Noces

di

30 Novembre 2018

Intervista al regista Stephan Streker

Noces (Un Matrimonio, in italiano) è un film che rimane in testa. E’ un film che s’incolla ai pensieri dello spettatore, spingendolo a riflettere sulla crudele e moderna tragedia greca che il regista, Stephen Streker racconta.

Zahira, diciottenne belga di origine pakistana, è molto legata alla sua famiglia fino al giorno in cui è costretta a sposarsi secondo la tradizione. Divisa tra le esigenze dei suoi genitori, il suo stile di vita occidentale e le sue aspirazioni di libertà, la ragazza fa affidamento sull’aiuto del suo fratello maggiore e confidente, Amir.

La trama s’ispira a un fatto di cronaca, avvenuto in Belgio nel 2007, quando la giovane Sadia Sheikh viene uccisa dal fratello, su ordine del padre, rea di aver rifiutato il matrimonio con un lontano cugino pakistano. L’intera famiglia è complice di questo omicidio.

Noces è uscito in Belgio nel 2016 ed ha riscosso un notevole successo di pubblico e critica, guadagnandosi una candidatura come miglior film straniero alla 43° edizione dei Cesar, gli oscar del cinema francese.

In questo film parte da un fatto di cronaca per raccontare, con tatto, le drammatiche conseguenze dello scontro fra tradizioni differenti.
Perché scegliere questo punto di partenza?

Il fatto di cronaca era piuttosto conosciuto in Belgio, l’ho trovato tristemente  incredibile sin dal principio, ma non ho mai pensato di farne un film. Tutto è cambiato da un giorno all’altro perché ho incontrato il migliore amico del fratello, che mi ha detto: “Non puoi immaginare quanto Mudusar (il fratello omicida di Sadia, ndr) adorasse sua sorella. Non avrebbe potuto spezzarne un capello”.

E lì ho capito che questa è una storia straordinaria da raccontare, una vera tragedia greca. Una storia con delle implicazioni emotive molto forti e potenti, una vera tragedia greca del 2018. Inoltre, poiché Zaira, la protagonista del film, è nata in Belgio, l’ho considerata da subito come una sorella. Ciò che ho voluto era dare a ogni personaggio una possibilità. Pensavo che se avessi messo in scena solamente i personaggi buoni e quelli cattivi, in una chiave di lettura semplicistica, sarebbe stato un fallimento perché, come in ogni tragedia greca, è la situazione ad essere mostruosa e non  suoi protagonisti. Zaira non è vittima di mostri ma vittima di una situazione mostruosa.

Ha quindi voluto da subito affrontare un tema più ampio come le tradizioni? 

In effetti, ciò che m’interessava era raccontare questa storia con i mezzi del cinema. Penso che sia una grande opportunità, il fatto di avere tra le mani una storia cosi forte. È rara, non ce ne sono molte. Eppure non ho mai pensato: “Tratterò questo fatto di cronaca facendone un film.”
È proprio l’opposto: prima mi sono appassionato alla storia e ai suoi personaggi. Il giudizio appartiene comunque a chi guarda il film. Esattamente come il giudizio morale sulle grandi questioni sociali che il film mette in luce, appartiene agli spettatori. Io ho solo fatto il mio lavoro di regista, cioè raccontare una storia eccezionale.

Guardando il film, mi è sembrato di capire che il problema vissuto dalla famiglia di Zaira è una questione di tradizione e onore, piuttosto che di religione.  E’ cosi?

Sì, assolutamente. Ho incontrato molte persone della comunità belgo-pakistana. Prima di interessarmi all’argomento ho pensato che fosse un problema di religione e ho capito in seguito che si tratta di un problema di tradizione. Ho discusso con dei pakistani che vivono in Belgio e mi hanno detto: “La tradizione è al di sopra della religione. E, al di sopra della religione, vi è l’onore”. E poi una donna pakistana ha affermato: “Sai, ti hanno detto che al di sopra della religione c’è la tradizione. Ed è vero. E che al di sopra della tradizione, c’è l’onore ed è anche vero. Ma c’è un’altra cosa al di sopra dell’onore: salvare le apparenze”. E sono sicuro che abbia ragione, perché se si salva l’onore, anche la tradizione è preservata e se salviamo le apparenze, tutto va bene.

Com’è riuscito a realizzare un film su argomenti così delicati, evitando il minimo pregiudizio, e mantenendo una certa neutralità nel denunciare la privazione di libertà vissuta da Zaira? Il suo, sembra uno  sguardo di empatia e compassione per tutti.

Se posso, non userei la parola “neutralità”, ma la parola “amore”. Mi piacciono tutti i personaggi. Non è stato difficile amarli perché l’ho sentito da dentro. Il personaggio che ho amato di più è Zaira perché la capisco. Non c’è un solo momento in cui non la capisco, e capisco persino l’incostanza che è legata alla sua giovinezza. C’è un critico cinematografico francese che ha detto qualcosa di meraviglioso: “Non è Zaira che vorremmo salvare, ma vorremmo salvare lei e tutta la sua famiglia”. Ho trovato quest’analisi straordinaria. Mi ha toccato molto. Posso dire che capisco tutti e anche andare oltre, dicendo che li amo tutti e la famosa “neutralità” non è “ neutralità”. È ovvio che gli atti commessi siano da condannare. Ai miei occhi il fratello di Zaira è colpevole. Ma è colpevole e anche vittima di una situazione più grande di lui. Può sembrare paradossale, ma è possibile essere colpevoli e vittima. Nessuno in questo film è libero, e certamente non Zaira. D’altra parte, il vero soggetto del film è la libertà.

Ha scelto attori non conosciuti per questo film, perché la sua scelta è caduta proprio su di loro?

Ho lavorato con attori fantastici e di grande talento, ed è più facile guidare professionisti talentuosi. Mi piace lavorare con gli attori e posso adattarmi facilmente a loro. È molto importante avere una relazione speciale con ogni attore, una relazione unica. La relazione che ho con Lina (Lina El Arabi, attrice che interpreta Zaira, ndr) non è la stessa che ho con Sebastien (Sébastien Houbani, attore che interpreta Amir ndr). Quando il regista ama i suoi attori, loro lo sentono, sono soddisfatti, a loro agio e quindi migliori, penso.

Nella preparazione di questo film ha attraversato momenti particolarmente difficili?

Sì, trovare l’attrice. E ‘stato molto complicato, l’ho cercata per oltre un anno. Avevo bisogno di una ragazza di 18 anni, che potesse recitare scene molto complicate. E poi volevo una vera  attrice da tragedia, volevo che fosse come Elizabeth Taylor, perché ha uno sguardo fiero, non guarda in basso, ti guarda a testa alta. Ho trovato Lina molto tardi.

Come ha studiato le comunità rappresentate e le loro tradizioni? Nel film vediamo la scena del matrimonio tra Zaira e il futuro marito pakistano celebrato su Skype.

Ho incontrato molti musulmani, ma soprattutto pakistani espatriati che vivono qui. Il film è co-prodotto dal Pakistan, e c’erano sempre, tra i miei consulenti e amici, dei pachistani. Pensi che nel film, il matrimonio è celebrato da qualcuno che nella vita reale è un Imam. La scena del matrimonio via Skype è la scena più vicina alla realtà. Ho avuto accesso a foto reali, perché oggi con gli smartphones tutti hanno video di matrimoni ed è facile vedere cosa succede realmente. Per questa scena volevo davvero essere molto vicino alla realtà. Nel film, ci sono anche dei momenti molto lontani dalla realtà, ad esempio quando la sorella maggiore di Zaira ritorna da Barcellona per convincere la giovane donna a seguire il volere della famiglia. È un personaggio inventato e interessante perché anche lei non aveva voluto sposarsi, ma alla fine lo accetta e vive, nonostante tutto, un matrimonio sereno. Ci sono casi in cui i matrimoni combinati sono assolutamente drammatici e conducono a drammi assoluti, ma ci sono matrimoni combinati che funzionano molto bene, con due persone che all’inizio non si conoscono affatto e pensano poi di aver trovato l’amore della loro vita.

L’intervento della sorella solleva anche questioni riguardanti il genere.

Penso che la causa giusta del 21° secolo sia la causa delle Donne. È assolutamente incredibile e folle considerare che metà dell’umanità sia inferiore all’altra metà. Esattamente come la lotta contro la schiavitù, una buona e giusta causa che è stata vinta per fortuna. La lotta non è ancora finita ma oggi, sempre che non si discuta con un pazzo, non è normale sentire qualcuno dire ” E’ una cosa giusta, la schiavitù!”. Spero che in breve tempo sarà altrettanto raro sentire qualcuno dire “la donna è inferiore all’uomo” perché… non trovo nemmeno le parole, è una follia. È una causa così importante che non mi piace quando è difesa male. Ci vuole una grande responsabilità quando si difende una causa così grande e nobile. Non sopporto quando per un piccolo interesse personale si difendono cause del genere. 

Quando pensiamo ai matrimoni combinati e a come ancora oggi accadano in molte società, potremmo anche pensare che l’amore romantico sia un concetto relativo.

Se ci guardiamo attorno, potremmo anche pensare che i matrimoni praticati qui siano delle “credenze”. Se prendiamo due esseri umani che si amano e chiediamo loro se si sono sposati perché si amano più di ogni altra cosa al mondo, diranno “sì” e voglio crederci. Sono sicuro che sia vero. Quando dicono “Lo amo così tanto che posso morire per l’altro”, lo credo anch’io. È possibile Ma se qualcuno mi dice “Lo amo così tanto che oggi so che tra 30 anni, 40, 50 anni, lo amerò fino alla morte “. Ecco credo che anche in questo caso le tradizioni generano credenze piuttosto bizzarre.

Si aspettava un successo del genere?

Quando realizziamo un film, non sappiamo come sarà ricevuto e il percorso che prenderà. Il viaggio di questo film è stato inaspettato, dieci volte meglio di quello che pensavamo sarebbe successo.