Schiavitù sessuale

di

5 Maggio 2021

L’eterna pandemia criminale che non si è mai fermata

Stanotte sentivo freddo

seduta su quel marciapiede

ad osservare un cielo senza stelle.

Davanti una autostrada

di macchine al passaggio.

Chi si vendeva, chi acquistava

un po’ di sesso a pagamento.

Venghino signori,

venghino ..

Bamboline in esposizione.

Come al mercato

si guardava

si sceglieva

si acquistava

si discuteva anche sul prezzo.

Merce di scambio,

corpi di donna ancora bambine.

Vite spezzate ancor prima di crescere.

Questa è la drammatica testimonianza di una ragazza nigeriana, scritta durante il suo percorso di integrazione dopo essere stata liberata dalla tratta della schiavitù sessuale, del ripetuto e criminale stupro a pagamento per ingrassare gli affari delle mafie e sottostare ai peggiori e più depravati desideri sessuali dell’uomo medio italico.

Sulla pagina facebook di Female Matters nel febbraio scorso sono stati documentati alcuni commenti su un forum di escort, luoghi virtuali dove «le donne nella prostituzione diventano buchi per sfogare il proprio “stress quotidiano”, robot senza emozioni su cui “riversare vecchie frustrazioni”» e «l’unica libertà è quella del compratore di poter disporre a proprio piacimento dei corpi femminili».

Dopo averla definita un’agnellina «senza la minima resistenza» e «la migliore soluzione al mio stress quotidiano» c’è chi scrive che la donna sfruttata potrebbe persino cucirsi un organo perché «assolve gli impegni in maniera ottimale» (ovvero essere a disposizione dei suoi perversi comodi) con l’altro. Un altro si vanta della violenza con cui ha «riversato addosso alcune vecchie frustrazioni» e «senza far caso alle sue mani che tentavano di allontanarmi».

Il lockdown e la pandemia non hanno mai interrotto la tratta e lo sfruttamento sessuale, aumentati in maniera drammaticamente esponenziale anche online: in un’intervista dell’estate scorsa a WordNews.it Irene Ciambezi della Comunità Papa Giovanni XXIII, tra le promotrici della campagna «Questo è il mio corpo», ha denunciato l’aumento dello sfruttamento della prostituzione online e le «piattaforme web ancora legittime in Italia e legate alla pornografia. Siti dove le ragazze vengono recensite, e dove può apparire una loro libera scelta prostituirsi e invece dietro ci sono organizzazioni che le sfruttano».

L’esplosione dello sfruttamento della schiavitù sessuale online ha interessato anche le piattaforme per le messaggistica. Accanto alla pedopornografia online, è emerso durante un convegno online organizzato nel settembre scorso dalla campagna «Questo è il mio corpo» promosso all’interno del progetto di prevenzione «Nemmeno con un fiore! Stop alla violenza», si deve far riferimento anche ad una cyber tratta: «nelle grandi metropoli, ma anche lungo la costiera adriatica, il fenomeno è cresciuto e si è spostato al chiuso. E l’allarme riguarda soprattutto lo sfruttamento online, attraverso l’adescamento e anche il cyber crime – ha scritto in un resoconto dell’evento Irene Ciambezi – Le reti criminali sono state rapidissime nel riadattare i propri modelli di business attraverso l’uso intensivo della comunicazione online e anche l’uso dello sfruttamento indoor, nelle case, pur di mantenere le proprie entrate. E la cosa tristissima è che il cybercrime connesso alla tratta ha sviluppato enormi capacità operative con l’aumento della richiesta di servizi online o in videochate a questo fenomeno si associa anche un altro fenomeno: le torture, le violenze perpetrateper produrre materiale pedopornografico».

La poesia riportata all’inizio di quest’articolo è stata pubblicata sul sito di Maris Davis e sulla pagina facebook «Le ragazze di Benin City» il 27 febbraio dell’anno scorso. Sono passati ormai quattordici anni dalla pubblicazione del libro Le ragazze di Benin City, dalla testimonianza/denuncia di Isoke Aikpitanyi, ma il tempo è praticamente passato invano. Aumentano e non si fermano mai le crocifissioni di migliaia di donne sfruttate, abusate, violentate e anche uccise.

L’ultima notizia è degli ultimi trenta giorni, a Terni. La storia di Maris Davis l’abbiamo riportata in un articolo il 16 marzo dell’anno scorso. «Ogni santo giorno avrei voluto morire … ero stanca e depressa ma nessuno, dico nessun cliente, ha avuto pietà di me. Alla fine del 2003 ero la controfigura di me stessa, sempre ammalata e febbricitante, ero ridotta ad uno straccio che avrebbe voluto chiudere gli occhi per sempre». È la testimonianza di Maris Davis nel libro «Parlo di me (Senza Paura): Schiavitù sessuale e mafia nigeriana» che abbiamo già ricordato nel gennaio dell’anno scorso.

Per anni prigioniera delle mafie nigeriane Maris Davis fu ripetutamente violentata per tre giorni dai suoi aguzzini all’arrivo in Italia.  «Mi dissero che dovevo imparare il mestiere» ha raccontato nel libro. Trovò la forza di ribellarsi e denunciò i suoi sfruttatori, la ritrovarono e la rapirono nel maggio 1999 quando la portarono in Spagna. Dove continuò il suo calvario fino al 2003 quando, ammalata e quasi in fin di vita, fu abbandonata in una delle stazioni di Madrid. Due anni dopo le venne diagnosticato un cancro alle ovaie in stato avanzato. Fu salvata grazie ad una complessa operazione chirurgica, che le ha salvato la vita. Ma non potrà mai diventare madre.  È tornata in Italia. Oggi si batte per dar voce alle vittime delle mafie nigeriane.

Un calvario disumano terribilmente simile alle testimonianze raccolte nel libro di don Aldo Bonaiuto, Comunità Papa Giovanni XXIII, «Donne crocifisse, la vergogna della tratta raccontata dalla strada».

«Mary, diciotto anni, era una ex bambina soldato, abituata a difendersi da sola e soprattutto a lottare per sopravvivere. Nel suo Paese era stata reclutata per uccidere e, dopo l’addestramento secondo le più rigide e spietate tecniche di resistenza fisica e psicologica, non ebbe la forza di trasformare quegli insegnamenti di morte in un destino da killer. Una giovane martire della mafia nigeriana venduta come una bestia, violentata e costretta più volte ad abortire. Nel viaggio della tratta degli esseri umani, in piena traversata del deserto, è costretta persino a bere le proprie urine. La storia di Mary ha commosso papa Francesco, in visita alla Comunità Giovanni XXIII dove la donna ora risiede. Ma quante sono le Mary che popolano ogni giorno le nostre strade? Quali sono le storie drammatiche che si celano dietro questa moderna tratta delle schiave (e degli schiavi) che è la prostituzione e che spesso fingiamo di non conoscere? Quali sono le responsabilità di quelli che definiamo “clienti”? È delle tante, troppe Mary che questo libro parla, raccontando storie, tracciando traiettorie che si intrecciano inevitabilmente con quelle dell’immigrazione, ricostruendo le ragioni perverse che spingono uomini (spesso connazionali) a schiavizzare altri esseri umani, facendo mercimonio del loro corpo».

Questa la drammatica testimonianza e denuncia della presentazione del libro. «L’ho capito sentendo il mio corpo usato come oggetto masturbatorio da migliaia di uomini che, ovviamente, sanno che il sesso che comprano è indesiderato. Altrimenti non pagherebbero per questo. Usare il denaro per comprare l’ingresso nel corpo di qualcuno è di per sé un atto di violenza sessuale. Lo so perché l’ho vissuto e l’ho visto accadere a molte altre, e non tutte sono sopravvissute. Sono obbligata a dire la verità sul danno che gli uomini fanno alle donne quando, a causa del loro egoismo sessuale, sono disposti a trattare gli altri esseri umani come bambole viventi e respiranti. Questi uomini conoscono perfettamente il male che stanno commettendo».

Questa è una delle tantissime testimonianze di donne che sono state liberate dalla tratta della schiavitù sessuale. «L’impegno nella liberazione delle donne vittime della tratta ci insegna il valore supremo della libertà» ha scritto nella presentazione del libro Giovanni Paolo Ramonda, presidente della Comunità Papa Giovanni XXIII, ricordando la campagna «Questo è il mio corpo». Che sta smobilitando coscienze, confrontandosi con tantissime realtà dell’associazionismo e del volontariato, cittadini e istituzioni per contrastare la tratta, liberare le vittime dalla schiavitù sessuale dello stupro a pagamento. Una campagna che abbiamo raccontato e racconteremo con interviste, testimonianze, informando sugli eventi e sulle attività.

Nel libro di don Aldo Bonaiuto, scrive Ramonda, «riecheggiano le voci delle donne crocifisse, liberate dalla schiavitù della prostituzione. Nei capitoli sono disseminate le reali violenze subite, le sevizie e le minacce ripetute». La storia di Mary è la storia di migliaia di donne, sfruttate dalle mafie e dai «clienti», gli stupratori a pagamento. Violentate, abusate, crocifisse, a pochi passi da ognuno di noi, basta scorrere i trafiletti delle cronache locali, far caso alle notizie riportate a margine da giornali online di ogni territorio per avere coscienza e conoscenza di come – parafrasando il film dedicato a Peppino Impastato – avviene anche a molto meno di cento passi dalle nostre tiepide case. E lì dove non arrivano neanche le cronache locali arrivano certamente la conoscenza informale, il passaparola del ventre molle e borghese che tutto accetta e a tutto si amalgama, pronto a tacere per comando o convenienza.

In queste settimane si sta discutendo di ripartenza, di allentamento delle restrizioni agli spostamenti. Anche tra regioni. Prima del confine tra l’Abruzzo dove sono ospite da quasi 37 anni e il Molise, percorrendo la statale adriatica, si incontra la marina di San Salvo. Ogni volta che percorro quei pochi chilometri mi sale l’angoscia e, confesso, in momenti in cui ero solo in auto per la rabbia, la frustrazione, un senso infinito di devastazione che scava l’animo nel profondo, sono scoppiato anche a piangere.

Non molto distante da lì, secondo alcuni, ormai vent’anni fa o quasi sono stati sversati rifiuti di ogni tipo. Molti sanno, o affermano di sapere, ma tutto è rimasto sempre nell’illazione e nella chiacchiera. E il triangolo della morte sulla trignina e dintorni in territorio molisano non è molto lontano.

Ma quella zona è, soprattutto, una zona dove la vergogna e la bestialità di esseri che solo per convenzione linguistica e sociale si possono chiamare umani si ripete – nel silenzio e nell’accondiscendenza di tanta nauseante “brava gente” – ogni giorno: lì vicino ci sono complessi edilizi dove da tanti anni ci sono donne schiavizzate e soggiogate dai turpi piaceri di squallidi “maschi”. Si, quella è zona di sfruttamento della prostituzione, del mercato criminale e spesso mafioso. Dello stupro, della schiavitù, della bestialità di chi impunemente viola l’intimità di persone per arricchirsi. Un business su cui clan e sistemi criminali di ogni tipo, come ci ricordano anche le relazioni semestrali della Direzione Investigativa Antimafia (ma, basta cambiare date, alcuni particolari e i nomi delle inchieste, la mappa è pressoché identica da tanti, troppi anni), lucrano e si rafforzano.

Solo nel 2019 due sono state le maxi operazioni contro le mafie nigeriane e lo sfruttamento della schiavitù sessuale che hanno coinvolto l’Abruzzo, un’altra nel luglio 2020. A pandemia ormai esplosa da mesi.

L’ultima in ordine di tempo è del 26 aprile scorso, una maxi operazione che ha coinvolto le Squadre mobili di Roma, Rieti, Bari, Caserta, Napoli, Reggio Emilia, Parma, Modena, Catania, Genova, Messina, Potenza e Terni condotta dalla Squadra Mobile di L’Aquila insieme al Servizio Centrale Operativo. L’indagine, denominata Hello Bross, ha portato all’arresto di 30 persone considerate affiliate all’organizzazione della mafia nigeriana “Black Axe”.

Il capoluogo abruzzese è stato considerato il fulcro centrale, confermando l’affermarsi e il consolidarsi anche nella regione e ha documentato come le mafie nigeriane si stanno evolvendo e strutturando nei tradizionali settori criminali – sfruttamento della schiavitù sessuale e narcotraffico – e, soprattutto, in nuovi settori garantiti dall’evoluzione tecnologica. Gli investigatori hanno, infatti, tracciato anche flussi di denaro e criptovalute.