Selva de Pedra

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11 Ottobre 2021

Vista dall’alto, la città più popolosa dell’emisfero sud del mondo, San Paolo, sembra una Selva de Pedra, una giungla di cemento.

Questo è uno dei tanti nomi con cui è conosciuta la megalopoli brasiliana ed è anche il titolo che ho scelto per il mio progetto di libro.

I casi della vita mi hanno portato a San Paolo alla fine del 2015 e i primi tempi non è stato per nulla facile. Come prendere le misure con una città dove vivono più di 20 milioni di persone?

Ho cercato di farlo passando le mie giornate in strada a fotografare tutto ciò che mi colpiva e mi incuriosiva: contrasti, povertà, violenza, l’esodo di pendolari stanchi da una parte all’altra della metropoli, ma anche teneri e profondi baci di coppie appartate negli angoli nascosti delle stazioni della metropolitana.

 

 

Negli anni successivi della mia vita brasiliana mi sono dedicato a progetti più strutturati. Ho scoperto che nel punto più alto della città esisteva una comunità indigena, che nei decenni hanno visto il proprio territorio inglobato dell’inesorabile espansione urbana.

In mezzo a baracche di legno guerriere e guerrieri di etnia Guaraní vivono alla ricerca di un’identità in equilibrio tra la proprie usanze tradizionali e le mille sollecitazioni del mondo esterno. Negli anni ho accompagnato le loro lotte e ho capito quanto anche un misero pezzo di terra e di natura, vada preservato e sia importante e vitale.

 

 

Negli ultimi anni San Paolo è diventata famosa per il suo carnevale di strada: nell’ultimo celebrato in Brasile, poco prima dell’arrivo del pandemia, in pochi giorni hanno sfilato per le strade della città 644 carri seguiti da milioni di persone a ritmo di samba, punk, funk, rock, country e techno.

Il mio lavoro sul carnevale di San Paolo mette al centro il corpo: esibito, truccato o svestito durante una settimana di corteggiamento, balli, consumo di alcol e droghe, ed incontri occasionali quasi orgiastici.

 

 

Il quarto capitolo del mio libro è un’esplorazione nel territorio in assoluto più stigmatizzato che esiste in città: Cracolândia, la terra del crack.

Si tratta di un quadrilatero nel cuore di San Paolo che prende il suo nome da una fiera di stupefacenti a cielo aperto, che accoglie ogni giorno più di mille tossicodipendenti.

Attorno alla piazza di spaccio e consumo si è sviluppato un microcosmo: hotel, attività commerciali e numerose famiglie che vivono negli edifici fatiscenti del quartiere.

Lo stato presidia questo territorio attraverso la polizia e l’assenza di un’efficace politica pubblica a sostegno della fragilità, negli ultimi anni ha creato un vuoto che è stato colmato da organizzazioni legate soprattutto alle chiese evangeliche.

Il crack non è la radice del male ma un sintomo di una società malata: buona parte di chi vive nella terra del Crack ha la pelle scura, proviene dalle favelas di periferia o direttamente dal sistema carcerario. Per gli abitanti di San Paolo Cracolândia è spaccio, consumo ed estrema violenza ma per alcuni è una comunità, un mondo a parte con le sue regole ed è anche casa, perché è l’unico e l’ultimo rifugio.

 

Il mio libro si chiude con la periferia, perché è impossibile raccontare una città che si estende a perdita d’occhio senza spingersi fino all’estremo del suo territorio. La favela Peri Alto, nella zona nord della megalopoli, riflette la struttura della società brasiliana.

In cima alla montagna ci sono le case più solide, di mattoni, costruite negli anni ’70, quando dal nord-est del Brasile si emigrava a San Paolo in cerca di fortuna.

Scendendo verso il fiume, le case diventano baracche e non esiste più il sistema fognario. Come in un labirinto, i bambini giocano a nascondino nei vicoli, davanti alle biqueiras, dove si vende la droga mentre alcuni adolescenti con le radio in mano controllano gli spostamenti all’interno della comunità.

Le bambine, che si prendono cura dei loro fratellini più piccoli, hanno l’aspetto e l’atteggiamento delle donne: nella favela di Peri Alto si diventa mamma a 15 o 16 anni, a volte anche prima. Mi sono immerso in questo sobborgo nel 2020, con l’obiettivo di documentare l’impatto della pandemia in un contesto così marginale e ho scoperto l’esistenza di problemi ben più consolidati e strutturali, affrontati quotidianamente da un grande spirito di comunità e solidarietà.

 

 

Ho scelto di raccogliere in un libro questi cinque mondi, perché, oltre a mostrare diverse facce di San Paolo, che di facce in realtà ne ha più di mille, raccontano anche molto di me e dei miei ultimi anni di vita in Brasile.

Selva de Pedra è una lettura molto personale e al contempo cruda e reale della città di San Paolo e del Brasile di oggi.

Il libro è in produzione, potete preordinare una copia o sostenere la campagna di crowdfunding a questo link