Benvenuto nell’esercito armeno

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14 Maggio 2020

Due anni di leva obbligatoria per un conflitto che non finisce mai

Nella Repubblica di Armenia, i ranghi dell’esercito non sono composti da soldati professionisti. Compiuta la maggiore età, appena usciti dalle scuole superiori, i giovani del paese passano due anni in leva obbligatoria. Nella società, l’esercito viene tenuto in alta considerazione. Ma servire questa istituzione non è semplicemente un rito di passaggio. A volte, implica andare al fronte per difendere la patria. Come vivono tutto ciò le giovani generazioni?

REPORTAGE DI Brice Marduel,Lucille Guiheneuf, Daniel Kozin, Francesca Visser, Annabel Roda, Alessia Capasso, Suren Karapetyan e traduzione di Shona Brennan
pubblicato su Cafébabel

Il servizio militare obbligatorio non esiste più nella maggior parte dei paesi occidentali, a parte le eccezioni di Norvegia, Finlandia, Lituania e Israele. Cosa giustifica il mantenimento di un grande esercito e del servizio militare per i giovani armeni? Il conflitto con l’Azerbaigian per il controllo della regione di confine del Nagorno-Karabakh. Dopo decenni di scontri, ancora oggi, le parti ricorrono a combattimenti armati per difendere la propria posizione e influenza sull’area.

Varkiss, 23 anni

A giudicare dai capelli corti e dalla corporatura robusta, Varkiss non sembra un ragazzo che sia stato addestrato duramente nelle file dell’esercito. È seduto comodamente sul divano, ma sempre pronto ad alzarsi per raccontare una storia con passione. Con una sigaretta in una mano e una tazza di caffè nell’altra, incarna le giovani generazioni del paese. In che senso? Come molti suoi coetanei tarda a sposarsi e lavora per una delle nuove imprese informatiche che prosperano nella capitale, Yerevan.

Varkiss ha prestato servizio nell’esercito per due anni. Ma ancora prima di questa esperienza, ha seguito un processo piuttosto comune in Armenia: dall’età di 15 anni, ragazzi e ragazze seguono veri e propri corsi di “preparazione militare”. Durante queste sessioni, gli adolescenti apprendono la storia militare del paese, ma anche come montare e smontare i kalashnikov. Infine, soltanto gli uomini sono tenuti a completare il percorso con due anni di leva. Prima di partire, devono superare una serie di test fisici e psicologici. Poi è un gioco di fortuna a decidere se verranno ricollocati da qualche parte in Armenia o nel vicino Nagorno Karabakh.

Un territorio da difendere

Le alte montagne del Karabakh sono difficili da raggiungere e rappresentano un territorio che ha poco a che fare con quello che di solito viene definito un luogo strategico: non ci sono sbocchi sul mare, tantomeno riserve di petrolio. Se la gioventù armena accetta di andare in questo posto, lo fa esclusivamente per difendere la popolazione che vive su questi pochi acri di terra.

La regione, teoricamente, è parte dell’Azerbaigian, ma il 90 per cento della popolazione è armena, da un punto di vista etnico. Nel 1991, gli armeni del Karabakh hanno proclamato una repubblica indipendente. Ad oggi, questo stato non è riconosciuto a livello internazionale. Eppure gode della piena protezione dell’Armenia. Inoltre, la Russia, che ha una base militare nel paese caucasico, funge da “garante” fornendo sostegno diplomatico, militare e finanziario. A partire dalla dichiarazione di indipendenza del 1991, il conflitto è rimasto irrisolto, nonostante si siano susseguiti un cessate il fuoco nel 1994 e diverse tornate di negoziati. Nell’aprile 2016, dopo un’offensiva dell’esercito azero, è esplosa di nuovo la violenza. La conseguenza? Dozzine di morti nelle file di entrambi gli eserciti.

La roulette ha voluto che Varkiss venisse assegnato al PVO, le forze di difesa antiaerea, proprio al confine con l’Azerbaigian. Se è vero che, da un lato, l’Armenia detiene una modesta aviazione composta da aerei sovietici, dall’altro, dispone invece di un consistente arsenale di missili. Da sergente, Varkiss era uno specialista del missile antiaereo Igla, (“ago” in russo), un razzo guidato da 10 kg che ha dimostrato la sua efficacia nell’abbattere elicotteri e aerei di tutti i tipi.

Nell’aprile del 2016, quando è scoppiata la Guerra dei quattro giorni, Varkiss era in servizio nel distretto di Shamshadin, lungo il confine. Ripensando a quei momenti, parla di grandi quantità di munizioni cadute su entrambi i lati del fronte. Se lui è riuscito a sfuggire ai combattimenti più violenti, altri ragazzi non hanno avuto la stessa fortuna. Uno dei suoi amici ha sofferto a lungo di stress post-traumatico dopo essere stato in prima linea.

Per fortuna, Varkiss non ha vissuto alcune evento traumatico, a eccezione dei pasti a base di patate lesse e zuppe insipide. Altra nota di colore: a detta dei soldati con più anzianità, i pasti – che, in realtà, erano considerati particolarmente cattivi -, sono migliorati molto dai tempi della rivoluzione di velluto del 2018. Poi c’è il ricordo delle uniformi: «Le devi lavare a mano con acqua fredda perché perdono colore. Diciamo che dopo cinque lavaggi ti ritrovi con un’uniforme bianca».

65% – Secondo l’ong Peace Dialogue, nel 2015, l’esercito godeva della fiducia del 65 per cento dei giovani armeni maschi

Come molti armeni, anche Varkiss è avaro di critiche quando parla dell’esercito, un’istituzione che gode di notevole fiducia e popolarità. Secondo i dati del 2015 dell’ong Peace Dialogue, l’esercito è la seconda istituzione più popolare in Armenia: se la Chiesa raccoglie il 68 per cento di voti di fiducia dei giovani, l’esercito arriva a soli 3 punti di distanza. In confronto, gli organi giudiziari, il Parlamento e il Presidente della Repubblica raccolgono tassi di fiducia rispettivamente del 25, 16 e 15 per cento.

Alla luce di un esercito di 50mila uomini, una spesa dedicata che raggiunge il 5 per cento del PIL (lo standard richiesto dalla NATO è pari al 2) e un sostegno diffuso ai soldati, quella armena appare come una società profondamente patriottica. In un certo senso, l’esercito è popolare perché addestra e rafforza uomini che, prima di servire, sono soltanto ragazzi e che, in seguito all’esperienza al fronte, imparano i valori della disciplina e del rigore. È lo stesso Varkiss a sostenere la tesi: «Grazie all’esercito cresciamo più velocemente».

Passeggiando per le strade della capitale a braccetto con le loro ragazze, o seduti nei bar, i giovani armeni in licenza indossano orgogliosamente la divisa con stivali, chepì, cinturone e giacca militare. Le uniformi cadono larghe anche sulle spalle degli adulti appena usciti dalla scuola: il loro orgoglio è palpabile. Sono rispettati e ammirati dai coetanei. Tutti conoscono un cugino, un fratello, un figlio che svolge il servizio militare e le reclute ricevono attenzioni da tutte le parti.

Nonostante ci siano pregiudizi nei rapporti tra giovani armeni di Yerevan e della provincia, l’esercito rimane un luogo che accoglie tutti. Varkiss racconta che chi viene dalla capitale è soprannominato «mangia ciambelle». Sono quelli che non si sporcano le mani, che discutono prima di combattere e che pensano troppo; mentre i giovani di Akhalkala, nel nord, sono noti per avere il sangue più caldo.

Eppure, l’esercito può anche essere un luogo violento, come hanno dimostrato alcuni casi di nonnismo e maltrattamenti ampiamente dibattuti. Secondo i dati raccolti da Peace Dialogue, tra il 2010 e il 2016, nell’esercito si sono contati 81 decessi causati da incidenti e 59 suicidi. Intorno a questi eventi regna un silenzio opaco. Dal 2015, i casi di maltrattamenti e decessi accidentali vengono classificati. Ma le informazioni rimangono inaccessibili persino ai famigliari. Dal canto suo, Varkiss afferma di non aver assistito a eventi del genere: «Forse era la realtà 10 anni fa, ma quando ho servito io lo spirito era diverso: c’era una maggiore attenzione a queste cose».

Insomma, nella società armena, il servizio militare è un fattore sociale decisivo – molti giovani credono che chi non hanno fatto la leva non troverà né un lavoro, né una fidanzata. Ma, anche se l’attaccamento a questa istituzione è incontestabile, non tutti gli individui si piegano alla norma sociale.

Achot, 28 anni 

Achot è uno di quei ragazzi che non hanno fatto il servizio militare. Eppure, da adolescente accetta di intraprendere il percorso di preparazione, un po’ come tutti i suoi coetanei: «Non era il mio sogno. Ma è difficile, c’è il rito di iniziazione … E tutto questo non mi faceva paura».

Cresciuto nell’Armenia degli anni ‘00, Achot alimenta gradualmente il sogno di partire per l’estero proprio per evitare il servizio militare, ma anche a causa delle cattive condizioni economiche in cui versa il paese: l’Armenia è bloccata dal punto di vista politico e la corruzione regna incontrastata. Poi, nel 2007, comincia i suoi studi e grazie ad un accordo tra l’accademia delle Belle arti di Yerevan e di Marsiglia, nel settembre 2012, va a studiare in Francia.

«Nessuno mi giudica, perché tutti avrebbero fatto la stessa scelta se avessero potuto»

Alla scadenza del visto di 6 mesi, decide comunque di rimanere in Francia. A poco a poco, l’evidenza appare agli occhi di tutti i famigliari e amici: non tornerà in Armenia e non passerà per l’esercito. Viene quindi escluso dall’Accademia delle Belle Arti e la sua famiglia riceve regolarmente visite dagli ispettori militari, dalla polizia e dai servizi di sicurezza nazionali. Nel frattempo, utilizza tutto il denaro che i parenti avevano messo da parte per il suo soggiorno in Francia. Dopo aver cambiato alloggio, trova lavoro al nero per tirare avanti: «Nessuno mi giudica [in Armenia], perché tutti avrebbero fatto la stessa scelta se avessero potuto», dice lui.

Alla fine, Achot si ritrova stretto tra l’incudine e il martello: non può più tornare in Armenia, tantomeno lasciare la Francia. E così entra nell’“illegalità”: inizia una vita da immigrato a Marsiglia, fatta di piccoli lavori, di discriminazioni, ma anche di speranza. Perché Achot prosegue i suoi studi e ottiene il sostegno di associazioni locali per tentare di regolarizzare la sua posizione. Anche se la vita di tutti i giorni non è rosea, vive senza sensi di colpa fino ad aprile 2016, quando scoppia la Guerra dei quattro giorni.

Dai banchi di scuola al fronte

In quei giorni, i giovani armeni occupano le prime linee per fare fronte all’offensiva dell’Azerbaigian. L’immagine di un esercito invincibile che aveva imposto la sua volontà con le armi va in frantumi. Le disfunzioni dell’istituzione vengono a galla. L’attrezzatura a disposizione è obsoleta e la corruzione di una manciata di alti funzionari non può più essere nascosta, mentre gli adolescenti combattono e muoiono per il paese. «Quei diciottenni hanno fatto del loro meglio per proteggere l’Armenia. Ne sono morti 104. Uno di questi giovani era il figlio di un amico di mio padre. Non sono potuto rimanere indifferente», dice Achot. Si fa largo così dentro di lui la sensazione di aver eluso il dovere. Il senso di colpa – che non nasconde -, dimostra un genuino attaccamento alla patria.

«Uno di questi giovani era il figlio di un amico di mio padre. Non sono potuto rimanere indifferente»

Lo shock del 2016 cambia profondamente l’opinione pubblica in Armenia. Anche se non è l’esercito in quanto tale ad attrarre le critiche, la gestione catastrofica del governo viene messa in discussione e il sacrificio della gioventù è doloroso. Nel 2017 l’esercito è di nuovo sotto i riflettori quando gruppi di studenti scioperano per protestare contro la nuova norma sulla leva militare: il progetto di legge costringe i ragazzi a interrompere gli studi dopo la laurea triennale per servire tre anni nell’esercito, prima di poter, successivamente, continuare gli studi di specializzazione. I manifestanti si scontrano con il governo per la rimozione del testo e ottengono la possibilità di incontrare i ministri coinvolti. Quest’ultimi promettono nuove riforme, ma a novembre 2017 il Parlamento approva tutto senza cambiare una virgola.

In effetti, iniziare un percorso di studi consente spesso di ritardare il servizio militare di qualche anno. E in certi casi, ciò può consentire di scampare del tutto la pratica: nel 2017 solo il 16 per cento degli studenti che aveva rimandato il servizio militare è poi effettivamente entrato nell’esercito. Si tratta di una zona grigia che la legge del 2017 non ha cancellato.

Come gli studenti che hanno manifestato in quei giorni, anche Achot è legato al suo Paese. Il destino che ha scelto non è una scappatoia e d’altronde gli ha procurato altre battaglie con le amministrazioni pubbliche, sia in Francia che in Armenia.

Alla fine del servizio militare, tutti i coscritti ottengono un quaderno marrone: il libretto militare. È la chiave che attesta il loro impegno per la nazione. Achot è riuscito a ottenere il suo pagando, prima della Rivoluzione. Ma ha dovuto attendere diversi mesi perché fosse consegnato in Francia. In seguito, è anche riuscito a rinnovare il passaporto. Ma il suo destino dipende ancora dall’ottenimento di un permesso di soggiorno francese che gli permetterebbe di lasciare il paese in maniera legale e tornare a casa dai suoi parenti che non vede da 6 anni.

La tradizione fa sì che si guardi con benevolenza all’esercito, un’istituzione che cristallizza il profondo patriottismo dei cittadini di questo paese.Tuttavia, come mostrano le recenti rivolte e proteste della storia dell’Armenia, l’esercito non è al riparo dalle profonde trasformazioni che animano la società.

Podcast

In questo podcast in lingua inglese, due giovani ragazzi armeni, entrambi di nome David, raccontano il loro rapporto con l’esercito. Uno è appena tornato dal Nagorno-Karabakh mentre l’altro tra poco compirà 18 anni e si appresta a iniziare il periodo di leva dal quale si aspetta di uscire «più forte da un punto di vista psciologico»