Laboratorio Favela

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2 Aprile 2021

In un libro le parole e le idee di Marielle Franco

Marielle Franco era una donna, madre, favelada, lesbica, attivista per i diritti umani. Con 46mila preferenze, nel 2016, è stata la quinta consigliera più votata alle elezioni comunali di Rio de Janeiro.

Il 14 marzo 2018 è stata giustiziata insieme al suo autista, Anderson Pedro Gomes, mentre tornava da un evento a sostegno delle giovani donne nere delle favelas. È stata freddata con quattro colpi di pistola alla testa. Quando è morta aveva 38 anni.

Il giorno dopo il suo omicidio, migliaia di persone sono scese in piazza in tutto il Brasile e in molte altre strade nel resto del mondo 

Laboratorio Favela – Violenza e politica a Rio de Janeiro è un tributo alla sua personalità potente e sfaccettata. Un piccolo manuale di pensiero e d’azione politici, calibrato sulla situazione brasiliana, ma in grado di parlare a chiunque. Duecento pagine che danno corpo alla sua immagine ormai iconica.

Nel libro sono raccolti discorsi, interviste e la sua tesi di laurea magistrale. L’edizione italiana è una traduzione della versione argentina della casa editrice Tinta Limòn (2020). L’idea di pubblicarlo in Italia è di Tamu Edizioni, il progetto editoriale della libreria Tamu di Napoli, che ha scelto di destinare i guadagni della vendita alla famiglia di Marielle.

L’approccio femminista alla traduzione, curata da Francesca De Rosa e Alice Izzo, ha fatto in modo che il messaggio della sociologa, attivista e politica brasiliana arrivasse al pubblico italiano nel pieno delle sue possibilità espressive.

Leggendo le parole di Marielle Franco, nelle orecchie mi risuonano quelle della sorella, Anielle, incontrata a Parigi alcuni mesi dopo l’assassinio, proprio il giorno in cui Jair Bolsonaro – noto per le sue frasi contro gay, donne e neri – è stato eletto presidente del Brasile.

Anielle, incredula e affranta per il risultato uscito dalle urne, durante l’intervista aveva lanciato la sua premonizione: «Non ho idea di chi l’abbia uccisa, quello che so per certo è che di sicuro Bolsonaro non si spenderà per trovare la verità». E infatti, a tre anni dalla sua morte, ancora non si conosce il mandante dell’omicidio. L’ipotesi più avvalorata, però, è che abbia avuto una motivazione politica e che vi abbiano partecipato delle milizie.

Marielle era una lottatrice pragmatica e le sue battaglie avevano toccato diversi nervi scoperti della società brasiliana. Grazie ai suoi discorsi le donne, e in particolare le donne nere e abitanti delle favelas, avevano finalmente trovato un posto in primo piano nel dibattito pubblico.

«Siamo pronte a scommettere che contro la cultura dello stupro, del maschilismo e del sessismo, debba esserci solo una cultura dei diritti.Per questo è così urgente stare in politica. Siamo noi che dobbiamo decidere sui nostri corpi, desideri e destini. Gli spazi istituzionali misogini e razzisti hanno bisogno di essere occupati dalla lotta politica per vedere rappresentate, di fatto, tutte le nostre aspirazioni. Per dare valore alla vita, sono io la candidata perché noi siamo necessarie. Io sono perché noi siamo!», scriveva nel 2016.

In questa frase è racchiuso il senso del suo agire e i temi delle sue battaglie. Più volte ricorre il concetto di occupazione dello spazio, linguistico e intellettuale prima ancora che fisico. Lo si intuisce anche da un utilizzo particolare della grammatica: spesso nelle sue frasi c’è un “io” che diventa “noi”. Un gioco dialettico fatto per rinsaldare la comunità e creare una nuova identità collettiva, in cui le donne nere e favelade inizino finalmente a guardarsi da una prospettiva diversa, non più periferica.

«La mia intenzione al consiglio è quella di (…) occupare il comune in modo che le persone possano entrare senza difficoltà e senza paura. Credo che dobbiamo distruggere le mura del comune e riempirlo di favelados, di neri e di nere, di donne trans, insieme a tutti quelli che ne hanno il diritto». La sua presa di parola aveva iniziato ad essere percepita come pericolosa. I suoi slogan non erano solo periodi ben costruiti, ma veri e propri motori del cambiamento. In 15 mesi era riuscita a promuovere 15 proposte di legge. Ogni frase nasceva da un’azione. La spinta propulsiva la si percepisce a pelle.

Da sempre schierata contro il sessismo e il razzismo, negli ultimi anni si era impegnata nella denuncia di quella che lei definiva la milizianizzazione del potere in atto a Rio de Janeiro, argomento centrale nella sua tesi di laurea magistrale, “Upp – La riduzione della favela a tre lettere”.

Nel testo, che in Brasile è stato pubblicato pochi mesi dopo il suo assassinio come gesto politico, viene analizzata sotto la lente di ingrandimento la nuova “politica di pacificazione” introdotta nelle favelas a partire dal 2008.

«L’obiettivo di questo lavoro – si legge nell’introduzione – è dimostrare che le politiche di pubblica sicurezza adottate dallo stato di Rio de Janeiro, chiamate Unità di Polizia Pacificatrice (Upp), rafforzano un modello di stato penale perfettamente integrato al progetto neoliberale. Con l’arrivo delle Upp, il modello delle incursioni della polizia è stato sostituito con un altro basato sul controllo e sull’occupazione del territorio». Marielle, fin dalle prime pagine, dichiara di voler svelare le logiche elitarie ed escludenti che si annidano dietro a un «discorso che allude costantemente alla “pace”, allo scopo di ottenere l’appoggio dell’intera città… un modello di città incentrato sul profitto privato e non sui suoi abitanti».

Con la sua tesi e con i suoi discorsi Marielle Franco non ha solo cambiato la grammatica delle relazioni nella società brasiliana, ma ha provato anche a disegnare una nuova geografia della città, dove la periferia fosse al centro.

Perché è lì che si trova il vero motore di Rio de Janeiro e del Brasile intero, nelle favelas, dove la gente è volutamente lasciata ai margini per poterne gestire il controllo. «La realtà è che se i favelados non “scendessero” o uscissero dalle favelas per raggiungere la città asfaltata e svolgere vari lavori, inclusi i lavori nelle case e al servizio dei ceti medi o alti della società, la città praticamente si paralizzerebbe», si legge ancora nella tesi.

Ma c’è una grande questione che le parole di Marielle e ora questo libro pongono all’establishment politico brasiliano e al mondo intero: perché in Brasile la vita delle persone nere non ha un valore umano? La sua brutale uccisione del resto ne è una triste dimostrazione. E la domanda è ancora senza risposta.