamentare ecomafie  “il coordinatore a livello un po’ massonico e un po’ politico” del decollante business criminale dei rifiuti.

In quei mesi del 2003 – raccontò Rosaria Capacchione in un articolo su Il Mattino il 20 novembre 2011 – quando (tanto per cambiare) si cercavano affannosamente fosse e buchi nei quali depositare i rifiuti che si accumulavano nelle strade napoletane, che gli uomini dello Stato incontrarono la camorra . Una riunione ufficiale, con i dirigenti del commissariato di governo, Massimo Paolucci e Giulio Facchi, che scesero a patti con un gruppetto di imprenditori in odor di mafia che quei buchi avevano disponibili. Il resoconto di quell’incontro fu fatto, in pubblico, a un gruppetto di allibiti cittadini. Le discariche c’erano, erano piuttosto illegali, e appartenevano a Cipriano Chianese, Gaetano Vassallo, Elio e Generoso Roma: nomi di uomini poi diventati assai noti alle cronache giudiziarie che trattano di ecomafia. Fu in quella giornata – era primavera – del 2003 che il destino di Villa Literno, e delle vicinissime Giugliano e Parete, fu definitivamente segnato“. Cipriano Chianese scrive Rosaria Capachione “era il padrone dei fossi, delle discariche rabberciate e insicure che in quel 2003 mise a disposizione del Commissariato di governo. Riuscì anche a fare una magia: l’autorizzazione postuma a un buco, che utilizzava per lo stoccaggio provvisorio dei suoi rifiuti, e che miracolosamente diventò invaso per discarica. Raccontano i contadini sfrattati che erano buchi troppo piccoli per raccogliere davvero tutta l’immondizia che arrivava da Napoli. Raccontano anche che dalla Resit continuano ad arrivare folate di aria appestata, eppure è stata sequestrata tanti anni fa. E che in quei giorni dell’emergenza vedevano passare decine di camion, ne contarono almeno duecento, pieni di robaccia puzzolente che finiva dalle parti di Resit ma non nella discarica. Li vedevano tutti, nessuno li fermava. Il silenzio fu il prezzo pagato per risolvere il problema, che però non è stato mai risolto. E le ecoballe, pegno inesigibile, sono ancora là, a futura memoria dello scandalo e del patto infernale“.

Tra i dirigenti della struttura commissariale per l’emergenza rifiuti Rosaria Capacchione cita Massimo Paolucci, nominato nel settembre scorso nella segreteria del ministro della salute Speranza e tornato d’attualità in queste settimane: il 1° aprile scorso Domenico Arcuri lo ha nominato global advisor della struttura commissariale per l’emergenza sanitaria covi19.

Passata sotto silenzio l’ha pubblicata su facebook il 13 aprile il giornalista d’inchiesta Nello Trocchia: “Venti anni fa venne nominato commissario vicario, protagonista della disastrosa gestione commissariale dell’emergenza rifiuti in campania, quella delle balle stoccate a milioni, della buca di Cipriano Chianese, degli incontri mai smentiti con i servizi, dei consorzi a perdere – il suo post – Paolucci torna per gestire la più difficile, tra le emergenze, degli ultimi decenni. Quando ho letto i nomi ho pensato, sconfortato, E’ l’Italia, il paese che tratta la memoria come un inutile orpello“.

Sull’emergenza rifiuti campana e sugli intrecci tra imprenditoria, pezzi delle istituzioni e camorra Nello Trocchia ha pubblicato nel 2010 insieme a Tommaso Sodano il libro “La Peste” dove così riassunsero gli anni di Paolucci nella struttura commissariale per l’emergenza rifiuti in Campania “Paolucci che – fatto curioso –, non avendo mai firmato direttamente gli atti e preferendo lasciare l’incarico al presidente commissario Bassolino o al vice Giulio Facchi, durante gli anni al vertice del Commissariato, esce indenne dalle indagini. Anche se è l’uomo che in prima persona stringe patti, tiene relazioni con imprese private, con la Fibe e con gli amministratori locali e per la gestione del sistema delle assunzioni negli impianti di Cdr. Una lista lunga, quasi interminabile, di santi in paradiso e di segnalati che danno la misura di cosa sia stato effettivamente il Commissariato: un luogo di spartizione, di spesa allegra, un eldorado di spreco e inefficienza“.

LE MAFIE LUCRANO SULLE EMERGENZE E I RIGURGITI GOLPISTI NON FINISCONO MAI

Il 30 aprile 2020 è il sesto anniversario della morte di Roberto Mancini e con quest’articolo si vuole ricordarlo, rendere omaggio alla sua figura di poliziotto cresciuto nei movimenti extra parlamentari comunisti negli Anni Settanta e poi entrato in Polizia per la sua sete di giustizia e impegno verso i più deboli. Una persona, un impegno, ideali e valori e anche attenzione verso il marcio di questa Repubblica e le zone grigie e criminali importante anche in questo periodo di emergenza e angoscia.

Perché se l’Italia è bloccata e tutti siamo chiusi in casa davanti all’avanzare del covid19 le masso mafie e i colletti bianchi non si fermano e trovano sempre i gangli da infettare e in cui trafficare.

Una dimensione che abbiamo già raccontato nel 2017, quella di mafie diventate “liquide” con una “solida vocazione imprenditoriale che si inseriscono nei settori più disparati, egemonizzando la società e manovrando istituzioni e imprese”, cupole “che si nutrono non solo di consolidati network criminali ma anche di comportamenti mafiosi latenti espressi da soggetti contigui” e “sempre più presenti nelle stanze dei bottoni, dirigono amministrazioni pubbliche e governano interi settori economici”.

Nelle emergenze, i rifiuti ne sono la plastica dimostrazione, sguazzano, si arricchiscono, sfruttano ogni occasione. La camorra ebbe una svolta dopo il terremoto in Irpinia del 1980 trattando con settori della politica e assumendo un forte peso negli appalti e nell’economia. La seconda, ancora più grave svolta, per una camorra che già era diventata imprenditrice e trattava con settori della politica arrivò nel 1989 proprio sui rifiuti quando il business criminale s’involò dopo la riunione a Villa ricca tra camorristi, massoni (anche riconducibili alla P2 di Licio Gelli), imprenditori e politici. Ma in ogni emergenza la criminalità e le mafie, così come le conosciamo oggi o nelle forme precedenti che la Storia ci racconta, cerca di approfittare, sfrutta mercati che gli si aprono e di porsi anche come interlocutori di pezzi più o meno deviati dello Stato.

Nel già ricordato articolo del 2017 e in un altro dello stesso anno dedicato ai “fantasmi di Portopalo”), vittime della holding dello schiavismo denunciata e documentata all’epoca da Dino Frisullo ma rimasta sempre impunita nell’Italia che odia i migranti e chi s’impegna con loro considerati ipocritamente, vigliaccamente e con menzogne la radice di ogni male, tratteggiamo le caratteristiche e le dinamiche del mondo di mezzo della mafia romana, di come si sono arricchiti con ogni business, e di come è in larga parte una fascio-mafia.

Sin dagli albori della Repubblica e della strategia della tensione (ma ci sono ritorni anche nella stagione delle stragi 1992-1993 e della più grande trattativa Stato-Mafia) leve neofasciste coltivano ambizioni golpiste, sognano regimi militari anche nel nostro Paese e si alleano con settori più o meno deviati dei servizi segreti, massoni e ovviamente mafiosi. Sogni che, come ha documentato e denunciato Alessia Candito, qualcuno pensa di coltivare anche in questo drammatico periodo storico.

LA TERRA DEI FUOCHI LOMBARDA

A cavallo tra il settembre 2017 e il gennaio 2018 diversi incendi colpirono quello che alcuni definirono il “triangolo della diossina” lombardo, furono colpiti vari impianti di rifiuti e le inchieste della magistratura scoprirono affari, trame e intrecci di vario tipo.

A novembre 2018 erano arrivati ad oltre 20 gli incendi di impianti e capannoni di rifiuti nella sola Lombardia facendo emergere sempre più un giro di traffici che ha riempito pagine di informative giudiziarie.

In occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario 2019 ) il procuratore generale di Milano Roberto Alonso riferendosi a questi numerosi “incendi dolosi in danno di impianti formalmente autorizzati e di capannoni industriali dismessi, ma stipati in modo clandestino di migliaia di tonnellate di rifiuti, in parte provenienti dalla Campania” affermò che la “portata del fenomeno, che interessa tutte le regioni settentrionali, lascia ipotizzare la presenza di un’unica regia”.

LA PERENNE EMERGENZA ABRUZZESE E L’ULTIMA INCHIESTA DELLA MAGISTRATURA

Nelle vicende e negli articoli riportati varie volte ci si imbatte nell’Abruzzo. Definita per troppi anni la “regione verde d’europa” e un’isola felice in realtà è teatro di rotte, traffici, sversamenti da parte della camorra e di consorterie più o meno criminali dagli Anni Novanta.

La Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse, nella relazione approvata il 4 marzo 1999, la definì “geograficamente sita all’ideale snodo dei traffici tra nord e sud”, “considerata di particolare interesse dalla criminalità organizzata la quale, nello specifico settore dei rifiuti, appare avere spostato il flusso dei traffici dalle rotte tirreniche nord-sud a quelle adriatiche” e dove giungono “traffici di rifiuti pericolosi prodotti nel nord dell’Italia, trasportati da imprese vicine alla criminalità organizzata, smaltiti in maniera illecita e distribuiti anche su altre aree del territorio nazionale”. La relazione lanciò un vero e proprio grido di allarme: “sembra in via di accelerazione il tentativo, da parte della camorra campana e della mafia siciliana, di infiltrarsi nel tessuto economico e politico del territorio per il tramite di società di capitali costituite e rappresentate da interposte persone; ciò fa indubbiamente registrare un salto di qualità da parte della criminalità organizzata locale, che è sempre più presente nel tessuto economico regionale”.

Secondo i commissari la regione aveva «una particolare appetibilità economica ed è oggetto di attenzione da parte dell’imprenditoria deviata e della criminalità organizzata, che in questo territorio ricercano nuove frontiere per investire il denaro proveniente dalle attività illecite».

Risalgono sempre agli anni Novanta le prime grandi inchieste che svelarono l’approdo di rifiuti provenienti dal nord della ex fornace di Tollo, di alcune cave dismesse nella Marsica e nel territorio di Scurcola Marsicana mentre un’inchiesta giornalistica dimostrò che nel 1995 almeno 15 comuni della Marsica avevano letteralmente appaltato la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti ad una società riconducibile a Gaetano Vassallo, oggi pentito di camorra, uno dei primi bracci economici dei Casalesi.

La vita e le inchieste di Roberto Mancini furono ricostruiti e documentati nel 2016 dal libro “Io morto per dovere”. Scritto dai giornalisti Nello Trocchia e Luca Ferrari con Monika Dobrowolska, la vedova di Roberto, e che ispirò una fiction Rai.

I due giornalisti denunciarono che “non sarebbe esistita una immonda e sconcia storia criminale e camorristica senza l’appoggio di importanti figure della borghesia affaristica” e che mancano “i nomi dei principali responsabili, dei complici, dei politici, degli infedeli servitori dello Stato, dei professionisti e degli imprenditori”.

Chianese, lo descrissero su Repubblica nel 2015 Nello Trocchia e Luca Ferrari, “è un uomo potentissimo, capace di cenare con ministri, interloquire con generali delle forze dell’ordine, favorire trasferimenti di agenti dei servizi, finanziare, grazie alla sua enorme disponibilità economica, perfino l’Arma dei Carabinieri. Lo racconta a processo tra gli sguardi sorpresi dei giudici popolari. Lo Stato si presentava nell’ufficio dell’avvocato con il cappello in mano: Ogni tanto ho dato soldi in occasioni di feste dei Carabinieri, l’ultima volta 25mila euro. Qualche volta regalavo frigoriferi e televisori. Mi chiedevano anche di poter entrare nel mio studio per scrivere un verbale con la mia macchina da scrivere”. Interrogato in tribunale, colui che è considerato tra gli inventori dell’ecomafia in risposta alla domanda “ha mai cercato di essere nominato consulente del ministero dell’Ambiente?” ha sostenuto di non aver “mai cercato nessuno, sono sempre gli altri a cercarmi. Me l’hanno proposto nel 1994, nel 1995, nel 2000. Me l’hanno proposto sempre. Vari personaggi politici, funzionari del ministero dell’Ambiente”.

Nello studio di Chianese furono trovate anche bozze non ufficiali di documenti della commissione parlamentare sulle attività connesse al ciclo dei rifiuti. Carmine Schiavone definì Chianese in un’audizione alla Commissione parlamentare ecomafie  “il coordinatore a livello un po’ massonico e un po’ politico” del decollante business criminale dei rifiuti.

In quei mesi del 2003 – raccontò Rosaria Capacchione in un articolo su Il Mattino il 20 novembre 2011 – quando (tanto per cambiare) si cercavano affannosamente fosse e buchi nei quali depositare i rifiuti che si accumulavano nelle strade napoletane, che gli uomini dello Stato incontrarono la camorra . Una riunione ufficiale, con i dirigenti del commissariato di governo, Massimo Paolucci e Giulio Facchi, che scesero a patti con un gruppetto di imprenditori in odor di mafia che quei buchi avevano disponibili. Il resoconto di quell’incontro fu fatto, in pubblico, a un gruppetto di allibiti cittadini. Le discariche c’erano, erano piuttosto illegali, e appartenevano a Cipriano Chianese, Gaetano Vassallo, Elio e Generoso Roma: nomi di uomini poi diventati assai noti alle cronache giudiziarie che trattano di ecomafia. Fu in quella giornata – era primavera – del 2003 che il destino di Villa Literno, e delle vicinissime Giugliano e Parete, fu definitivamente segnato“. Cipriano Chianese scrive Rosaria Capachione “era il padrone dei fossi, delle discariche rabberciate e insicure che in quel 2003 mise a disposizione del Commissariato di governo. Riuscì anche a fare una magia: l’autorizzazione postuma a un buco, che utilizzava per lo stoccaggio provvisorio dei suoi rifiuti, e che miracolosamente diventò invaso per discarica. Raccontano i contadini sfrattati che erano buchi troppo piccoli per raccogliere davvero tutta l’immondizia che arrivava da Napoli. Raccontano anche che dalla Resit continuano ad arrivare folate di aria appestata, eppure è stata sequestrata tanti anni fa. E che in quei giorni dell’emergenza vedevano passare decine di camion, ne contarono almeno duecento, pieni di robaccia puzzolente che finiva dalle parti di Resit ma non nella discarica. Li vedevano tutti, nessuno li fermava. Il silenzio fu il prezzo pagato per risolvere il problema, che però non è stato mai risolto. E le ecoballe, pegno inesigibile, sono ancora là, a futura memoria dello scandalo e del patto infernale“.

Tra i dirigenti della struttura commissariale per l’emergenza rifiuti Rosaria Capacchione cita Massimo Paolucci, nominato nel settembre scorso nella segreteria del ministro della salute Speranza e tornato d’attualità in queste settimane: il 1° aprile scorso Domenico Arcuri lo ha nominato global advisor della struttura commissariale per l’emergenza sanitaria covi19. Sull’emergenza rifiuti campana e sugli intrecci tra imprenditoria, pezzi delle istituzioni e camorra Nello Trocchia ha pubblicato nel 2010 insieme a Tommaso Sodano il libro “La Peste” dove così riassunsero gli anni di Paolucci nella struttura commissariale per l’emergenza rifiuti in Campania “Paolucci che – fatto curioso –, non avendo mai firmato direttamente gli atti e preferendo lasciare l’incarico al presidente commissario Bassolino o al vice Giulio Facchi, durante gli anni al vertice del Commissariato, esce indenne dalle indagini. Anche se è l’uomo che in prima persona stringe patti, tiene relazioni con imprese private, con la Fibe e con gli amministratori locali e per la gestione del sistema delle assunzioni negli impianti di Cdr. Una lista lunga, quasi interminabile, di santi in paradiso e di segnalati che danno la misura di cosa sia stato effettivamente il Commissariato: un luogo di spartizione, di spesa allegra, un eldorado di spreco e inefficienza“.

Ma anche l’ultimo decennio, oltre ad averci consegnato altre inchieste della magistratura, ci racconta di vicende più o meno chiare e che pongono (o almeno dovrebbero) seri interrogativi. Il carico di cdr partito dall’Abruzzo nel 2016 fu spedito indietro e, come rivelò nel dicembre successivo Greenpeace, dopo quell’episodio il Marocco chiuse definitivamente le porte a tutta l’Italia. Perché? Quali risultati fornirono le analisi commissionate dal Ministero dell’Ambiente marocchino? Cosa c’era in quelle ecoballe da indurre a respingere il carico?

E due anni prima episodio simile, sempre con una nave di ecoballe partito dallo stesso porto abruzzese, avvenne con la Romania: una nave fu fermata per diversi mesi – mentre la stampa romena titolava a tutta pagina sulla “nave dei veleni” italiana – per poi essere dirottata verso la Bulgaria. Ma il vero problema della finta isola felice abruzzese è soprattutto altrove, l’Abruzzo vive quasi perennemente uno stato di emergenza monnezza.

E’ successo poco più di dieci anni fa, arrancava poco più di un lustro fa e ancora oggi si ritrova con situazioni di discariche quasi sature, privati all’arrembaggio con progetti a dir poco discutibili e impianti in sofferenza e oggetto di proteste e inchieste della magistratura. L’ultimo controverso caso viene dalla bassa Provincia di Chieti con l’inchiesta della Procura di Vasto che l’anno scorso ha portato al sequestro della discarica in uso dell’impianto consortile, pubblico ma gestito da una società privata.

La storia dell’impianto consortile dei rifiuti del vastese è stata travagliata sin dall’inizio: già nel 1995 arrivò una prima inchiesta della magistratura partita dall’omicidio a Pescara dell’avvocato Fabriziquattro anni prima e da cui si scatenò il ciclone che travolse, in pochi mesi, la giunta regionale e quelle comunali di Pescara e Chieti spazzando via un’intera classe dirigente.

Mentre tra il 2006 e il 2009 Arta e Regione sollevarono varie irregolarità nella gestione della discarica in uso e nella costruzione di un’altra che portò a mesi di emergenza e uno scontro feroce con il consorzio e il comune ospitante.

L’impianto attualmente in uso e sequestrato un anno fa dalla magistratura è stato oggetto tra il giugno di due anni fa e l’ottobre scorso di ben 5 incendi, uno dei primi incendi fu definito dal Comitato Difesa Comprensorio Vastese “l’ennesimo segnale inquietante in perfetto stile mafioso che incombe sul ciclo dei rifiuti” in Abruzzo. Il 16 marzo dell’anno scorso il Comitato organizzò anche una manifestazione a Valle Cena, lì dove sorge l’impianto oggetto del sequestro e degli incendi, denunciando che si viene “da anni di esasperazione degli abitanti per le modalità di conduzione del sito” e da una storia che “è sempre stata costellata da anomalie”.

Gli ultimi capitoli sono recenti. A dicembre la Regione contestò varie irregolarità sia nella costruzione che nella manutenzione della discarica oggi sequestrata mentre a febbraio il gip ha disposto il dissequestro, nonostante il parere contrario della Procura, una delle motivazioni sarebbe che “venute meno le esigenze cautelari” per “l’avvenuta esecuzione di opere riparatorie”. Sull’avvenuta realizzazione di queste opere immediatamente hanno sollevato dubbi, anche alla luce del verbale di una riunione avvenuta in Regione lo stesso giorno del dissequestro dove appare chiaro che si deve ancora concludere l’iter autorizzatorio.

Dubbi e considerazioni che di fatto trovano conferme pochi giorni dopo quando la Regione ha diffidato la società con “contestuale sospensione” dell’attività per sei mesi: le criticità e le contestazioni sono tutte sul tappeto e nulla sarebbe ancora stato neanche definitivamente valutato. La vicenda è quindi ancora ben lontana dal concludersi e, anzi, col passare dei mesi le domande aumentano.